L’etica contro i neo-feroci.
Niente muri. Più giustizia sociale. L’ossessione per la verità. L’Italia, con addirittura due populismi, è un laboratorio. Spero che funzionino gli anticorpi. La cura di un grande filosofo contro il populismo.
L’Espresso del 16 dicembre 2018 pubblica, alle pp. 96-98, un’intervista di Emanuele Giusto e Gianni Perrelli al grande filosofo spagnolo Fernando Savater. Attenti alla data: siamo a metà dicembre del 2018, a poco più di due anni fa. Le riflessioni sono ancora attuali.
Gennaro Cucciniello
“L’Europa non è un’utopia. E’ un ideale che ha avuto il grande merito di cancellare la guerra in un continente in cui le controversie sfociavano troppo spesso nei conflitti bellici. Ma in questa epoca di frammentazione l’Europa corre forti rischi. E’ vero che la democrazia da quando è nata è sempre stata in pericolo, anche se oggi non lo è più di quanto lo fosse nel secolo scorso con i totalitarismi in Germania, Italia e Unione Sovietica. Però nelle elezioni del maggio 2019, se le leadership oggi al potere a Bruxelles non riusciranno ad arginare l’avanzata dei movimenti eurofobi offrendo qualcosa di nuovo rispetto alla routine dei regolamenti e alla noia delle vecchie facce, la minaccia potrebbe essere molto seria. E’ possibile che l’Europa cambi sia volto che missione. Una prospettiva decisamente preoccupante”.
Fernando Savater, il filosofo spagnolo che con i suoi saggi sull’etica si è affermato come una delle voci più autorevoli del pensiero libertario, individua nelle paure innescate dalle ondate migratorie il tarlo che più corrode la fibra del disegno comunitario. “Si è cercato di imporre un pensiero politicamente benpensante che non affronta i problemi ma li occulta. L’Europa non ha trattato con una strategia unitaria la questione dell’immigrazione ma l’ha scaricata sui Paesi più esposti geograficamente, mentre quelli meno coinvolti si sono limitati a predicare solidarietà senza fornire aiuti concreti. E’ inutile alzare muri come fa Donald Trump o rigettare i profughi in mare. E’ necessario trovare una soluzione europea a un’ondata inarrestabile. Chi bussa disperato alle nostre porte non arretrerà facilmente”.
Vasto programma se, con l’appannamento di Emmanuel Macron e il tramonto di Angela Merkel, vacillano anche le leadership dei Paesi guida.
Macron sta attraversando una burrasca dopo essere stato accolto con lo stesso eccesso di favore che consentì a Barack Obama di aggiudicarsi il premio Nobel per la pace appena messo piede alla Casa Bianca. Ma le sue difficoltà a me sembrano transitorie perché in Francia ricorrono ciclicamente queste crisi. Più preoccupante è la sostituzione della Merkel, di cui rimpiangeremo molto l’umanesimo pragmatico.
Il problema nasce anche dalla rivoluzione digitale. Quanto influisce Internet nella penetrazione del messaggio sovranista?
Internet, l’agorà dei nostri tempi, favorisce chi si esprime in modo esplicito e brutale. Il cittadino in Rete, e anche nelle serie tv, si è abituato a cercare emozioni forti. Dedica così sempre meno attenzione alle notizie sensate e ragionate e si lascia entusiasmare dai toni apocalittici. In politica si registra lo stesso fenomeno. La gente vuole il messia che dice “seguitemi e arriveremo alla terra promessa”. Una tendenza alimentata dai social network dove dilaga il linguaggio sboccato. Sono delle vere cloache di volgarità, stupidità e scortesia. Se la gente trova attraente immergersi in questa immondizia poi diventa dipendente.
Come si può porre argine a questa rivoluzione inculturale?
Con la ricerca della verità. L’educazione è sempre stato un tentativo non solo di trasmetterla ma anche di generare l’interesse nei suoi confronti. Veniamo da un pensiero postmoderno che relativizza la realtà sostenendo che non esistono i fatti, ma solo le interpretazioni. Da qui il dilagare delle fake news che propongono verità alternative. Un trend nato negli Usa e tracimato nel linguaggio politico. Nelle recenti elezioni andaluse il partito di estrema destra Vox ha trionfato, senza avere l’appoggio dei media tradizionali. Come riuscì a Trump nel 2016. Molti elettori hanno votato anche contro i grandi giornali e le grandi televisioni per una sorta di fratellanza digitale che si crea nelle reti sociali.
Quanto ha influito invece sulla crescita del sovranismo l’insufficiente attenzione delle istituzioni europee per l’equità sociale?
Questo processo è iniziato quando si è creduto che l’economia potesse svincolarsi dalla politica. Elaborare un progetto che prevede l’aumento della ricchezza di un numero ristretto di individui, senza preoccuparsi dell’insieme della società, è evidentemente suicida e porta alla proliferazione degli estremismi. Il nodo non è la disuguaglianza ma la miseria. Il problema è nella piccola borghesia che si sta proletarizzando.
Come si può distribuire con maggiore equità la ricchezza?
Secondo un vecchio postulato social-democratico tutta la ricchezza è sociale. Deve cioè essere prodotta con fini rivolti a vantaggio della collettività. Questa non è una teoria né di destra né di sinistra. E’ un’idea di base in una società civilizzata. Oggi, al contrario, i governi dei Paesi europei più ricchi impongono per ragioni di bilancio generale l’austerità a quelli più deboli. E un po’ tutti, anziché investire in innovazione, accettano come normali i comportamenti di grandi imprese come Google o Amazon che accumulano profitti eludendo gli obblighi fiscali. Se si intaccano queste rendite, è la scusa, si rischia di vedere indeboliti alcuni servizi fondamentali per la modernità. Ma per il cittadino comune, che le tasse deve pagarle tutte, rigidità di bilancio e disparità tributarie sono fenomeni demoralizzanti che promuovono un voto di castigo. Occorre invertire la tendenza se si vuole esorcizzare il fantasma del populismo.
Ma il populismo nella storia è quasi sempre incorso in clamorosi fallimenti.
Il populismo non è mai uscito di scena. In Argentina domina il panorama politico da decenni. Generalmente è una via d’uscita momentanea, non un sistema definitivo. L’area del malcontento non ignora che se appoggia i populisti le cose non andranno meglio. Non è con la chiusura nei recinti nazionalisti che si correggono gli squilibri. Promettere l’impossibile fuori dai parametri comunitari, come sta avvenendo in Italia, è demagogia. Una scelta che danneggia soprattutto i poveri. Ma la rabbia spinge ugualmente masse di elettori insoddisfatti a punire le forze del sistema.
Al di là del rancore, perché il messaggio anti-sistema guadagna sempre più consensi?
L’Europa aveva l’obiettivo di essere un’unione di valori oltre che economica. L’intento era quello di creare una cittadinanza continentale che non annullasse quella nazionale. Tutto è rimasto a livello di retorica perché gli Stati membri hanno continuato a privilegiare gli interessi nazionali. Per questo l’ideale comunitario non è più visto con entusiasmo neppure in Paesi molto europeisti come la Spagna. Influisce inoltre un aspetto caratteriale: gli europei abbondano in spirito critico, a differenza di altri popoli che adorano i loro leader e le loro istituzioni. Va però aggiunto che la cattiva immagine dell’Europa non ha solo ragioni fondate. E’ in parte anche frutto dell’ignoranza.
Trump, Putin, Bolsonaro, Erdogan, ma anche Orbàn, Kaczinsky, Salvini e adesso Abascal in Andalusia. C’è il rischio che l’avanzata della democrazia illiberale degeneri in una nuova forma di fascismo?
Effettivamente incontrano sempre più successo i leader dall’aspetto feroce. In un’epoca di smarrimento si cercano personalità che si mostrano sicure di sé e sembrano in grado di risolvere i problemi con il radicalismo. Ti fa male la testa? Tagliamola. Ma un nuovo fascismo riesce a imporsi solo quando un gruppo di potere si colloca al di sopra della legge. In Paesi forti, anche se supportato dal consenso degli elettori, non può però affermarsi se le istituzioni lo impediscono. Trump può risultare un presidente pessimo. Ma fino a un certo punto perché la sua azione è limitata dalla rete dei contropoteri. Barriere che non incontra invece Putin in Russia. Spero che gli anticorpi funzionino bene in Italia che, con addirittura due populismi, è un laboratorio. L’Italia è stata sempre specialista nell’arte del disegno, che non riguarda solo l’estetica ma anche la politica. Tenderei quindi a non drammatizzare. Siete il Paese creativo per eccellenza. Riuscite sempre a trovare le risorse di fantasia per uscire dalle crisi importanti. A differenza della Spagna dove incombe in modo ricorrente il rischio della guerra civile.
Nella sua ricerca filosofica lei pone sempre l’accento sull’importanza dell’etica. Può essere la moralità la soluzione per uscire dalla crisi attuale della democrazia?
L’intellettuale non è più un santo laico, come ai tempi di Bertrand Russel, Jean-Paul Sartre, Romain Rolland. Oggi è uno specialista, non un punto di riferimento privilegiato. Personalmente ritengo che la politica abbia valori propri anche se non può prescindere dall’etica perché entrambe le sfere aspirano a creare condizioni di vita migliori. Preferisco un primo ministro non retto ma che conosce bene il suo mestiere a uno moralmente impeccabile che si rivela un dilettante.
Fernando Savater Emanuele Giusto Gianni Perrelli