Quei figli assassini senza senso di colpa
Nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 2017, a Pontelangorino (frazione di Codigoro) in provincia di Ferrara, i coniugi Salvatore Vincelli e sua moglie Nunzia –di 59 e 45 anni- sono stati uccisi in modo feroce, con un’ascia, dal figlio Riccardo, di 16 anni, aiutato da un amico, Manuel, di 17 anni.
Quello che più colpisce dell’atroce delitto di Codigoro è l’assenza di senso di colpa nei due giovanissimi assassini. Del figlio innanzitutto, ancora più del suo sanguinario complice. La motivazione del suo gesto appare sconcertante nella sua semplicità: “Non sopportavo più le loro prediche”, “volevo liberarmene”.
La grande tragedia di Edipo re di Sofocle, riletta da Freud, ha elevato la ferocia del figlio Edipo che assassina il padre a paradigma di una scena universale: ogni figlio vuole liberarsi di suo padre e dei suoi genitori per realizzare il proprio desiderio. Il conflitto tra le generazioni, lo sappiamo, è un passaggio fondamentale nel processo di umanizzazione della vita. Necessariamente l’esistenza di una Legge implica anche la tendenza alla sua violazione trasgressiva. Ma Edipo, che realizza la più estrema delle trasgressioni, porta anche su di sé i segni dei terribili crimini del parricidio e dell’incesto. Per questo al termine della tragedia si cava gli occhi con i fermagli dei capelli di sua moglie e madre Giocasta. A dimostrazione che la Legge si è iscritta nel suo corpo nella forma del senso di colpa per ciò che ha commesso.
Nel delitto di Codigoro, invece, in primo piano non c’è alcun conflitto tra Legge e desiderio e, di conseguenza, nessuna esperienza autentica della colpa. La fredda frivolezza con la quale vengono messi a morte i genitori non sembra avere più alcun rapporto con il senso della tragedia. Il figlio che, con la complicità di un amico reclutato a pagamento, ha macchinato il delitto non mostra, infatti, al termine degli interrogatori, alcun segno di pentimento. E poco importa se più tardi il suo avvocato dirà il contrario. Appare lontano anni luce dalla tragica lacerazione che affligge il povero Edipo. Anziché essere diviso dal conflitto tra il desiderio e la Legge, egli ha ucciso semplicemente per coltivare l’illusione di una vita facile e spensierata –letteralmente: senza pensiero-. La violenza furiosa che rende impossibile ogni parola si configura così come il suo strumento più immediato: per raggiungere l’obbiettivo di una libertà spensierata bisogna eliminare fisicamente l’insopportabile presenza dei propri genitori e delle loro prediche.
“Onora tuo padre e tua madre” è uno tra i comandamenti biblici più belli. Portare “onore” ai propri genitori –non malgrado siano imperfetti e vulnerabili, ma proprio perché essi sono tali– significa riconoscere il debito simbolico grazie al quale la vita sorge e iscrivere la propria vita nel patto tra le generazioni perché nessuna vita può farsi da se stessa. La bellezza di questo comandamento è stata oltraggiata da questo figlio che mostra di non saper sopportare la minima frustrazione. Ma questo figlio è anche un nostro figlio: la liberazione da ogni senso di colpa viene infatti salutata dal neo-libertinismo del nostro tempo come un principio irrinunciabile trascurando il fatto che esso non è di per sé una malattia, ma il fondamento di ogni possibile incorporazione soggettiva della Legge.
Se nelle società religiose l’ipertrofia sacrificale del senso di colpa poteva dar luogo ad una vera e propria malattia psicologica, nella società attuale la sua estinzione prepara ad una dimensione predatoria dei rapporti umani che sembra non trovare più argini. Senza esperienza del senso di colpa non c’è, infatti, esperienza possibile della Legge. Riconoscere la propria colpa è infatti il primo indispensabile passo affinché la Legge possa iscriversi nel cuore dell’uomo.
Articolo pubblicato in “Repubblica”, venerdì 13 gennaio 2017, pp. 1 e 31