L’età della rabbia. Una storia facilona del presente.
Davvero si può spiegare l’ascesa dei populismi di ogni dove, Donald Trump compreso, risalendo perfino a D’Annunzio? Pankaj Mishra ha una Teoria Generale per tutto. Forse troppo.
Questo articolo di Federico Rampini, che analizza criticamente un saggio di Pankaj Mishra, è stato pubblicato nel “Robinson di Repubblica” di domenica 28 gennaio 2018, a pag. 25.
In un mondo che ci appare caotico, incomprensibile, forse in rapida involuzione verso qualche nuova forma di barbarie, è forte la tentazione di trovare una Teoria Generale, una spiegazione che tenga unite tutte le crisi del presente, tutti i focolai di instabilità. Quando qualcuno sembra aver trovato la chiave universale può diventare l’intellettuale organico del nostro tempo. Da Tocqueville a Karl Marx, nell’Ottocento le Teorie Generali godevano di una longevità invidiabile, influenzarono correnti di pensiero e movimenti politici per decenni o perfino per un paio di secoli.
Oggi tendiamo a bruciarle velocemente, basti pensare all’oblio verso Samuel Huntington e Francis Fukuyama. L’ultimo pensatore che aspira a offrirci la Teoria Generale del nostro tempo è Pankaj Mishra di cui esce finalmente in Italia questo “L’Età della Rabbia” (Mondadori), già molto commentato, discusso e controverso al momento della sua diffusione nel mondo angloamericano. L’ambizione di Mishra è di trovare un filo comune per spiegare tutte le rabbie del tempo presente: quella del metalmeccanico di Detroit che non vuole più immigrati o importazioni cinesi e quindi vota a destra; quella dell’immigrato maghrebino o arabo o turco di seconda o terza generazione cresciuto in una banlieue di Parigi o Bruxelles, Londra o Berlino, che aderisce alla jihad e compie una strage di innocenti. Nella sua opera c’è spazio per i registi-manovratori delle rabbie popolari sotto ogni latitudine: Trump o Erdogan, Orban o Narendra Modi, tutti coloro che riescono a sfruttare a fini politici quella che per l’autore è una rivolta delle masse contro la modernità e la globalizzazione; e spesso ha come effetto collaterale una furiosa intolleranza verso ogni sorta di “diverso” (minoranze etniche, religiose, sessuali, o fazioni avverse). Mishra ha molte caratteristiche adatte a farne un intellettuale organico del nostro tempo. Di origine indiana, vive a Londra, frequenta gli Stati Uniti, viaggia molto e osserva con acume quattro continenti. Nutrito di ampie letture, fa risalire a Jean-Jacques Rousseau le origini della rivolta contro la modernità.
Quando uscì in America L’Età della Rabbia, io decisi di citare nel mio spettacolo teatrale “Trump Blues o l’Età del Caos” il capitolo del suo libro che mi ha più felicemente sorpreso: quello dedicato a Gabriele D’Annunzio. Mishra individua nel Vate uno degli ispiratori dei nazional-populismi contemporanei: nel D’Annunzio politico vede non solo gli ingredienti del fascismo ma prefigurazioni di Trump o perfino di certe forme del jihadismo. In America questo saggio ha contribuito alla riscoperta dell’Italia come laboratorio politico capace di contagiare nazioni più avanzate.
Non è solo con l’Italia che Mishra fa questa operazione. Per la sua origine indiana e la formazione cosmopolita, ha una capacità che manca spesso ai politologi americani: una conoscenza approfondita delle nazioni emergenti. Questo gli consente di attirare la nostra attenzione sui parallelismi delle correnti politiche, la velocità con cui viaggiano idee e movimenti: per cui il fascismo italiano delle origini appare velocemente in India. Gli ingredienti del nazional-populismo di Trump sono stati usati prima in Cina con Xi Jinping, in India con Narendra Modi, oltre che in tante varianti europee. Chi non vede queste analogie, per provincialismo o per disinformazione, finisce per cadere vittima della propaganda cinese che propone Xi come il nuovo leader globalista, mentre è il portatore di un nazionalismo con ambizioni imperiali.
Se il fascino di Mishra è nel suo approccio globale, il suo punto debole è speculare: la ricerca di una chiave d’interpretazione universale lo spinge verso semplificazioni pericolose. Una delle critiche più convincenti l’ha espressa Michael Ignatieff, intellettuale canadese-americano noto per le battaglie sui diritti umani. Ignatieff accusa Mishra di giustificazionismo verso la violenza jihadista. Io aggiungerei l’accusa di faciloneria: come troppi opinionisti frettolosi, Mishra adotta la spiegazione delle “cause sociali” del jihadismo. Sappiamo che è falsa. La stragrande maggioranza degli immigrati poveri rifuggono dalla violenza, mentre non pochi terroristi hanno origini benestanti. Nulla nella ideologia jihadista fa riferimento al disagio delle banlieue o allo sfruttamento degli immigrati: al centro di quell’ideologia c’è l’odio verso l’Occidente, il rifiuto dei diritti umani. La Teoria Generale, che vede tutte le rabbie del nostro tempo come un’unica rivolta contro la modernità e la globalizzazione, offre un alibi e una comoda assoluzione per le classi dirigenti del mondo arabo e di altre nazioni emergenti, che hanno distrutto le opportunità di progresso e cercano capri espiatori per nascondere i propri crimini.
Federico Rampini