“Antonietta e Gabriele si incontrano in terrazza”. Sequenza del film “Una giornata particolare” di E. Scola, 1977

“I due si incontrano in terrazza”. Sequenza tratta dal film, “Una giornata particolare”, di E. Scola, 1977

 

Il testo è stato estrapolato da un fascicolo di 114 pagine, scritto dagli studenti di due classi quinte del Liceo Sperimentale “L. Stefanini” di Venezia-Mestre, pubblicato in forma di quaderno nel giugno 1998 e custodito nella biblioteca dell’Istituto. Vi si dimostrano, accanto alle inevitabili incertezze del primo approccio a una lettura di un testo visivo, originalità e lucidità di analisi, acutezza e sistematicità nell’organizzazione dei dati, una pazienza ammirevole nel ripetere più volte al video-registratore l’indagine sui più diversi aspetti della sequenza e nel fissarne sulla carta le coordinate più significative (associando le abilità legate alla cultura del libro a quelle derivate dalla cultura dello schermo).

Il cinema è l’arte che consente di integrare al meglio l’indagine bibliografica, iconica, musicale, tecnica. Le descrizioni d’ambiente, i paesaggi, i costumi, lo scavo psicologico dei personaggi e delle folle, i movimenti di massa, la stessa tecnica del montaggio offrono ai giovani studenti stimoli e suggestioni per entrare il più possibile nella dimensione quotidiana (fantastica e insieme materialmente elementare) di un fatto e di un’epoca.

Questa esperienza di lettura, smontaggio e interpretazione di un testo audiovisivo ha fatto parte di un progetto più ampio di “Letture testuali e con-testuali” (poesia, novella, romanzo, cinema, saggistica, giornalismo, politica, pubblicità, canzoni), attuato in un arco di cinque anni, dal 1993 al 1998, che semplicemente ha puntato ad avvicinare gli studenti ad un uso più attento e critico anche della civiltà delle immagini. Li si è voluti  stimolare  ad arricchire il loro lessico, con una quotidiana e paziente pratica di lettura –di ascolto –di visione, per contrastare un’espressività orale e scritta sempre più povera e banalizzata. Si è voluto suggerire un metodo di analisi, di concentrazione, di interrogazione di se stessi, di discussione e confidenza con gli altri (che dura da secoli e che oggi, forse, si sta perdendo). Di più, coltivando la fatica dell’interpretazione, lentamente costruiranno la pratica di un continuo approssimarsi alla verità, di una sua messa in discussione, di una necessaria dimensione sociale del pensiero, di una coltivazione di sé (già Leopardi e Gramsci dicevano che lo studio “è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia”).

                                                                       prof. Gennaro Cucciniello

 

In terrazza

“Ma che fate, invece di scendere salite?”, dice Antonietta. “Passo dalle fontane, così evito la portiera”, constata Gabriele. “Fate come vi pare!”. E’ sullo sfondo bianco delle pareti e delle scale del palazzo che le due figure si muovono: davanti, lei porta sul fianco la bacinella coi panni; un paio di scalini più sotto la segue lui. Il contrasto chiaro-scuro è fortemente marcato: l’uniformità del nero delle due figure, riprese di spalle, si accompagna al nero del battiscopa e del passamano che incorniciano la prima serie di scalini, al nero che incornicia la finestra e a quello di una pianta sul pianerottolo; questi lievi tratti scuri contrastano col bianco candido dell’ambiente che brilla sotto la luce che filtra dal finestrone. Lentamente i due sfumano e svaniscono dietro la seconda rampa di scale. La cinecamera esita brevissimamente su questo “vuoto” in cui echeggiano le note della musica marziale che provengono dall’esterno. All’improvviso siamo sul terrazzo. Primo piano della bacinella che ora giace per terra. Come cadesse dal cielo, essa accoglie il primo panno, bianchissimo, ma presto sappiamo che è dalle mani della donna che è lanciato al suolo. Ella, infatti, si introduce nella scena con un passo verso destra mentre “vendemmia” i fili su cui è stesa la biancheria. Con una pedata allontana la bacinella e la cine-camera, alzandosi perpendicolarmente dal suolo, svela l’intera figura accompagnata da quella dell’uomo. “Me lo dovevate dire subito come la pensavate”, pronuncia lei, mentre si muove in parallelo ai fili da cui continua a raccogliere i panni. Lui le chiede di ripetere. Antonietta ripete alzando la voce e si riconcentra immediatamente sul suo lavoro. Il bianco li incornicia e, nonostante la donna assuma un atteggiamento distaccato, li abbraccia: sono una sola macchia scura. Ma per un tempo breve. Lei riprende a camminare e di nuovo i due si allontanano. Procedendo lentamente, lei continua a raccogliere e lui le sta dietro. Per un istante sono tutti e due “appesi al filo”: la cesura di un panno lungo e stretto divide l’immagine in due parti, a destra c’è Antonietta, a sinistra Gabriele che delicatamente toglie due mollette. “Su che?” –lui non capisce. “Sui…(esita un momento) sugli albi di fotografie!”. Lui non ritiene così rilevante la faccenda, perciò chiede quale sarebbe stata la differenza. Con tono deciso ma, allo stesso tempo, condizionato dalla noncuranza dell’altro, lei risponde: “Eh, cambiava… che non vi facevo entrare in casa mia… ecco che cambiava”; un velo di insicurezza sembra essersi steso sulle sue parole. Gabriele le gira intorno e con un determinato slancio provocatorio: “Ma di che ha paura? Lei è così sicura delle proprie idee!”. Prontamente, Antonietta: “Sissignore!”. C’è un distacco tra i due: ancora una volta è la donna che delinea il confine che, ben marcato, deve separarli (è lei, infatti, che nega l’aiuto prestatole: “No, quella roba non è mia!”). Un passo più in là è lei a raccogliere la canottiera che lui ha appena riappeso, ma c’era un buco così! “E poi non mi va di discutere con un uomo come voi, che critica tutto, che prende in giro tutto; voi scherzate sempre sulle cose che non c’è niente da ridere!”. Ma sono veramente parole di disprezzo le sue, o sono piuttosto parole rivolte ad un uomo che tanto sembra affascinarla, per certi versi così simile a lei, per certi altri così estraneo da lasciarla ammaliata?

Gabriele è toccato nel profondo. “No, guardi, io non rido sempre, veramente non ho motivi per ridere!”. Le mani in tasca, guarda in avanti: “Lei, piuttosto, perché non ride? Le cose le vanno bene come vanno! Ha una casa, un marito, sei figli… ma perché non ride?”. Antonietta non si mette in discussione: non è abituata a parlare di sé, è mai successo forse che suo marito e quei suoi sei figli le abbiano mai rivolto una simile domanda? “Eppure questo fatto del Lei, lo sapete che è proibito, no?” –replica- “che è obbligatorio darsi del Voi!”. Prima le due figure, affiancate l’una all’altra, si muovevano lentamente assieme; ora si muovono separate dal filo, coperto dalle lenzuola bianche in senso opposto (lei si avvicina alla cinecamera, lui se ne allontana). E’ di nuovo Antonietta ad essere ripresa in primo piano: di spalle, “naviga” tra il bianco delle lenzuola e un improvviso quanto spaesante silenzio. Si guarda un attimo attorno. “Ve ne siete andato?”. Cerca ancora tra le lenzuola e poi aggiunge, riprendendo il fare distaccato di prima: “Meglio così”… Però poteva pure salutare!”. D’improvviso il lenzuolo da cui ha appena staccato le mollette le si rovescia sopra e Gabriele ricompare abbracciandola (il lenzuolo: pretesto scherzoso o simbolo di quell’abbraccio? –in fondo, un velo bianco, neutro). I due cominciano a volteggiare in un disordinato valzer, con le loro parole che si sovrappongono e scivolano verso la risata di entrambi (la cinecamera si è alzata, lasciando così maggiore spazio ai due “ballerini” che si allontanano dai fili per raggiungere lo spazio esterno del suolo piastrellato del terrazzo). Un bellissimo momento è dipinto quando Gabriele svela il volto di Antonietta e i due sguardi, finalmente sorridenti, si rivolgono l’uno all’altro.

Ma lei ha paura di una simile situazione e, mentre gli occhi di lui scrutano il volto di lei (che, evidentemente, deve essersi intristito, è di spalle a noi spettatori), Antonietta reclina il capo a destra e se ne ritorna al suo lavoro. La cinecamera la segue: lenta si muove tra le lenzuola. Gabriele la raggiunge, egli mantiene il fare scherzoso e sorridente dell’azione precedente: “Banale scherzo finito tragicamente!”. Cruda, distaccata e severa la risposta: “Ben vi sta!”. Gabriele, ancora una volta, non capisce: “Che c’è?”. Subito lei incalza bruscamente: “C’è che mi sono scocciata dei vostri… scherzi… chiamiamoli così!”. Di seguito continua: “Io non lo so che cosa vi siete messo in testa, ma vi state sbagliando, questo è certo!”. Il volto spaesato di Gabriele: “Antonietta, io non avevo, ti assicuro, nessuna intenzione!”. Ma lei con tono accusatorio: “No, ma che! Mi avete abbracciata per combinazione! Voi uomini siete tutti uguali… ma io me l’aspettavo”. Cosa sono queste parole? Gabriele è un uomo da allontanare o un uomo a cui lasciarsi andare? “Certo che nel vostro ambiente deve essere diverso!”. Quello è un mondo fatto di attrici, cantanti, annunciatrici, è il mondo di Gabriele. Ora sembra che lei allenti la tensione, sembra che il distacco che prima riusciva a mantenere così rigidamente cominci ad accorciarsi, è come se la maschera lentamente ora le scivoli dal volto. E’ ripresa l’immagine del lenzuolo che l’uomo prende per l’estremità opposta a quella che regge tra le mani la donna: “No, lasciate che faccio da sola”. Il lungo lenzuolo si stende ora tra le loro mani: la cinecamera riprende il busto di lui che si staglia nel chiaro del cielo e di due comignoli e, di seguito, quello di lei che invece è incorniciato dalla penombra di una tettoia. Le due figure avanzano l’una verso l’altra: la “camera” si abbassa, centrandole. “Andatevene”, pronuncia con un filo di voce Antonietta; l’inquadratura si avvicina spostandosi di lato e rivelando leggermente i tratti di lei (mentre l’uomo resta avvolto nell’ombra); di qui possiamo vedere che le sue mani hanno avvolto quelle di Gabriele. “Andatevene, per favore, vi ho detto per favore”. Ed ecco, nel suo protendersi quasi supplichevole verso di lui scopriamo la risposta alle domande precedenti. Antonietta si abbandona, avvicinando quelle mani a sé, prendendole nelle sue mani: “Prima, quando mi avete abbracciato, ce l’avevo più con me che con voi! Perché… perché è da stamattina che vi guardo”. Il volto di Gabriele è ripreso di fronte: impassibile, immobile, fissa diritto davanti a sé mentre quello abbandonato della donna (ripreso in uno stupendo profilo) gli si rivolge. Un brevissimo momento di silenzio, la cinecamera si allontana, Antonietta si lancia verso di lui e lo bacia: “Te ne devi andare, hai capito? Io non mi sogno neppure… mai, mai, è la prima volta… la prima! Dimmi tu, Gabriele… ti prego, dimmi! E’ importante… Gabriele!”. La cinecamera è ora di lato, il volto impassibile di lui, la voce tremante, il tono commosso, i sussurri di lei. L’uomo non risponde, il suo volto si abbassa –come per prendere coraggio- poi si rialza: “C’è una frase nel tuo album: l’uomo deve essere marito, padre e soldato…  (una pausa di silenzio) io non sono né marito né padre e né soldato!”. E’ la sua difficile confessione: prende il lenzuolo e si allontana da lei che si volta e lo segue con lo sguardo. “Che vuol dire?”, sussulta (ma davvero non ha capito?). “Non mi hanno mandato via dalla radio per la mia voce… Disfattista, inutile e con tendenze depravate”. “Non capisco”. “Hai capito benissimo!” –si drizza- “E’ così!”.

Antonietta schiaffeggia violentemente Gabriele che, a causa dell’impatto, gira su se stesso. Poi lei raccoglie la bacinella e scappa; tra le lenzuola l’uomo la rincorre, la raggiunge e l’afferra per le braccia. Inveisce contro di lei con dure parole: contro di lei ma anche contro tutti coloro che nella sua vita l’hanno tante volte colpito così. La scena è particolarmente violenta, con frasi pesanti e credo anche difficili da pronunciarsi. Lei, bloccata contro il muro, riesce a liberarsi: “Non mi toccare più!” (più?) e fugge; lui la insegue continuando ad urlare: “Sono un frocio… frociooo!”. E poi, lasciata la terrazza, giù per tutte le scale (la cinecamera li riprende esternamente dalle finestre dei pianerottoli). Lei è terrorizzata, lui arrabbiatissimo. Finalmente Antonietta riesce a raggiungere il suo appartamento. Ed è da qui, appiattita sulla porta, che sente le ultime grida di Gabriele: “Così lo sapranno tutti, finalmente, che l’inquilino del sesto piano è ricchione… è finocchio…”. La macchina da presa lascia la casa dove la donna è in lacrime ed esce sul pianerottolo dove l’uomo, battendo il pugno sul passamano delle scale, pronuncia quasi senza voce, con un profondo sospiro: “… è frocio…”.

                                                                       Sara  Pot.