Il Mediterraneo, “mare nostrum”: scambi, navigazione, migrazioni.
Pane e vino, bussole e lucerne, profumi e, ieri come oggi, barconi… Da millenni sul Mediterraneo gli oggetti viaggiano con le persone e con le culture. Un libro li racconta.
Nel “Venerdì di Repubblica” del 23 novembre 2018, alle pp. 90-93, Benedetta Marietti commenta il saggio di Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli, “Storia del Mediterraneo in 20 oggetti”, Laterza. Nell’articolo sono citati saggi importanti. Io vorrei aggiungere altri due classici: Fernand Braudel, “Civiltà ed imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”, Einaudi; Carlo Maria Cipolla, “Moneta e civiltà mediterranea”, Venezia, 1957.
Gennaro Cucciniello
La saggezza antica insegnava che il Mediterraneo arriva fin dove cresce l’ulivo. E ancora oggi secondo Predrag Matvejevic, lo scrittore jugoslavo scomparso nel 2017, autore di una imprescindibile storia culturale del nostro mare, intitolata “Breviario mediterraneo” (Garzanti, 1991), i suoi confini non sono definiti né nello spazio né nel tempo. Eppure ciò che ricompone un variegato mosaico di popoli, culture, lingue e religioni (giudaismo, cristianesimo e islam), ciò che in qualche modo dà uniformità a un luogo sempre mutevole e contraddittorio, è proprio il fatto che nel Mediterraneo “popoli e razze per secoli hanno continuato a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri, come forse in nessun’altra regione del nostro pianeta”. E’ la mescolanza, quindi, a plasmare l’identità mediterranea.
“Mare nostrum” per i romani, “Mar bianco” per i turchi, “Grande mare” per gli ebrei, “Mare di mezzo” per i tedeschi, “Grande verde” per gli antichi egizi, il Mediterraneo è il mare interno per eccellenza, il “mare tra le terre”, come ricorda lo storico britannico David Abulafia in “Il grande mare” (Mondadori, 2013), un libro fondamentale per conoscerne la storia e le persone che lo hanno abitato e percorso. Spazio ricchissimo di cultura e avvenimenti, che ha visto sorgere e tramontare imperi e civiltà, luogo per eccellenza di commerci e scambi, teatro di importanti scoperte e invenzioni, ma anche di scontri feroci e battaglie sanguinose, è ora il protagonista di un libro appena uscito per i tipi di Laterza, “Storia del mediterraneo in 20 oggetti”, scritto dagli storici Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli e illustrato da Andrea Antinori. Gli autori raccontano cos’è stato questo mare lungo i secoli con il rigore filologico degli esperti e lo stile fluido e affascinante dei cantastorie.
“Abbiamo scelto venti oggetti semplici, che fossero in grado di descrivere un mondo in fermento e ricco di contrasti, e che fossero riconducibili a tre idee, tipiche di ogni mare e in particolare del Mediterraneo: scambio, navigazione, migrazione”, dicono i due storici. Oggetti che narrano “fatti, episodi, avvenimenti che si intersecano, combaciano, si legano fino a creare una trama densa da Djerba a Beirut, da Genova al Pireo, da Istanbul a Barcellona”. Perché, come scriveva Matvejevic, “lungo le coste di questo mare passava la via della seta, s’incrociavano le vie del sale e delle spezie, degli olii e dei profumi, dell’ambra e degli ornamenti, degli attrezzi e delle armi, della sapienza e della conoscenza, dell’arte e della scienza”.
L’elenco degli oggetti riportati nel libro comincia “con il “pane” e la “coppa”, cioè il vino, e finisce con la “fontana” spiega Vanoli. “Dalla terraferma all’acqua, sinonimo di vita, in un racconto che unisce passato e presente”. Il pane e il vino fin dall’antichità segnano la strada degli scambi commerciali e dei contatti fra popoli diversi. La ricerca del grano era uno dei motivi per cui i greci si spostavano lungo il Mediterraneo. I romani lo conobbero dopo la conquista degli etruschi e cominciarono a importarlo dalla Sicilia, dalla Tunisia e dall’Egitto. Ma il pane non è solo cibo, è anche accoglienza, condivisione e rito. Nella religione ebraica il pane azzimo rappresenta la memoria del patto tra Dio e il popolo, in quella cristiana il pane è in diretto rapporto con la figura di Gesù, e nel mondo musulmano si spezza tra i commensali e si dona per alleviare le sofferenze della povertà.
Ma anche il vino, contenuto nelle coppe e nelle anfore, diviene fin dai tempi dell’Iliade sinonimo di convivialità e di legame profondo tra i banchettanti. “Le anfore colme di vino viaggiavano via mare sulle imbarcazioni greche e fenicie diffondendo gusti, abitudini, pratiche agronomiche e culti”, scrivono i nostri autori. “Con Dioniso e Bacco l’ebbrezza aveva un ruolo fondamentale nei riti greci e latini. Del resto la “mediterraneità” è nata anche grazie agli scambi avvenuti a livelli più bassi: scambi culinari, musicali, linguistici”.
Secondo Abulafia, “il Mediterraneo come lo conosciamo oggi è il frutto dell’opera svolta da fenici, greci ed etruschi nell’antichità, da genovesi, veneziani e catalani nel Medioevo, dalle marine militari olandese, inglese e russa nei secoli a ridosso del XIX secolo”. La storia della navigazione coincide infatti con la storia di questo mare. E uno dei suoi oggetti simbolo è la lucerna. Spiega Feniello: “Non esiste un libro sulla storia dell’uomo che combatte contro la notte. Eppure la lotta all’oscurità –che in passato è stata condotta tramite due armi: la lucerna e la candela- è un tema molto affascinante. La lucerna appartiene al mondo dell’olio, al mediterraneo degli olivi. Venne realizzata soprattutto in terracotta, era facile da fabbricare. Ma chi viaggiava per mare aveva bisogno della luce dell’approdo. E’ per questo che il Mediterraneo classico greco-romano inventò il faro. E due grandi meraviglie come il faro di Rodi, con il suo Colosso, e quello di Alessandria”. Con la bussola, il cui uso si diffuse intorno al XIII secolo a partire da Amalfi, che in breve tempo diventò uno dei principali luoghi di produzione di bussole per il mondo cristiano, si poteva affrontare il mare aperto tutto l’anno. Cominciarono a diffondersi carte marittime, mappe e portolani. “Si trattò di una trasformazione epocale” ci dice Vanoli, “ma fu anche l’inizio della fine di un sogno: quando mappi tutte le terre esistenti, non esiste più l’ignoto e sparisce così anche il fascino della conquista”.
Ma la storia del Mediterraneo è legata anche da tremila anni alle storie delle migrazioni di popoli. Milioni di uomini e donne che si spostano nel corso dei secoli non solo da sud verso nord ma anche, e soprattutto, viceversa. “Il Mediterraneo è un mare globalizzato” spiegano i due studiosi. “Gli antichi ne erano già consapevoli. Ora anche gli storici cominciano a parlare di un Mediterraneo globale, al centro di ben tre continenti: Europa, Asia e Africa”. I barconi del resto sono tutti uguali. “Migliaia e migliaia di viaggi, affondamenti, correnti, onde, naufragi, sbarchi hanno tracciato la vita emotiva di questo mare”. Dal peregrinare di Enea da Troia alla foce del Tevere attraverso la Tracia, Delo, Cartagine, la Sicilia, fino ai Vandali che, dopo essere arrivati in Spagna, devono imbarcarsi con le loro famiglie verso l’Africa perché incalzati dai Visigoti, nuovi conquistatori della penisola iberica. Ai tempi dell’invasione normanna in Sicilia, molti musulmani sono costretti a prendere la via del mare e scappare verso l’Egitto per sottrarsi alla sottomissione. E sempre in Sicilia, tra fine Ottocento e primi del Novecento, parecchie famiglie emigrano sui barconi alla volta della Tunisia per trovare lavoro in un protettorato francese. Oggi sono ancora i barconi carichi di persone alla ricerca di una vita nuova ad attraversare il Mediterraneo al contrario, dalle coste africane alla Sicilia.
Concludono Feniello e Vanoli: “Qualcuno dice che non è la stessa storia e che le migrazioni sono tutte diverse. E da un certo punto di vista avrebbe ragione: perché la storia, in fondo, non si ripete mai davvero. Ma è lo stesso mare; ed è la stessa umanità. E a noi questo basta”.
Benedetta Marietti