Pessimista sarà lei! Questo è il tempo del secondo Rinascimento.

Pessimista sarà lei!

Non è vero che viviamo in tempi oscuri. Anzi, secondo Goldin e Kutarna, questo è il tempo del secondo Rinascimento. Qualche esempio? La caduta del Muro di Berlino come la scoperta dell’America, la fisica quantistica come Copernico, la stampa come la rivoluzione digitale. Con un’eccezione.

 

Questo articolo di Marco Bracconi è uscito nel “Robinson di Repubblica” di domenica 18 febbraio 2018, a pag. 26. Vi si commenta un saggio, “Nuova età dell’oro” di Ian Goldin e Chris Kutarna.

 

Nell’era del genio e del rischio non c’è da perdere tempo con le declinazioni astratte di ottimismo e pessimismo. Meglio capire e agire, consapevoli della fase eccezionale che il mondo sta vivendo, perché in questo passaggio carico di pericoli e di opportunità la posta in gioco ruota attorno a un rebus di non facile soluzione: sapremo assecondare la fioritura del genio oppure soccomberemo alle tensioni implicite nel cambio di paradigma in atto? Se non fossimo lontani anni luce da un approccio marxista ai temi della globalizzazione si sarebbe tentati di parafrasare questo saggio nel motto “grande è il disordine sotto il cielo, quindi la situazione è favorevole”. Ma più che a Mao Zedong per comprendere questo aggrovigliato presente bisogna tornare alla Firenze del XVI secolo, alla Bibbia di Gutenberg e al cielo stellato di Copernico. Con “Nuova età dell’oro” Ian Goldin e Chris Kutarna –il primo economista di fama e il secondo ricercatore di scienze politiche- propongono e argomentano una tesi tanto suggestiva quanto in apparenza contro-intuitiva: quello che stiamo vivendo è un secondo Rinascimento e sta a noi compierlo cogliendone le possibilità.

Ma attenzione. Per gli autori Secondo Rinascimento è da intendersi letteralmente e non in via metaforica, visto che –oggi come allora- assistiamo a una travolgente e contraddittoria stagione di connessioni e scoperte scientifiche, cosmopolitismo e urbanizzazione, aperture commerciali e progressi in termini di salute, istruzione, aspettative di vita. Tanto per fare i nomi e i cognomi: Cristoforo Colombo e Vasco de Gama ampliano i confini che si apriranno con la caduta del Muro di Berlino, così come la rivoluzione copernicana sta a quella quantistica e l’invenzione della stampa a quella del digitale.

Da Gutenberg a Zuckerberg, quindi;  lo stesso link che allaccia i bastimenti ai container transoceanici, o che unisce lo sforzo collettivo che permise di erigere le cattedrali a quello che permette oggi di erigere la “cattedrale Wikipedia”. Il parallelismo è da brividi ma scandisce il punto di partenza da cui muove la riflessione di Goldin e Kutarna, l’analogia che ci impone di guardare all’oggi come uno di quei momenti in cui “cambia il posto dell’uomo nel mondo”. Seguendo questo schema la prima parte di “Nuova età dell’oro” fa l’occhiolino alle letture iper-ottimistiche frutto di un accostamento statistico al reale, mentre è la seconda che si incarica di correggerle – pur senza abbandonare un’idea di progresso legata agli orizzonti dell’economia di mercato e al suo legame strutturale con lo sviluppo tecnologico. In questo Secondo Rinascimento, come il primo in bilico tra innovazione e pericolo, la minaccia arriva allora da diseguaglianze, mancata redistribuzione, spinte populiste alla dis-connessione. Del resto il secolo del David di Michelangelo e delle nuove vie commerciali è anche quello di Savonarola e delle cambiali cedute a terzi, esattamente come il tempo della partecipazione globale e di Amazon è anche quello di Trump e dei mutui subprime.

Per Goldin e Kutarna la chiave è tenere a mente l’immagine dell’uomo vitruviano di Leonardo, proprietario di se stesso, perché ogni progresso presuppone una scelta, una responsabilità e un prezzo che non va solo pagato ma soprattutto governato. Come questo nuovo umanesimo possa convivere con le dinamiche della società di massa – conducendoci a un uomo più compiutamente umano- è un nodo che il saggio scioglie fino a un certo punto. Possiamo come il David spiccare il volo riformando il sistema (come gli autori suggeriscono), oppure è su cosa sia il compiutamente umano che scontiamo il vero rischio di fallimento, l’alienazione da noi medesimi? In questo caso la posta in gioco è l’idea di progresso, mai come ora totalitaria. Ci fosse Brunelleschi, altro eroe di quell’età dell’oro, direbbe che anche questa è (forse) solo questione di prospettiva.

 

                                                        Marco Bracconi