Una dittatura islamica immaginata pensando a Orwell.
Lo racconta il romanzo, “2084”, di uno scrittore algerino, Boualem Sansal.
Che continua a vivere in patria. Da recluso. Marco Cicala lo ha intervistato.
L’articolo è stato pubblicato nel “Venerdì” di “Repubblica” il 19 febbraio 2016. L’ho giudicato interessante e ho deciso di pubblicarlo nel Sito, anche alla luce delle analisi che in Occidente si fanno sempre più precise e circostanziate. E’ evidente che sul jihadismo è diventato senso comune, in Europa ma soprattutto in Italia, l’intreccio di due illusioni complementari: da un lato la Sinistra vede i fanatici islamisti come poveri ed emarginati, dall’altro la Destra li confonde con superficialità con gli immigrati. Paolo Mieli, in un articolo sul “Corriere della sera” ci avverte: l’essenza della religione è quella di essere senza confini e trasversale tra le classi. Può essere inghiottito dal fanatismo islamista sia un giovane cresciuto in una banlieu sia uno studente brillante laureato sia uno psicolabile in cerca di identità e di riscatto. Negando la realtà le classi dirigenti occidentali perdono la fiducia della gente e favoriscono il nutrimento del razzismo e della xenofobia. Dobbiamo saper riflettere sull’Islam con lucidità e senza riverenza, bisogna capire sia il tentativo di islamizzare il radicalismo sia la radicalizzazione dell’Islam.
Gennaro Cucciniello
Come le utopie, loro consorelle più ottimiste, anche le distopie (utopia al contrario, situazione futura presentata e descritta come negativa) invecchiano. Di tanto in tanto vanno rinfrescate. Se non altro perché in terra non c’è mai limite al peggio. Perciò nel romanzo “2084” (Neri Pozza editore, pp. 256, € 17) lo scrittore algerino Boualem Sansal aggiorna le premonizioni orwelliane di “1984” immaginando un futuro –che in parte è già presente- dove al posto dei vecchi totalitarismi politici ce n’è uno solo: religioso e planetario. Nel libro il New Brave World si chiama Abistan, sinistro impero governato da preti-poliziotti che lavorano per conto del dio Yolah e di Abi, suo profeta. Una realtà monotona e insieme truculenta, scandita da uno stillicidio di preghiere rituali, pellegrinaggi, spettacolari esecuzioni pubbliche. Qualsiasi riferimento a odierni califfati e teocrazie è puramente voluto.
Sintetizzata così, potrebbe sembrare un’operazione letteraria furbetta. Però Sansal non è un romanziere di primo pelo a caccia di clamori mediatici. Classe 1949, è al tredicesimo libro e ha lunghi capelli grigi raccolti in una coda di cavallo; acconciatura che da noi passerebbe inavvertita, ma che forse riesce ancora parecchio alternativa a Boumerdès, la città vicino Algeri dove lui si ostina a vivere. Vivere per modo di dire. “Quando non viaggio, sto chiuso in casa. Dove potrei andare? Tutti i cinema, i bar hanno chiuso” mi racconta. Non è solo un problema di mancanza di distrazioni. “Fino agli anni ’80 questo era un polo universitario con gente d’ogni nazionalità, francesi, americani, russi”. Tutto finanziato coi guadagni del petrolio. Poi nel 1986 il prezzo del greggio collassa. Finiscono i soldi. “Gli stranieri se ne andarono tutti”. Ne giunsero altri. Una nuova classe docente e catechistica da Siria, Libano, Iraq. “Religiosi dei quali quei Paesi volevano liberarsi”. Iniziava anche così l’islamizzazione di un grande Stato arabo laico che avrebbe innescato la guerra civile degli anni ’90. “In città c’era una sola moschea. Oggi sono quindici”.
La prima moglie di Sansal era cecoslovacca. Si conobbero nella Praga comunista. Lui –giovane ingegnere di un’Algeria ancora socialisteggiante- era lì per un programma di scambio studentesco. Da sposati si stabiliscono a Boumerdès. Fanno due figli. Finché non comincia a tirare un’ariaccia. Cresce l’invadenza degli imam. Boualem e consorte decidono di portare i ragazzi a Praga. Nel frattempo il Muro è crollato. Presto il loro matrimonio farà la stessa fine. Sansal si è risposato con un’algerina, insegnante di matematica. “Ma l’hanno cacciata dal lavoro”. Un po’ per via del marito irriverente e un po’ perché lei si rifiutava di obbedire alla nuova didattica. “Non puoi più dire a un ragazzino che uno più uno fa due. Ora devi dirgli: Fa due se Dio lo vuole”. Non hanno figli. “Se ne avessimo ce ne saremmo già andati da un pezzo”. A ogni nuovo libro Sansal si becca un tot di minacce: Insudici la terra dei Martiri, non meriti di vivere; tornatene dai francesi. Perché resta? “Qui ho genitori, fratelli… E poi in Algeria sono un intellettuale che dice la sua. A Parigi diventerei una creatura esotica. Ma, a parte questo, la minaccia è ormai mondializzata. Non sei più al sicuro da nessuna parte. Il regime militare algerino tollera una quota di dissidenza a cauzione della facciata di democraticità”.
Ma le voci non allineate sono sempre più minoritarie, sfiatate. E nel Palazzo non si capisce bene che cosa succeda. A 78 anni, Abdelaziz Bouteflika è un leader fantasma, da tempo ammalato e avvolto dal segreto. Dicono che –sulla falsariga di Cuba- il potere sia passato nelle mani del fratello Said. Che c’è da aspettarsi dal dopo-Bouteflika? “Di tutto. Inclusi scernari di tipo iracheno, libico, siriano. Se andasse così, l’esilio sarebbe obbligato”. Ex funzionario governativo, Sansal è arrivato alla scrittura a 50 anni, durante la guerra civile algerina. Si dichiara ateo, libertario. Ma a certa sinistra –non solo parigina- non piace. Lo buttano nel calderone degli islamofobi. “Mi considerano un alleato oggettivo del Front National”. Da questo punto di vista l’endorsement di Michel Houellebecq –che ha benedetto “2084” come un romanzo molto più radicale del suo Sottomissione– non gli ha dato una mano. “Nel suo libro Houellebecq immagina che in Francia arrivi al potere un musulmano light. E’ un’ipotesi suggestiva ma non ci credo. L’Islam non può patteggiare con la democrazia. Per dialogare con noi –dicono- è la democrazia che dovrà riformarsi. I francesi continuano a battere sulla nozione di laicità. Non si rendono conto che nel mondo musulmano quel concetto non ha senso, non esiste. E’ timidamente entrato nel dibattito solo negli ultimi trent’anni”.
Sul cosiddetto islam moderato rincara: “Nei Paesi arabi anche i religiosi meno ferventi si sono lasciati sedurre dalle invettive moralizzatrici dei radicali contro la corruzione dei vecchi poteri oligarchici. Pur non approvandole, si dicevano: Qualche ragione ce l’hanno. Sono caduti nel meccanismo di vittimizzazione delle componenti religiose “discriminate e represse”. E il discorso era: “Dopotutto incarnano un’etica antica di valori puri, sobri, anticonsumistici. In ogni caso, meglio non infierire. Se dovessero vincere potrebbero vendicarsi”. Corretto con un po’ di terzomondismo, sensi di colpa post-coloniali e un residuo di inconscio cattolico, è un po’ lo stesso meccanismo che ha portato certi intellettuali occidentali all’indulgenza verso il radicalismo”.
A chi accusa il suo libro di presentare come granitico un islam che è invece violentemente diviso Sansal risponde: “Da un lato la visione di un islam unitario rispondeva alle esigenze didascaliche del libro. E poi non è detto che nei prossimi decenni una corrente non si imponga sull’altra. Sarà il wahabismo saudita? O l’Iran sciita? Vedremo”. La stessa divisione dell’islam non è per forza un vantaggio: “Dialogare? Certo, ma con chi?”. La mancanza di un interlocutore unico, di una Chiesa, complica la faccenda.
“2084” soffre della rigidità del romanzo a tesi. Le pagine migliori sono quelle in cui si analizzano i funzionamenti più impalpabili del dominio, con parola abusata diremmo la sua biopolitica. Pagina 40: “Il Sistema non vuole che la gente creda, perché quando credi a un’idea puoi credere a un’altra, opposta, per combattere l’illusione precedente”. Commenta Sansal: “In Europa è stata frenata dall’Illuminismo, ma di per sé ogni religione tende a farsi totalitaria. Le teocrazie però non esigono che i sudditi credano: quel che conta è controllarne la vita, i comportamenti. Nella fede autentica rimane sempre qualcosa che fa riferimento al dubbio, all’intelligenza, vuoi alla trasgressione. Per questo ai regimi religiosi la fede non interessa, al limite la temono. Lavorano sulla Credenza”. Come nell’universo orwelliano, anche nell’impero di Abistan l’indottrinamento passa per una nuova lingua, l’Abilang, che è pura suggestione priva di logica significante. “Estremizzo, ma non siamo poi così lontani dall’arabo di cui si servono oggi predicatori e propagandisti. Un vocabolario ridotto a una cinquantina di parole. Mentre il lessico dell’uomo contemporaneo ne conta in media almeno tremila”.
“2084” era ben piazzato per vincere il Goncourt, ma non gliel’hanno dato. Forse per paura. Ha ottenuto invece il premio dell’Académie francaise. In Algeria i libri di Sansal circolano? “Sì ma sous le manteau”. Sottobanco. Boicottati senza però censure ufficiali. Quasi non ne avesse già dette e fatte abbastanza, nel 2012 Sansal è volato a Gerusalemme per il Salone del libro. Guardatelo su Youtube mentre visita il Muro del pianto. Subito scomunicato da Hamas, è finito nella lista dei fiancheggiatori sionisti. Se ne infischia. Appena rientrato, ha scritto un editoriale intitolato Sono andato a Gerusalemme e ne sono tornato arricchito e felice. Ha paura? “Certamente, ma il brutto è che ci si abitua a tutto”. Nel 1993 il giornalista e poeta algerino Tahar Djaout fu ammazzato da un commando con due colpi alla testa mentre si trovava in auto davanti a casa. Nei suoi interventi Boualem Sansal ama spesso citarne i versi che dicono: “Se tu parli, muori / Se tu taci, muori / Allora parla e muori”.
Marco Cicala