1942, El Alamein: la grande sfida per l’Africa
Il fronte nordafricano, durante la Seconda guerra mondiale, fu quello dove i soldati italiani combatterono più a lungo, dal giugno del 1940 al maggio del 1943. E anche quello dove, malgrado l’inferiorità in fatto di armi, rifornimenti, mezzi di trasporto, riuscirono in diverse occasioni a farsi valere, nonostante l’esordio disastroso con la sconfitta subita inizialmente dalle truppe comandate dal maresciallo Graziani. Il merito fu anche dell’arrivo in Libia di un generale ardimentoso e brillante, ma non privo di difetti, come il tedesco Erwin Rommel. E certamente senza l’apporto della Wehrmacht il duello nel deserto sarebbe terminato molto prima con la vittoria dei britannici. Ma non è il caso per questo di svalutare le prove affrontate in condizioni difficilissime dalle forze italiane contro un nemico assai meglio munito e organizzato.
Paolo Rastelli, nel libro “Le sabbie di El Alamein”, ricostruisce tutto l’insieme delle operazioni, ma si concentra in particolare sulla battaglia decisiva, quella che si combatté in Egitto a El Alamein in tre fasi, da luglio a novembre del 1942. Qui le difficoltà di fondo accusate dagli italo-tedeschi in tutto il corso della campagna si manifestarono in modo più evidente perché le loro linee di rifornimento si erano pericolosamente allungate, mentre i britannici, vicini alle basi egiziane, potevano contare su una logistica di gran lunga più efficiente.
Rastelli rievoca la lotta che si svolse nel deserto con passione e competenza, ma senza retorica. Il suo racconto fornisce ritratti vividi dei protagonisti e dell’ambiente inospitale in cui si trovarono a operare, sfata alcuni luoghi comuni, presta attenzione anche ad aspetti spesso trascurati. Per esempio ricorda le sofferenze dei civili, italiani ed arabi, che furono coinvolti in una guerra che di solito viene descritta come sostanzialmente cavalleresca, priva di atrocità. Certo, in Nord-Africa non giunsero mai le SS, ma anche qui gli episodi di crudeltà non mancarono. Bisogna inoltre ricordare il lascito avvelenato delle mine disseminate un po’ ovunque, che hanno provocato migliaia di morti e feriti tra i civili anche molto tempo dopo la conclusione del conflitto. E non si può dimenticare che la campagna nordafricana fu parte della guerra per la supremazia razziale scatenata da Hitler: se gli italo-tedeschi avessero preso l’Egitto e fossero dilagati in Medio Oriente, è facile immaginare quale sarebbe stata la sorte delle comunità ebraiche.
Dal testo di Rastelli, scorrevole e ricco di dettagli anche curiosi, emerge con chiarezza l’irresponsabilità della classe dirigente fascista e soprattutto di Mussolini, che trascinò il Paese nel conflitto pur essendo consapevole della sua assoluta impreparazione. Il progetto di condurre una guerra parallela rispetto alla Germania, per conquistare una salda egemonia sul Mediterraneo, andò rapidamente in fumo con il fallimento dell’attacco alla Grecia e il crollo rovinoso del fronte in Nord-Africa. E a quel punto l’unica opzione per l’Italia fu invocare l’aiuto del Terzo Reich. L’arrivo di Rommel in Libia, nel 1941, cambiò la situazione, ma al prezzo di affidare al generale tedesco l’effettiva responsabilità della campagna in un contesto di permanente tensione con i comandi italiani.
Per Hitler tuttavia il teatro d’operazioni mediterraneo rimase sempre secondario. Il suo obiettivo principale rimase quello di assicurarsi un vasto spazio vitale a Est, attraverso l’invasione dell’Unione Sovietica. Mussolini da parte sua sacrificò costantemente le ragioni militari a quelle della politica. Voleva avere a tutti i costi un ruolo rilevante nella crociata contro il comunismo, per cui inviò “sul fronte orientale artiglierie moderne e migliaia di automezzi proprio nei primi mesi del 1942 in cui la diminuita pressione aeronavale degli inglesi avrebbe consentito di rafforzare in maniera considerevole il fronte africano, l’unico che per l’Italia avesse importanza vitale”. Non venne quindi sfruttato il vantaggio derivante dal fatto che i britannici si trovarono in quella fase a combattere anche contro il Giappone, sceso in campo nel dicembre 1941 con l’attacco di Pearl Harbor contro la flotta americana. Va sottolineato quindi che gli italo-tedeschi nel deserto egiziano si trovarono a essere svantaggiati anche sotto il profilo del rilievo che i loro capi attribuivano a quello scacchiere.
Rastelli affronta con attenzione questo e altri nodi, come il mancato attacco dell’Asse all’isola di Malta, controllata dai britannici, o la discussione in parte ancora aperta sul comportamento della Marina italiana nella battaglia dei convogli. L’episodio cruciale di El Alamein è dunque inserito in un contesto che ne evidenzia la centralità, ma anche le fitte connessioni con il resto del conflitto.
Antonio Carioti
L’articolo è pubblicato nel “Corriere della Sera” di domenica 23 ottobre 2022, a pag. 36.