Jacob Fugger, il re di denari del XVI secolo

 Jacob Fugger, il re di denari del XVI secolo

Dedicato a chi crede che la simbiosi tra politica e finanza sia una cosa di oggi. E poi tangenti, obbligazioni, default…

C’era già tutto all’epoca di Jacob, l’uomo più ricco del suo secolo.

 

Questo è l’articolo che Marco Cicala ha pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” del 4 marzo 2016, alle pp. 50-53.

 

Le penne nei calamai, qualche pergamena in disordine, la sedia discosta dalla scrivania come se il patron si fosse appena assentato dall’ufficio. Ma in effetti Herr Fugger è via da cinque secoli. Ad Almagro, in Spagna, ne hanno ricostruito lo studio dentro il palazzo gentilizio che fu una delle innumerevoli filiali europee della più potente dinastia plutocratica del Rinascimento e forse non solo.

Inventori della finanza moderna o clan di lobbysti, tangentari e pescecani affama-popolo? Prima multinazionale o Spectre politico-affaristica? Spietati mercatisti o antesignani di un’imprenditoria dal cuoricino sociale? Da vivi come da morti i Fugger hanno scatenato una rissa di valutazioni contrapposte. Ripercorrerne la saga non significa solo tuffarsi in una vicenda altamente romanzesca, ma risalire alle favoleggiate sorgenti del capitalismo. E’ quanto fa Greg Steinmetz in “Il creatore di re” (Baldini e Castoldi), biografia spigliata del più audace della progenie: Jacob II (1459-1525) detto il Ricco per distinguerlo dal padre Jacob I che pure povero non era.

Da contadini a commercianti di tessuti a banchieri in grado di tenere sotto schiaffo imperatori e papi: che l’ascesa dei Fugger si sia realizzata nell’arco di appena tre generazioni dà già la misura di un’epoca in turbolenta mutazione. Epoca nella quale l’Italia centro-settentrionale giocava ancora un ruolo economico di punta. I primi trucchi dell’arte mercantile il giovane Jacob li aveva imparati durante uno stage a Venezia. Da Augusta –l’operoso capoluogo svevo che diverrà la Camelot della schiatta- i genitori l’avevano spedito a farsi le ossa nella Serenissima. Nel Fontego dei Tedeschi, quartier generale dei traffici con l’area germanica, il tirocinante prende tra l’altro dimestichezza con due strumenti che in seguito gli sarebbero tornati utilissimi e dei quali avrebbe perfezionato l’uso: le cambiali (quelle timbrate Fugger avranno l’affidabilità di una valuta forte) e i registri a partita doppia –su una colonna i pagamenti, sull’altra le riscossioni- che oggi sono una banalità contabile ma ai tempi non erano ancora ragioneria diffusa.

Aiutato da un capitale familiare in espansione e dai redditizi legami che i predecessori avevano stabilito con gli Asburgo in materia di forniture tessili, Jacob sgancia i primi prestiti a Sigismondo d’Austria, sovrano spendereccio. In cambio ottiene lo sfruttamento dei giacimenti d’argento in Tirolo. Ma gli affari grossi cominciano con Massimiliano, futuro Kaiser del redivivo Sacro Romano Impero; l’uomo che –anche coi soldi dei Fugger- catapulterà la casata asburgica al centro delle lotte per l’egemonia europea. Pare che con Jacob si fossero conosciuti alla fiera di Francoforte. Location per niente casuale: sul finire del Quattrocento le fiere sono in piena metamorfosi. Da mercati dove si scambiano merci vanno trasformandosi in posti dove si compravende quella super-merce chiamata denaro. Diremmo delle proto-borse. Così, dopo l’argento, i Fugger si ritrovano a controllare per decreto imperiale pure le miniere ungheresi di rame. Metallo altrettanto remunerativo, se non altro perché fuso con lo stagno diventa il bronzo con cui si sfornano moschetti e cannoni.

Come nessun altro in precedenza, il cosiddetto Secolo dei Fugger (1450-1550) è contrassegnato dal massiccio ricorso dei governi al credito sborsato da private famiglie. Se il Palazzo ha uno smisurato bisogno di quattrini è perché, sin dai primi vagiti, lo Stato moderno è ingordo. Costoso. C’è da mantenere l’incipiente apparato amministrativo; c’è da potenziare lo sfarzo delle corti; e soprattutto ci sono da pagare le costanti imprese belliche. Quelle tentate da Massimiliano d’Asburgo saranno marcate da ripetuti flop. Molto più efficace si dimostrerà invece la sua politica matrimoniale culminata nelle nozze del figlio Filippo il Bello con Giovanna di Castiglia, l’erede dei Re cattolici di Spagna che, morto il consorte, uscirà di senno passando alle cronache come la Pazza.

Dall’unione nascerà Carlo V e i Fugger ne saranno i principali tutori finanziari. A partire dalla sua designazione a Imperatore nel 1519. Un capolavoro politico-corruttivo che costò ai banchieri mezzo milione di fiorini ripartiti in maxi-bustarelle per i grandi elettori: 113 mila a quello di Magonza; 184 mila a quello del Palatinato; 70 mila a Federico di Sassonia.

Diventare il bancomat del padrone di mezza Europa, più le colonie americane, è un colpaccio, ma non esente da rischi. I crediti vengono rimborsati con rendite fondiarie, nuove concessioni minerarie e con le entrate fiscali. Però la tassazione è un utensile difettoso: aggravare le imposte scatena rivolte e su domini tanto vasti la raccolta dei tributi è operazione macchinosa. Oltretutto l’Imperatore è in guerra contro tutti: la Francia, gli ottomani, i pirati musulmani nel Mediterraneo, i principi tedeschi… Le spese militari gonfiano il debito pubblico. Incatenato ai banchieri, Carlo è in affanno sulle rate. E i Fugger gli battono cassa senz’ombra di timori reverenziali. “Maestà, se faccio sapere che lei è insolvente, col mercato dei prestiti ha chiuso” gli scrive Jacob. “Lei sta parlando all’Imperatore” risponde piccato il Sovrano. E il finanziere gli ricorda una cosetta semplice semplice: “E’ ben noto che senza di noi Vostra Maestà non avrebbe potuto ottenere la corona imperiale”. Ergo: “La nostra rispettosa richiesta è… che venga calcolato l’ammontare che vi abbiamo procurato, compresi gli interessi, e che ci sia restituito senza ulteriori ritardi”.

Sebbene strozzato dagli alti interessi dei prestiti a breve termine, alla fine “Carlo si rivelò solvibile” assicura Steinmetz nel libro. Peggior cliente sarebbe stato suo figlio Filippo II, che da re di Spagna inaugurerà la politica dele bancarotte allegre. All’epoca i default funzionavano all’incirca così: gli impagati venivano convertiti d’autorità in titoli di debito pubblico; scadenza lunga, interessi bassi. E buonanotte ai creditori. La finanza creativa fa collassare i banchieri, mentre il re, lui, rimane in sella. Ma a differenza di altre famiglie i Fugger non finirono in rovina. Il loro fu casomai un prolungato declino. Merito di Jacob che aveva corazzato la baracca differenziando il business. Tramite i portoghesi s’era infilato nel giro delle spezie, e “con ogni probabilità finanziò la circumnavigazione del globo di Magellano”. Dai papi che aveva sovvenzionato –Giulio II e Leone X- ottenne la gestione della zecca pontificia e del primo reggimento di guardie svizzere, nonché una posizione di riguardo nei mercati delle cariche ecclesiastiche, delle indulgenze, delle reliquie: traffici che avrebbero dato fuoco alle polveri della Riforma. Cattolico indefettibile, Fugger è la bestia nera di Lutero e, nelle invettive, l’umanista Ulrich von Hutten lo ribattezza “Re di denari”. Tutto mentre con formidabili stratagemmi teologici la Chiesa sdogana le pratiche del prestito dal peccato di usura.

Nella Guerra dei contadini tedeschi –che, allargandosi troppo, Steinmetz definisce “il primo grande conflitto tra capitalismo e comunismo”- Jacob finanzia la repressione anche perché con coltellacci e forconi la sommossa gli è arrivata in casa. E poco importa che nel frattempo lui avesse fatto costruire ad Augusta la Fuggerei, ossia il primo nucleo europeo di case popolari dove ancora oggi gli inquilini pagano una pigione di 88 centesimi di euro l’anno, equivalente simbolico di un fiorino d’allora (?). Nel sito web della cittadella –ricostruita dopo i bombardamenti del ’44- Jacob der Reiche è naturalmente ricordato come un filantropo. Non lo fu. Ma che tipo era? Nessuno ce l’ha mai raccontato meglio di Albrecht Durer, suo protetto, che lo ritrasse intorno al 1520. Zucchetto, stola di pelliccia sopra il vestito scuro, occhio fisso sull’obiettivo: riteneva che Dio l’avesse paracadutato in Terra per far soldi. Non amava il lusso ma ne capì la forza di suggestione. Si spostava su carrozze trainate da 24 cavalli e gli ospiti facevano Ooh! visitando la sua dimora provvista di acqua corrente e riscaldamento, vetri veneziani, broccati francesi, sete cinesi. In trasferta, persino Montaigne ne rimase abbagliato.

Per i servigi resi, Jacob si guadagnò titoli nobiliari, ma non fu mai tentato dalla politica: preferiva telecomandarla dal retro. Difese il libero mercato con più ostinazione di un economista della scuola di Chicago. Diceva che concedere prestiti procura “solo pene, fatica e ingratitudine”. Però le angustie non gli rovinarono mai il sonno. “Quando vado a letto, assieme alla tunica, mi spoglio di tutte le preoccupazioni”. Modernizzò la finanza intuendo la potenza dell’informazione. Che si trattasse d’una crisi di Palazzo, dell’esito di una battaglia o della morte di un pezzo grosso, attraverso una fitta rete di corrieri, emissari, spie veniva a sapere le notizie prima dei concorrenti, ricalibrando le strategie di conseguenza. La quantità di uffici e liquidità gli consentirono “di creare un circolo chiuso dove poteva addebitare una cifra sul conto di una filiale e accreditarne l’importo in un’altra, senza un reale trasferimento di denaro. Così evitava il rischio di rapine lungo il tragitto. “Come un’odierna società di carte di credito prende una piccola percentuale su ogni uso della carta, Fugger incassava il 3% su ogni transazione”.

Mediante arcigni revisori ridusse al minimo le approssimazioni di bilancio e quando gli fu possibile sorvegliò le casse dei governi debitori come un bulldog dell’Fmi. Fu il primo milionario della storia (?), ma non derogò mai alla prudenza contadina e alla morte il suo profitto complessivo ammontava a un tutto sommato ragionevole 12%.

Con la moglie Sybille ebbe una relazione glaciale e nessun figlio. I Fugger si estinsero un secolo dopo la dipartita di Jacob incrociandosi con famiglie dell’aristocrazia e preferendo via via agli affari la vita devota o intellettuale. Ancora oggi i discendenti risiedono in Svevia.

 

                                                                  Marco Cicala