Una mostra dei Brueghel nella reggia di Venaria: contadini e capitalisti

Brueghel, il ritratto del capitalismo all’alba

 

La Reggia di Venaria ospita 150 anni di vita fiamminga attraverso le opere della più importante dinastia pittorica delle Fiandre. Per la prima volta il popolo minuto, il lavoro e la miseria irrompono sulla tela. L’appuntamento è con “Brueghel. Capolavori dell’arte fiamminga”, mostra a cura di Sergio Gaddi e Andrea Wandschneider. Riproduco un articolo di Eleonora Belligni che su “La Lettura”, supplemento domenicale del “Corriere della sera” del 25 settembre 2016, alle pp. 26-27, analizza l’importanza e il significato della mostra.

Con Pieter Brueghel il Vecchio il mondo rurale, con i suoi sentori e i suoi sapori, fa la prima coerente comparsa nella pittura occidentale (nel momento in cui tanti pittori fiamminghi si ispiravano alle raffinatezze intellettualistiche del Manierismo italiano), ma lo sguardo del pittore è quello dell’osservatore distaccatoPieter-Bruegel, nozze ( si veda al tavolo delle “Nozze di contadini” del Kunsthistorisches Museum di Vienna il borghese, con un bel vestito nero orlato di pelliccia, che in atteggiamento serio e compreso osserva la tavolata che festeggia). Il pittore si serviva dei contadini per parlare a un pubblico molto diverso da quello delle campagne. L’Anversa in cui visse gran parte della sua vita era a quel tempo la quinta città d’Europa per dimensioni dopo Londra Parigi Napoli Venezia e una delle più ricche, abitata da mercanti, professionisti e raffinati umanisti. Brueghel faceva parte di questa cerchia e i suoi dipinti andavano ad adornare le case private di collezionisti colti e benestanti. E allora, quale poteva essere la funzione delle sue opere e che genere di pensieri potevano mettere in moto negli spettatori? Sicuramente le rappresentazioni delle stagioni si collegavano ai cicli medievali di raffigurazioni dei mesi e dei lavori nei vari periodi dell’anno. “I Cacciatori nella neve” (1565 circa) del Kunsthistorisches di Vienna, che tornano a casa tra gli alberi rinsecchiti, sullo sfondo di un paesaggio visto a volo d’uccello, dominato dal bianco della neve e dal grigio del cielo e degli stagni  gelati, vedono non solo gente che pattina o va in slitta, ma anche contadini operosi, intenti a fare il fuoco o a portare fascine di legna, chi a piedi chi col carro. All’operosità dignitosa di questa campagna si contrappone l’allegria delle danze e dei banchetti nuziali e l’umorismo, a volte amaro, dei quadri che raffigurano i proverbi (chi dice per interesse “etnografico”, chi sostiene per una riflessione moralistica sui vizi umani).

                                                                                  Gennaro  Cucciniello

L’Autunno del Medioevo: così, nel 1919, lo storico olandese Johan Huizinga definì la stagione del declino della civiltà borgognona, intrisa di valori secolari, simbologie nobiliari e codici cavallereschi. Nei primi decenni del Cinquecento, dal sud dell’Europa, insieme con lo spirito del Rinascimento erano soffiati venti di novità e rivolta. Li aveva avvertiti Erasmo da Rotterdam, capofila dell’umanesimo cristiano del nord, corrispondente e amico dei più grandi intellettuali dell’epoca. Papato e impero, i due soli del vecchio continente, perdevano il ruolo di garanti dell’ordine universale in favore degli Stati territoriali; l’unità cattolica scricchiolava; ansie apocalittiche inneggiavano alla fine del mondo mentre le scoperte geografiche lo ampliavano. Gli umili reclamavano giustizia, prendevano le armi, chiedevano più ricchezza per loro e più povertà per la Chiesa.

Pieter Brueghel, detto “il Vecchio” (1526-1569), fu chiamato a ritrarre questo passaggio epocale. Egli diede inizio alla più prolifica dinastia di pittori, incisori e impresari artistici di tutto l’Occidente che, dalla metà del XVI secolo e per 150 anni circa, operò in seno alla gilda dei pittori di San Luca di Anversa. Le opere dei Brueghel (da Pieter al pronipote Abraham) approdano alle Sale delle Arti della Reggia di Venaria dal 21 settembre 2016 al 19 febbraio 2017, in una mostra curata da sergio Gaddi e Andrea Wandschneider.

Intorno a Pieter, come un gigantesco formicaio, brulicava l’operosa Anversa, nuova regina dei commerci. Anversa, dalle rive del fiume Schelda, si sporgeva verso il mare del Nord e verso l’Atlantico: da quando, nel 1501, era approdato un carico di pepe e noce moscata, i Portoghesi vi avevano dirottato i traffici di Venezia. Le navi portavano l’argento spagnolo del Nuovo Mondo; le spezie e il vino, lo zucchero e il sale dalle colonie giungevano senza sosta, mutando il gusto e la conservazione degli alimenti, mescolandosi nei nuovi ritrovati della farmacopea. Frutti, bacche, fiere mai viste e qualche sparuto indio si aggiravano tra i tanti stranieri. In questo Eden della domanda e dell’offerta si disegnavano le nuove frontiere del consumo e del lusso. Nel porto fluviale e nelle botteghe del borgo si potevano trovare legno e cavalli dal Baltico; allume dall’Italia; semilavorati tessili dall’Inghilterra, drappi dal lontano Oriente.

Anversa era la fiera di tutte le fiere: travolta quattro volte l’anno da fiumi di merci, di bestiame, di umanità varia; da musica, cibo, odori, eccessi. Non solo un mercato: una festa profana, un Carnevale antico dove, a tratti, i freni si allentavano, i ruoli sociali si mettevano in discussione. In queste occasioni, i contadini raggiungevano la città. Pieter il Giovane, figlio del Vecchio, li ritrasse più volte durante il Ritorno dalla Fiera, ancora ebbri di vino e trasgressioni. Del loro sprezzo per la vita, della materialità feroce, dei giochi crudeli o pericolosi, della caccia alla selvaggina scandita come un rito di sopravvivenza s’innamorarono i primi Brueghel. Tra simbolismo boschiano e realismo, essi furono i primi a ritrarli in coralità quotidiane, mentre uccellavano, pattinavano sul ghiaccio e andavano a nozze. Immagini colorate, ma di rara crudezza. Nelle campagne, più che nelle città, le donne erano oggetto di sopraffazione e violenza, i bambini morivano troppo spesso per essere oggetto d’amore e bastava un’annata cattiva a trasformare fittavoli e braccianti nei mendicanti che affollavano le città, divenendo oggetto, come nell’omonimo quadro di Pieter il Giovane, delle Opere di Misericordia (1616).

Nei palazzi dei nobili e della grande borghesia nascente, altre erano le preoccupazioni. Anversa era il nido del capitale, dove si erano insediati i banchieri tedeschi, come i Welser e i Fugger. Lettere di cambio, credito a interesse, azioni minerarie e appalti milionari si convertivano in ducati che compravano l’elezione di imperatori e vescovi, costruivano cattedrali, armavano eserciti, sedavano rivolte, acquistavano il diritto ad amministrare le tasse e la giustizia e finanziavano la cultura e gli artisti. Al tempo di Pieter il Vecchio, Anversa era il centro del mondo, dove tutto trovava una ragione economica.

Ma, nelle campagne come negli edifici cittadini, la morte era più forte del denaro. Trent’anni vivevano in media gli uomini: meno le donne, per le quali ogni parto era un azzardo. L’igiene inesistente, le epidemie e qualche pratica bizzarra (come il vino ai neonati) uccidevano la metà dei bambini fino ai 15 anni. Eserciti mercenari, saccheggi e carestie imperversavano senza sosta. La pena capitale puniva molti dei crimini più comuni. I ricchi morivano anche di eccessi alimentari (la carne) o, se malati, per l’accanimento di medici ignoranti. La vita, per tutti, durava una manciata d’anni. Se l’economia reggeva questo mondo, lo spirito guardava necessariamente all’altro.

Fin dal Medioevo, la vita spirituale delle Fiandre aveva preparato la strada alla grande frattura protestante. Anche il nord dell’Europa era stato percorso da movimenti spirituali di ogni tipo, guardati da Roma –con orrore- attraverso l’occhio professionale dei più famosi inquisitori. Beghine e begardi, macerati da preghiere e stenti; mistici ispirati; correnti millenaristiche; sette e confraternite per ogni gusto. Nelle città e nelle campagne si aggregavano comunità di preghiera e ascesi: i Fratelli della Vita Comune, i lettori e i seguaci dell’Imitatio Christi. Non ultimi, assai folcloristici, i Fratelli del Libero Spirito e la Libera Intelligenza, che appaiavano il sesso libero e lo Spirito Santo: essi avrebbero ispirato, si disse, le dissacranti allegorie di Hyeronimus Bosch, che tanto influenzarono Pieter il Vecchio. Quando, tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, gli umanisti chiamarono al rinnovamento cristiano, insistendo sul ritorno ai Vangeli e sull’esempio morale della vita di Gesù, molto era già stato sperimentato in ogni strato della società.

La Riforma di Lutero e poi di Calvino aveva attecchito su questo terreno, entusiasmando intellettuali e mercanti, finanzieri e popolo. Nel giro di un trentennio (dagli anni Venti ai Cinquanta) molti si erano convertiti: tanto che, di fronte all’ostilità del legittimo sovrano, Filippo II d’Asburgo, era nata la rivolta dei Paesi Bassi. Furono ottant’anni di guerre; intanto, nelle cosiddette Province Unite, si affermava la Repubblica e il principio, sebbene a volte disatteso, della tolleranza religiosa. Con l’indipendenza dagli Asburgo, il XVII secolo fu l’età dell’oro delle Fiandre, che divennero, con l’Inghilterra, una potenza navale, culla del capitalismo mondiale.

A questa nuova stagione non partecipò, tuttavia, Anversa, che pagò il suo precoce schierarsi contro la tirannia spagnola. Molti, moltissimi i morti; le campagne messe a ferro e a fuoco dalle soldatesche del duca d’Alba; le fiere, i mercanti e i banchieri trasferiti altrove.

I Brueghel restarono. Tra committenti e collaboratori, maestranze ed emuli, essi furono linfa vitale per la città moribonda: l’età dell’oro olandese trionfa nei loro dipinti. Ma il senso della precarietà, delle guerre combattute, del sangue versato, li impregna a tratti di un oscuro messaggio. Nella dorata Olanda la vita quotidiana dei più era ancora breve e agra. Con Jan Brueghel il Giovane sbocciarono allegorie ( come le Allegorie dei sensi e degli elementi); la mitologia classica (le Tre Grazie con un cesto di fiori; Vertumno e Pomona); nature morte (i tanti Vasi di fiori); cacce (La visione di Sant’Uberto) e vedute (fluviali e rurali): immagini che rivelano, tra l’abbondanza di carni e velluti, di oggetti e vegetazione, i segni della corruzione e della vanitas. Di certo dopo i Brueghel non fu più possibile scacciare dai quadri il popolo minuto, i suoi costumi e abitudini, il lavoro e la miseria.

                                                                                  Eleonora Belligni