Appunti per una riflessione sulle elezioni scolastiche dell’11-12 dicembre 1977 nel comune e nella provincia di Venezia.
La Commissione Scuola provinciale del PCI ha curato la preparazione di un fascicolo contenente tutti i dati –completi dapprima, e poi disaggregati per realtà territoriali (quartieri metropolitani, paesi) e infine per ordini di scuola- delle recenti elezioni scolastiche per i consigli distrettuali e provinciale. E’ questa una documentazione indispensabile per informare le strutture del partito, i singoli compagni, gli insegnanti sui risultati interessanti del test elettorale; ma in particolare vuol essere un contributo ulteriore –di analisi, di autocritica, di memoria- perché nel partito si sviluppi finalmente quella riflessione accurata e sistematica sui problemi dell’organizzazione scolastica e dei servizi culturali all’altezza del nostro progetto di trasformazione e sviluppo del modello economico e della società civile del nostro paese. Il Comitato Direttivo della Federazione il 19 dicembre ha aperto un dibattito interessante sul tema, sottolineando con franchezza il ritardo dell’intero partito: è necessario continuare l’analisi ed impegnarsi ad operare, da subito e con concretezza, le necessarie modificazioni del metodo di lavoro e della qualità dell’intervento politico.
La partecipazione al voto. Nel comune di Venezia (la media è dei tre distretti) ha votato il 43% dei genitori, il 33% degli studenti, l’82% dei docenti. Nei distretti della provincia la media è più alta: il 55% dei genitori, il 58% degli studenti, l’85% dei docenti. Siamo nella media nazionale. Il dato preoccupante, nettamente al di sotto dello standard italiano, riguarda l’esiguità del voto degli studenti di Mestre e Venezia. Nell’intera provincia hanno votato 130mila genitori, nella regione Veneto 600mila circa, in Italia più di 10 milioni: un test probante e denso di significative implicazioni politiche.
Le schede nulle. I dati di cui disponiamo attenuano un poco la portata della denuncia fatta a caldo dai compagni, sbigottiti dalla quantità dei voti annullati nei seggi, ma confermano una realtà preoccupante. Nel comune di Venezia le schede bianche e nulle sono state il 16% per i genitori e gli studenti, il 4,5% per i docenti. In provincia il 20% per i genitori, il 14% per gli studenti, il 5% per i docenti. Le procedure elettorali erano, in verità, complicate e farraginose; tanto più per la scarsissima preparazione degli elettori che hanno scontato la mancata partecipazione al dibattito preparatorio nelle singole scuole e che facilmente si sono fatti ingannare dagli intrecci delle preferenze. Risulta evidente allora la gravità del dispositivo normativo ministeriale che consentiva l’annullamento del voto di lista in presenza di uno sbaglio nell’indicazione delle preferenze; va rilevata la necessità che per l’avvenire la nostra Consulta nazionale eviti leggerezze e incuria nel controllo delle iniziative del Ministero.
I brogli. Sono stati denunciati numerosi casi di violazione dei regolamenti elettorali operati da candidati e propagandisti delle liste di “Presenza cristiana”, soprattutto nelle scuole materne religiose. La prevaricazione, l’arroganza, le pressioni su genitori ignari e in buona fede sono state generalizzate e ci hanno colto di sorpresa, bisogna dirlo; soprattutto hanno messo in luce la generale assenza dei rappresentanti di lista del sindacato e del COGIDAS proprio nei seggi più delicati. Quasi sempre queste illegittimità non sono state contrastate o bloccate, tanto meno punite, dai responsabili delle commissioni elettorali di scuola, di distretto, provinciale. In qualche caso si è registrata persino connivenza o addirittura co-imputazione, come in un circolo didattico del Portogruarese. La stampa ne ha parlato diffusamente ma sarebbe cosa utile la pubblicazione di un pamphlet documentato provinciale.
La “doccia fredda” dei risultati. Ormai è risaputo: l’affermazione delle liste di “Presenza cristiana” è stata consistente e uniformemente generalizzata, rilevante tanto più perché estesa agli studenti e agli insegnanti, sia pure in proporzioni diverse. La sconfitta delle liste democratiche altrettanto netta; persino a Mestre la somma dei voti delle liste sindacali e del COGIDAS è minoritaria. Del resto basti questo dato: al Consiglio Scolastico Ptrovinciale, nel voto dei genitori, su 111.059 voti validi 62.746 (il 56,5%) sono andati a Presenza Cristiana (tre seggi), 48.313 alla lista delle Confederazioni sindacali e del COGIDAS (tre seggi). La negatività del risultato è confermata, in linea generale, anche dagli esiti del ricambio degli eletti nei consigli di circolo e di istituto: la concentrazione cattolica ha dimostrato di avere risentito molto poco del logoramento e della sfiducia generatisi in questi primi anni d’esperienze degli organi collegiali, una “delusione” che ha evidentemente devastato molto più le file dello schieramento laico e democratico e la cui amplificazione propagandistica poco noi abbiamo combattuto, fra l’altro.
In primo luogo occorre, negli approcci iniziali all’analisi di un voto comunque complesso, evitare la tentazione di meccanicistiche trasposizioni sul quadro politico degli orientamenti di questo corpo elettorale o di sue quote consistenti. Ciò è consigliato sia dalla particolarità delle elezioni scolastiche (il forte condizionamento esercitato dalla conoscenza, spesso personale, e dalla fiducia riposta nel candidato; la volontà di incidere sulla gestione della scuola) sia dalla ridotta partecipazione al voto, molto significativa proprio nell’area popolare ed operaia. Ma, per il resto, questo voto è politicissimo. Ha eliminato definitivamente alcuni luoghi comuni, alcune convenzionali banalità sui giovani soprattutto ma anche sugli insegnanti, sulle proporzionalità intellettualistiche tra la magnifica crescita e progressiva della società civile dopo il referendum sul divorzio e la pretesa disintegrazione del mondo cattolico. Dà coscienza anche al nostro partito dei suoi ritardi storici, di una persistente insufficienza di sensibilità e di iniziativa politica su quello che significa “rifondazione dello Stato e delle istituzioni” nell’epoca attuale del protagonismo di massa e della partecipazione estesa della gente alla modifica democratica di uno Stato secolarmente accentrato e diffidente. Riflettiamo mai, ad esempio, che nel territorio la sezione del partito ha come principale interlocutore, e ravvicinato e moltiplicato nel sociale, proprio la scuola, e sempre la trascura? E quale capillare intestizio dello Stato è la scuola, e quale struttura unificante del corpo sociale! Tutti si va ripetendo, da anni, una litania sofisticata sulle molteplici implicanze del processo di formazione intellettuale della società; poi nell’azione quotidiana del partito e dei suoi militanti tutto questo non si registra. Il partito ha poco sentito questa scadenza come importante impegno politico e si è poco mobilitato; dappertutto, o quasi, ci si è affidati ai pochi compagni del settore scuola, in una situazione già gravemente compromessa dallo sfilacciamento registratosi negli ultimi tre anni. Quando e dove i compagni hanno lavorato i risultati non sono mancati, e qui giova rimandare ad una lettura disaggregata e attenta del voto, distretto per distretto. Ma vale citare i dati positivi di Cà Emiliani, di qualche circolo della Giudecca, di Carpenedo e Bissuola, di Fiesso d’Artico, di Concordia Sagittaria. E non si spiegherà mai abbastanza che “le vittorie” sono state il frutto non di una agitazione propagandistica e fatta dall’esterno, con i metodi tradizionali della campagna politica, ma di un’azione tenace e paziente, di un lavoro quotidiano fatto da molti compagni e compagne soprattutto –genitori e insegnanti- spesso oscuro ma di grande qualità politica e culturale.
Lavorare nella scuola, questo è il punto, è partecipare, è l’impegno continuo, personale e collettivo, organizzato, di tanti, con reali contatti di massa, con la gente, nelle singole classi. Non è fare propagandismo di partito, militantismo ideologico, avanzare sempre proteste e denunce sterili; bisogna conoscere i problemi della scuola, saper fare proposte concrete e democratiche di risoluzione; occorre avere una politica di alleanze, dentro la scuola e nel quartiere, nel paese. Se tutto questo manca, se il partito non contribuisce a far superare all’intero schieramento riformatore le sue angustie “giacobine” e bloccarde, se non si pone mano a questo lavoro di conoscenza e di penetrazione nell’insieme dell’organizzazione della società civile, noi dimostriamo di non aver capito i problemi complessi che la qualità nuova della partecipazione politica e sociale comporta in questo momento storico, della mobilitazione appassionata e dell’intelligenza organizzata che esige il processo molecolare dell’egemonia del movimento operaio sull’intera società civile. Ribadire il no all’infantile nostalgia dell’opposizione come il superare risolutamente il fascino romantico del tardo bolscevismo (“la presa del Palazzo d’Inverno”) comporta la volontà politica di impegnarsi a trasformare la società e lo Stato, per tappe, per stadi, per passaggi successivi, tutti controllati dall’uso critico di una nuova ragione materialistica, sostenuti da un alto livello di lotte, qualificati dalla capacità di progettazione, garantiti da una forte trama di organizzazione. Se a questo non si pone mano, a nulla vale il considerare che –comunque- la macchina del partito ha ancora funzionato: ad esempio, nell’indicazione delle preferenze. I candidati scelti dal partito, persone spesso non iscritte ma che garantivano esperienza di lavoro, conoscenza dei problemi, qualità e unitarietà nell’impegno politico, credibilità e consenso, sono stati eletti quasi ovunque. Sarebbe un compiacimento fittizio e di breve durata, illusorio soprattutto.
Il voto aiuta a fare, inoltre, altre considerazioni. Tra i genitori l’età dei votanti ha oscillato, di media, tra i 25 e i 50 anni, un corpo elettorale abbastanza giovane –quindi-, economicamente attivo, socialmente incisivo. “Presenza cristiana” in qualche zona ha avuto proporzionalmente più voti di quanti ne abbiano preso la DC e i partiti laici insieme nelle ultime consultazioni politiche; fatta l’evidente e sopracitata taratura critica, può confermarsi l’impressione che la scuola interessa molto, al punto da fare oltrepassare i confini politici tradizionali e determinare spostamenti, diciamo così, “da sinistra verso il centro”, svelando in più l’inconsistenza di una borghesia laica, moderata ma non integralistica. Quasi tutte le scuole sperimentali e a tempo pieno hanno dato esiti elettoralmente incoraggianti, in alcuni casi –come allo “Stefanini” di Mestre- eccezionali (il 90% alla liste democratica degli studenti, il 60% alle liste sindacali e COGIDAS per i genitori), a riprova che la partecipazione, la coscienza della riforma, la qualificazione democratica crescono proprio nelle scuole dove si sono concretamente cambiati i metodi e l’organizzazione degli studi.
Confrontando i due dati precedenti, parziali se si vuole ma interessanti, possono emergere alcune ipotesi interpretative. La sconfitta delle liste democratiche e sindacali dei genitori è attribuibile anche in larga misura all’astrattezza e all’indeterminatezza dei programmi di rinnovamento di cui esse si sono fatte portatrici, spesso con improvvisazioni dell’ultima ora. Non è che manchino questi programmi riformatori: i partiti della sinistra stanno producendo un grande sforzo culturale e legislativo per generalizzare a livello di massa la cultura della riforma ma il lavoro è ancora insufficiente. Non siamo stati capaci di far diventare “senso comune” le nostre scelte riformatrici; abbiamo scontato negativamente anche la scarsa convinzione con la quale i compagni comunisti si presentano –da insegnanti, da genitori, da studenti- nelle scuole: conoscono essi i nostri progetti, li hanno discussi, li propagandano con efficacia? Si è davvero convinti al nostro interno che si possa continuare a parlare di scuola da riformare, nella lunga attesa di un intervento del Parlamento sulla scuola secondaria superiore e sull’università, e contemporaneamente lasciare che la vita quotidiana degli istituti si trascini tra disordini ed inefficienze senza subire contraccolpi negativi? Evidentemente no, la gente non la pensa così! E a livello di massa la protesta contro il disfunzionamento della scuola, contro il caos e la violenza, si è espressa nel voto a “Presenza cristiana”, nell’indicazione di un modello d’ordine tradizionale riverniciato d’efficienza, in cui si mescolano l’esigenza di serietà nello studio e la nostalgia conservatrice di una scuola ancora riproduttrice d’una crescita di status individuale e sociale. La concentrazione cattolica ha così egemonizzato forze conservatrici, laiche moderate, eterogenee, attirando indubbiamente anche consensi popolari; ha aggregato intorno ad una protesta di stampo conservatore strati portatori di interessi strutturalmente diversi se non antitetici. Attenti però al segnale che ci viene: il segno moderato della denuncia non deve celarcene le esigenze vere, progressive. Si tratta del funzionamento democratico della scuola, della qualificazione dello studio, della libertà di partecipare che deve essere a tutti garantita, di una coerenza tutta da dimostrare al livello superiore tra scolarità di massa e sistema degli studi e rapporti di produzione, tra potenziamento della democrazia ed efficienza delle istituzioni. Il partito deve con più forza rilanciare e propagandare il suo progetto: “Salvare, far funzionare, cambiare questa scuola pubblica e di massa”. Uno slogan da spiegare e rispiegare e soprattutto da praticare, sia perché non si può vivere eternamente di incertezze e di rinvii, sia perché occorre evitare di essere stritolati nella morsa della tenaglia tra l’estremismo intollerante e la reazione moderata che questa volta ha funzionato.
Nell’affermazione cattolica si può rintracciare la fecondità storica di una ricca e secolare trama associativa, tipico patrimonio della Chiesa e delle sue organizzazioni collaterali, che ha cementato nel consenso popolare delle campagne e delle città il ruolo sociale del movimento cristiano. Questo non è un dato da scoprire ora per chi abbia studiato con serietà la storia d’Italia degli ultimi cinque secoli, ed è un merito indiscutibile della nostra proposta strategica, avvalorata dalla lettera di Berlinguer al vescovo Bettazzi: ulteriore conferma, se se ne voleva una riprova, dell’errore delle proposte alternativiste, del blocco contro blocco ideologico, dello scontro laici-cattolici. Ma non è questa la novità per noi: se mai è da studiare la proposta pluralistica che è stata alla base dell’associazione cristiana e sono da approfondire le forme riccamente articolate con le quali si è sviluppata. La valorizzazione dell’individuo e della persona umana si è intrecciata alla volontà di riappropriazione della gestione individuale, privata, del servizio scolastico, magari in chiave anti-partitica, anti-sindacale, nella rivendicazione di un prolungamento della presenza della famiglia nella scuola: e questi temi si sono fatti discutere in centinaia di assemblee, con una fitta trama di preziosi rapporti privati, aiutati didatticamente da efficaci audiovisivi. Non vale sorridere pretenziosamente del miscuglio eterogeneo di nostalgie meritocratiche, di pregiudizi classisti, di ideologia familistica che è pur rintracciabile nella definizione dei valori di cui parlavamo, funzionali certo all’avviamento verso una società di consenso autoritario. Qualcuno, però, può anche vedervi il delinearsi d’una risposta in positivo da parte cattolica alle questioni del personale e del privato esplose negli ultimi anni, con un dibattito aperto sui fini che deve proporsi il processo formativo: una dichiarata evangelizzazione può conciliarsi con gli obiettivi della promozione umana? E’ la rivelazione che l’azione dei cristiani non è attivismo occasionale od opportunistico: ma l’emergere d’una riflessione autentica e travagliata sui rapporti che la comunità cristiana deve intessere con la struttura scolastica vista come luogo di catechesi, di educazione e di cultura. D’altra parte proprio su questo terreno noi siamo stati carenti, voglio dire sul “tema dei valori”, della qualità della vita, delle grandi proposte ideali. Per rispiegare che non abbiamo saputo avanzare una proposta credibile di riforma degli studi e di rinnovamento della società, non siamo riusciti a diffondere nel senso comune delle masse il nostro progetto di trasformazione. Forse questa è la prima dimostrazione dei limiti politici del lavoro del partito sul “Progetto a medio termine”. E’ un tema di dibattito aperto che affido alla riflessione delle compagne e dei compagni.
“Presenza cristiana”. La reiterata nostra insistenza per liste unitarie che evitassero la sterile contrapposizione tra ideologismi ha congelato, se così si può dire, l’impegno ufficiale della Democrazia Cristiana, che d’altro canto ha messo la sua macchina organizzativa a disposizione delle liste cristiane. Ma la reticenza politica della D.C. ha liberato le ricchissime capacità culturali, politiche e organizzative della vasta rete delle associazioni cattoliche. E’ scesa in campo la gerarchia con la sua ramificata presenza nel territorio e la sua collaudata esperienza; le scuole religiose, materne soprattutto, sono diventate un prezioso punto di riferimento; è stata attivata una ragnatela organizzativa, non artigianale e spontanea ma gestita con metodi manageriali e che ha dimostrato grandi disponibilità finanziarie, capillarità delle presenze, capacità di informazione e di comunicazione dettagliata e sofisticata. Si è ripetuto da più parti che i cristiani hanno costruito il loro successo essenzialmente nelle scuole private. Questo è vero, in parte, e ne è testimonianza il numero dei voti raccolti da “Pres. Crist.” nei seggi delle scuole private (un esempio, a Dolo 4mila voti ai cattolici, 863 alla lista sindacale). Ma attenti a non farci fuorviare da questi dati pur rimarchevoli. Intanto, per l’entità dei voti presi da queste liste in tutti gli altri ordini scolastici, e poi per l’omogeneità dell’affermazione cattolica in tutta Italia e nelle diverse componenti (anche tra gli studenti e gli insegnanti). Ma ritornando alle scuole private: ci chiediamo il perché di una tale vistosa affermazione? Forse è solo l’effetto dell’energico condizionamento di suore e preti? No, non è così: o veramente dovremmo pensare ad una riedizione mitologica del 1948, cancellando questi 30 anni di maturazione politica e di crescita culturale degli italiani? Io piuttosto mi chiedo: che lavoro è stato fatto, prima delle elezioni, tra i genitori dei bambini della scuola materna religiosa? Nella discussione sui contenuti, come i compagni hanno affrontato il problema della scuola per l’infanzia, delle carenze strutturali del servizio, della sua qualità didattica, del rapporto delicato tra il settore pubblico e quello privato? Con tutta probabilità abbiamo contribuito, con queste nostre insufficienze, a favorire l’identificazione dei genitori –d’ogni ceto, anche lavoratori quindi- nelle scuole religiose di cui si servono (e sono tanti, più di 12mila persone nel solo comune di Venezia), nella salvaguardia di un servizio nel quale si crede o al quale non si intravvedono alternative concrete, in una protesta contro una campagna che è stata fatta passare per persecutoria. “Pres. Crist.” è diventata –altro elemento di analisi- polo aggregante del blocco moderato ma non è un blocco univoco, cementato: al suo interno ci sono orientamenti diversi da non sottovalutare, c’è ricchezza di dibattito, ci sono voci interessanti su contenuti e metodi di riforma. Il sorgere nelle diocesi e nelle parrocchie di gruppi organizzati di docenti-studenti e genitori per sviluppare la coscienza dell’impegno dei cristiani nelle scuole statali e religiose e la conseguente responsabilizzazione operativa (vedi le relazioni al convegno ecclesiale veneto di Paderno su “Evangelizzazione e promozione umana”) hanno aperto un ricco dialogo sulle problematiche scolastiche e tanto più lo problematizzeranno in futuro; c’è l’elaborazione dell’UCIIM; c’è stato l’imbarazzato silenzio e il sostanziale immobilismo delle ACLI e delle forze cattoliche democratiche. Tutte voci e fermenti che noi dobbiamo saper capire e stimolare, con le quali volerci confrontare senza settarismi né malintesa superiorità. Certo c’è anche “Comunione e liberazione” e il suo scoperto tentativo di egemonia che si allarga anche qui da noi: un’ambizione egemone non più nella sola D.C. ma sull’intero movimento cattolico. E’ uno sforzo di rifondazione della presenza cristiana nel sociale che s’accompagna e s’oppone nello stesso tempo alla svolta guidata da Moro e Zaccagnini nel solco democratico del popolarismo cattolico, e che sicuramente inciderà –non sappiamo con quali conseguenze- sul dibattito politico interno alla D.C.
Il Sindacato. Non credo che occorra insistere sulle motivazioni che hanno giustificato la presenza alle elezioni di liste sindacali aperte dei genitori. Da un lato le forzature della CISL, una certa visione pansindacalista presente anche nella CGIL, dall’altro la debolezza oggettiva del COGIDAS e la fragilità di un suo reale tessuto organizzativo, la precarietà stessa del lavoro del partito in questi tre anni di vita degli organi scolastici, sono stati tutti fattori che hanno contribuito a far accettare, nella dialettica delle posizioni, il contributo delle Confederazioni. Non va sottaciuta l’importanza di questa assunzione di responsabilità che ha dimostrato la fiducia positiva dello schieramento sindacale nella costruzione di un ampio movimento di riforma e il superamento di aprioristiche contrapposizioni ideologiche. Infine il sindacato è sembrato sensibile a salvaguardare e valorizzare la realtà associativa dei genitori democratici, nell’avvio di un confronto aperto per la creazione di una larga aggregazione di forze anche diverse per ruolo sociale ed ideologia ma accomunate da una volontà di salvezza e di riforma della scuola. Ma la gestione dell’importante impegno da parte delle Confederazioni ha messo a nudo tutta l’improvvisazione e la frettolosità della decisione, una buona dose di avventurismo e anche di irresponsabilità. Non si fa cenno qui del ritardo grave con cui ci si è presentati alla scadenza, della confusione e delle inevitabili conseguenze sulla composizione delle liste. Ma del modo con il quale è stata condotta la mobilitazione elettorale.
La gestione è stata affidata quasi interamente al sindacato CGIL-Scuola, perpetuando la deleteria abitudine dell’addetto ai lavori e distogliendo le energie dei compagni della scuola dal loro specifico settore di intervento, che pure merita grande attenzione. Si è constatata l’inefficienza, a volte il disimpegno, delle strutture sindacali di zona. Non si è stati presenti, non si è sviluppato, non dico il dibattito, ma nemmeno informazione nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro. Tutto questo ha aggravato la già difficile posizione d’una lista sindacale aperta che avrebbe dovuto superare le storiche diffidenze di strati di genitori e di lavoratori poco o per nulla organizzati (le casalinghe soprattutto, ma anche i contadini, gli artigiani, i commercianti, i ceti medi urbani). Questi rilievi devono essere avanzati con tanta maggiore forza proprio per la “politicità” della decisione sindacale di partecipare con proprie liste alla consultazione, al di là dei tre designati di diritto per ogni distretto: evidentemente da taluni si era voluto dare alla presenza del programma e delle liste sindacali ben altra corposità e rilievo, che meritavano di essere sottolineati ed analizzati e che tanto più ora esigono la verifica della critica. Per quello che riguarda il partito è bene dirlo esplicitamente: a Venezia abbiamo accettato di governare politicamente la decisione sindacale di partecipazione alle elezioni per evitare confusioni dell’ultima ora e dannose contrapposizioni, e scontando il disimpegno grave del partito nel lavoro di coordinamento e di assistenza dei genitori democratici eletti tre anni fa negli organi collegiali.
Ma questo non si ripeterà più: l’ossatura dell’associazionismo dei genitori non è né potrà essere il Sindacato. C’è bisogno di un qualificato rilancio dell’impegno sindacale (che deve tendere ad informare e a coinvolgere nella partecipazione sociale i lavoratori). Occorrerà coordinare gli eletti delle due liste e definire gli strumenti di un efficace lavoro unitario. Ma soprattutto si deve costruire un tessuto organizzativo di genitori democratici che possa diventare per tutte le famiglie un punto centrale di riferimento per un’azione di orientamento, di elaborazione, di proposta sui temi della scuola.
Il COGIDAS. Le elezioni hanno svelato impietosamente anche i limiti del Cogidas veneziano e dimostrato l’inesistenza dell’associazionismo in provincia. Il ridimensionamento è stato effettivo anche in zone –come Venezia- dove era stato svolto negli anni scorsi un paziente lavoro nelle scuole: sono affiorati i limiti politici e di classe dell’organizzazione. In molte scuole, soprattutto nelle zone popolari, il COGIDAS era addirittura ignorato; s’è pagato il tono laicista tanto esasperato da giungere all’autolesionismo (come hanno insegnato le vicende delle scuole materne religiose). E’ stato presuntuoso anche il presentarsi –nella scheda elettorale- con una sigla (COGIDAS, appunto) ancora incomprensibile per larghe masse di genitori. Ma pur in presenza di questi limiti, ed anche constatando uno stile di lavoro elitario ed esclusivista nel gruppo dirigente attuale del COGIDAS, il partito comunista rilancia l’esigenza di avere, in provincia, un organismo autonomo di massa dei genitori democratici, qualificato per capacità di proposte e serietà di impegno, capillarmente diffuso nelle scuole.
Abbiamo bisogno, per essere all’altezza del compito, di aprire una fase congressuale di dibattito e di rifondazione del COGIDAS veneziano, lavorando di concerto con le strutture regionali, per raggiungere tre obiettivi: a) penetrare, con le strutture associative, negli strati popolari e proletari, fra i contadini, fra le donne, per generalizzare a livello di massa la cultura e il movimento della riforma, per sviluppare opinioni e convincimenti democratici e progressivi fra la gente sulla scuola; b) superare la centralità veneziana per avere un’associazione veramente provinciale, presente in tutti i distretti, nei paesi e nei quartieri metropolitani; c) creare un’associazione unitaria, laica e pluralista, aliena da integralismi ideologici, realmente autonoma e libera dalle angustie di partito, capace anzi di essere interlocutore interessato e credibile degli stessi partiti democratici. Un organismo che, studiando le più opportune forme di coordinamento, di assistenza e di appoggio per il lavoro che i neo-eletti dovranno fare negli organi collegiali, dimostri subito di saper entrare nel merito dei problemi concreti di analisi dell’organizzazione scolastica e di programmazione del suo funzionamento, dell’innovazione e dello sviluppo dei processi formativi.
Gli studenti. Nel voto studentesco si possono rintracciare tre linee di tendenza. 1) La tenuta delle liste unitarie e democratiche di movimento (eccettuati l’autentico crollo di Chioggia –del resto già previsto dai compagni ma poco contrastato- e l’esito imprevisto del voto di Mestre-Nord). Questa risicata affermazione (il 51%) non è il frutto di un lavoro accurato e metodico, e che viene alla fine di un faticoso impegno, ma va interpretata piuttosto come uno stanco retaggio dell’egemonia degli scorsi anni. In particolare la FGCI poco o nulla ha fatto per informare gli studenti delle potenzialità dei nuovi organi, dei supporti interessanti che recano -nel territorio e nei collegamenti sociali- alla necessità e qualità del processo riformatore, per riflettere con serietà sulla sfiducia e sul disinteresse provocati dall’esperienza deludente dei Consigli scolastici. C’è stata una carenza quasi assoluta di documenti analitici e, per conseguenza, un dibattito inesistente o strumentale, spesso demagogico, insomma una grande confusione. Da questo punto di vista la scarsa partecipazione al voto non sorprende, e insieme rivela il pericoloso grado di logoramento del rapporto tra i giovani e l’istituzione scuola. Talvolta si è avuta persino l’impressione di una affettazione di snobismo antiistituzionale nei giovani compagni della FGCI (nonostante l’impegno e l’acutezza di analisi del suo segretario, Michele Boldrin), di disinteresse per le “minuterie riformatrici” , di indulgenza eccessiva nei confronti dello spontaneismo movimentista e, di conseguenza, di ignoranza e di svalutazione di tutta l’elaborazione della riforma della scuola e dello Stato, delle sue forme storiche e dei suoi passaggi istituzionali. 2) Nel confronto tra Venezia-Mestre e la provincia si nota una più solida affermazione del movimento democratico nei distretti di mandamento, in particolare a Dolo e a Portogruaro. Evidentemente c’è una vitalità della provincia che è stata finora ignorata e sacrificata, e che d’ora in avanti deve essere con più attenzione valorizzata. 3) C’è stata un’avanzata degli studenti cattolici, vincenti in quasi tutte le città del Veneto, con punte anche notevoli. Il risultato elettorale può sorprendere solo chi è rimasto ancorato con miopia all’inadeguatezza delle tipologie psico-sociologiche nell’analisi degli orientamenti delle masse studentesche. Non c’è in noi alcuna sottovalutazione della drammaticità strutturale della condizione giovanile, del suo intreccio con la crisi ideale e di valori, e delle inquiete tensioni che ne derivano. Ma proprio perché vogliamo risolvere questi problemi –e non solo contemplarli romanticamente- dobbiamo evitare assolutamente di dare loro pesi sociali sbagliati, favorendo l’amplificazione della propaganda estremistica e una legittimazione politica arbitraria a gruppi e fazioni di disordinati e violenti, in una società tecnologica in cui spesso le forme della comunicazione incidono più della sostanza.
C’è una tendenza moderata tra i giovani, un moderatismo democratico informato e cosciente di gran lunga prevalente su spinte nettamente di destra e fasciste (una lista “montanelliana” a Padova ha preso il 20% dei voti, a Verona il MSI ha raggiunto il 13,5%), che si è cementato nello schieramento cattolico, oltre che per le ragioni esposte prima a proposito dei genitori, anche per l’inadeguatezza nostra a penetrare fra le masse dei giovani, non solo studenti, con le nostre proposte ideali e di riforma, valorizzate proprio negli assi più significativi di nuova formazione culturale e di organizzata “utilità sociale”. In questi ultimi due anni si è smarrito un orientamento, anche precario, di una larga fascia democratica di studenti intorno alla FGCI, che sta scontando –a me sembra- anche le conseguenze di una direzione politica disattenta nell’educazione ad una coscienza storica e ad una cultura politica dei giovani militanti, cedendo a forme e metodi spontaneistici. Sono temi questi non nuovi di un dibattito che mai si è potuto avviare, per motivi diversi, con la FGCI veneziana, ma che ora esigono di essere affrontati sul serio dal partito.
Rispetto ai primi anni Settanta la realtà del paese è mutata. Il PCI si è candidato alla direzione politica della società italiana, cosciente anche dei limiti e delle contraddizioni del quadro politico-sociale e dello sfascio economico ed istituzionale. La classe operaia e il partito si sono dati un progetto per affrontare e risolvere la crisi, per rifondare lo Stato, per governare la transizione. E’ in atto in questi mesi un movimento eversivo che pone in discussione –nei giovani soprattutto- il rapporto con lo Stato e con la democrazia organizzata. In questo contesto cosa vuole e deve essere la FGCI? C’è il pericolo di una forte spinta verso l’organizzazione di tutto quello che si muove nel sociale –più o meno scompostamente- rispetto al partito che ha funzione di governo; può esserci la volontà di recupero di un ruolo scomponendo in modi economicistici e frantumati la proposta politica complessiva del partito. Sono temi di discussione che pongo con grande problematicità. C’è bisogno di approfondirne politicamente l’esattezza e le implicazioni, con la coscienza di muoverci su un terreno difficile e inesplorato. Ma per questo c’è da chiedere con energia: a) un accrescimento di maturità, di cultura, di formazione politica dei giovani comunisti, con un’attenzione maggiore alla composizione sociale dei gruppi dirigenti dell’organizzazione, aiutando le ragazze, gli apprendisti e gli operai, i disoccupati delle leghe; b) l’aumento dei circoli nelle sezioni, nel territorio; la creazione di nuclei di studenti medi in tutti gli istituti; un’attenzione specifica per l’organizzazione universitaria; c) una vita interna viva e democratica che, nella saldezza organizzativa, favorisca la più ampia partecipazione alla formazione delle scelte politiche; d) una più attenta politica dei quadri, con scelte e responsabilità rigorose; e) un rapporto più organico tra la FGCI e la Commissione Scuola e Cultura. C’è un’autonomia dei giovani da valorizzare certamente ma non si deve favorire una pratica di corpo separato e incontrollato.
Gli insegnanti. La prima impressione che si ricava, leggendo i dati, è quella di una vittoria dei sindacati confederali (il 50% circa dei voti), omogenea in tutta la provincia. Ma se proviamo a scomporre il risultato e a confrontarlo con gli esiti delle recenti elezioni del febbraio 1977 al Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione troveremo che: a) questa volta l’intera Federscuola-Cisl (compreso il Sinascel) si è collocata dentro la sigla confederale unitaria ma la somma dei voti di Cgil-Cisl-Uil è inferiore ai risultati delle precedenti elezioni; b) il riscontro dà una Cgil-Scuola ulteriormente rafforzata e cresciuta in omogeneità nei settori e nel territorio; c) il Sinascel non ha tenuto, la sua base è confluita massicciamente in “Pres. Crist.”; d) i sindacati autonomi sono stati ridimensionati; e) “Pres. Crist.” è considerevolmente cresciuta in tutti gli ordini scolastici, pescando anche fra gli autonomi.
Nella scelta elettorale, perciò, motivazioni di carattere politico e soprattutto culturale e ideale sono prevalse su quelle più rozzamente corporative, e si è confermata la presa ulteriore tra gli insegnanti di un polo di riferimento cristiano, nello stesso tempo moderato e pur cautamente rinnovatore, che sostanzia “un’egemonia autentica, se pur corazzata di clientelismo”, per dirla con Gramsci. La presenza comunista nel SNS-CGIL deve trarre stimolo potente da questo voto, per evitare tentazioni settarie da grande forza e per rilanciare la politica unitaria. Non con accelerazioni forzate che –si è visto- non pagano ma stimolando un dibattito franco, per una maturazione politica e culturale della categoria, e che abbia chiaro l’obiettivo dell’unità per tappe e passaggi successivi che trovino effettivo riscontro nella convinta adesione dei lavoratori. Abbiamo preso coscienza dei frutti notevoli ma pur anche dei limiti dell’azione sindacale di questi anni. La contrattazione triennale e la riqualificazione professionale possono essere gli assi di un rinnovato impegno del sindacato nella difficile opera di riforma della scuola. Su questi temi apriremo un approfondito confronto tra i lavoratori comunisti della scuola, sia per rilanciarne la tensione ideale e culturale, sia per sviluppare su larga scala l’associazionismo professionale sui temi del rinnovamento didattico e delle proposte di riforma degli ordinamenti scolastici.
L’Ente locale. I Comuni hanno lavorato poco e male nel preparare, a livello di informazione e nell’approntamento di strumenti e sedi di dibattito, la scadenza elettorale. Soprattutto quelli amministrati dai partiti di sinistra. Solo a Mirano si è effettuata una conferenza di distretto: e pochissimi Consigli di Quartiere si sono adoperati in quello sforzo di mobilitazione unitaria che pure era possibile. Ora sicuramente il voto, ma anche gli impegni attuativi della legge n. 382, determineranno nuovi e più complessi compiti per le autonomie locali in presenza di interlocutori diversi ed esigenti, e col profilarsi di attacchi antistatalistici sulle competenze e sulle funzioni dell’Ente locale. Su questo terreno noi non potremo rinchiuderci in una difesa puramente nominalistica dei poteri autonomistici. Il Comune dovrà essere un effettivo centro di democrazia organizzata sviluppando il decentramento e trovando le forme più opportune per l’estensione della partecipazione democratica delle masse alla gestione dei servizi e alla corresponsabilizzazione politica e culturale, in una programmazione coerente e qualificata del proprio intervento.
Proposte di lavoro. Quest’ultimo paragrafo è necessariamente sintetico perché affida al lavoro dei prossimi mesi il compito di dettagliare in maniera particolareggiata i temi che qui si accenneranno. Ma limpido deve essere l’orientamento politico che dovrà guidare la nostra azione. Sarebbe deleterio ogni comportamento incoerente, ogni tentazione di rivincita e di suggestioni estremizzanti: noi eviteremo lo scontro degli integralismi ideologici e solleciteremo un confronto ampio, articolato e concreto, per far funzionare i nuovi organi collegiali e dare loro incisività di comportamenti e di obiettivi, per costruire un blocco largo e unitario di forze capaci di operare positivamente per la salvezza e la riforma della scuola pubblica e di massa. In particolare: 1) svilupperemo il tessuto associazionistico dei genitori democratici con uno sforzo di tutto il partito. Si dovranno creare nuclei COGIDAS in ogni scuola, nominando delegati che costituiranno una rete di coordinamento nei quartieri e nei paesi, e poi a livello distrettuale; 2) punteremo a costituire la Consulta del partito in ogni distretto, al cui interno siano rappresentati adeguatamente gli eletti dei genitori, dei lavoratori della scuola, degli studenti, il partito, il sindacato, l’Ente locale, perché siano efficaci lo studio e l’elaborazione dapprima e coordinata poi la proposta nel Consiglio distrettuale; 3) miglioreremo, questo è l’auspicio, il lavoro della Commissione Scuola. Abbiamo fatto dei passi avanti nello sviluppare il dibattito, abbiamo precisato le responsabilità di settore e ci siamo sforzati di superare le improvvisazioni assemblearistiche. Ma restano da fare enormi progressi nel definire i legami di azione col partito (le sue sezioni, le zone), nell’omogeneizzare il lavoro degli Enti locali, nell’approfondire l’analisi nello specifico dei problemi della riforma scolastica, nell’informare e coinvolgere in pieno e con continuità le compagne e i compagni.
Il Responsabile della Commissione Scuola provinciale veneziana
Gennaro Cucciniello
20 dicembre 1977