Pane, olio e vino: la trinità della vita
I pilastri di questo modo di alimentarsi fin dalle origini hanno accompagnato la religione e la civiltà europee. E la scienza oggi ne hanno fatto una preziosa ricerca di benessere che concilia gusto e salute.
Nella “Repubblica” di venerdì 26 luglio 2019, alle pp. 4 e 5, è pubblicato un articolo di Marino Niola sulla cosiddetta “Dieta mediterranea”. Un giorno d’estate del 1980 (sono i ricordi di M. Niola) il grande scrittore americano Gore Vidal portò Ancel e Margaret Keys a pranzo al ristorante “Don Alfonso” di Sant’Agata sui Due Golfi, un angolo di paradiso fra Sorrento e Positano. Da quel giorno i due scienziati americani trasformarono quel pranzo a tre in un rito. Chiedevano sempre lo stesso tavolo, quello che guarda la cucina. Gore Vidal era di conversazione vivace e polemica. Ma i due scienziati erano silenziosi. Non si lasciavano sfuggire il minimo particolare di ogni piatto. Annotavano tutto su un taccuino. Amavano le nostre ricette semplici, soprattutto gli spaghetti con pomodorini e basilico che consideravano la quintessenza del mangiare mediterraneo.
Gennaro Cucciniello
Non c’è niente di meglio che mangiare da dio. E con la dieta mediterranea è possibile perché ad inventarla sono stati direttamente gli dei, che poi hanno donato agli uomini pane, vino e olio, i cibi simbolo di questo regime alimentare, che mette d’accordo essere e benessere, ambiente e sviluppo, uomo e territorio, gusto e sostenibilità. E oltre tutto regala una longevità felice aggiungendo vita agli anni e non semplicemente anni alla vita. I primi a dirlo, prove scientifiche alla mano, sono stati Ancel Keys e Margaret Haney, i due scienziati americani che hanno riscoperto questo antico stile di vita e lo hanno fatto conoscere al mondo. Ma soprattutto hanno inventato la definizione “Dieta mediterranea”.
Quest’anno ricorrono i sessanta anni dall’uscita del loro bestseller, “Eat well and stay well”, “Mangiar bene per stare bene”, diventato la bibbia della tavola meridiana. Fatta di sapori semplici, grandi ingredienti, prodotti di terre generose scaldate da un sole splendente, accarezzate dalle brezze salate che esaltano la sapidità dei piatti. Grazie anche all’apporto delle erbe aromatiche come basilico, menta , origano, timo, peperoncino, prezzemolo, le spezie dei poveri, in grado di assicurare da sole uno strepitoso surplus di sapore.
Ma al centro di tutto ci sono i tre pilastri di questo modo di mangiare, il pane, il vino e l’olio, la cosiddetta triade mediterranea. Onnipresenti sulle tavole di entrambe le sponde del Mare Nostrum, hanno accompagnato la civiltà europea sin dall’origine. Gli antichi Greci chiamavano gli uomini mangiatori di pane, quasi a sottolineare che gli altri popoli non erano umani, ma bruti carnivori come Polifemo. Questi tre cibi erano una Trinità alimentare. Tant’è vero che venivano considerati sacri come dono degli dei.
I cereali erano un regalo di Demetra, la madre terra. L’olivo era un’invenzione geniale di Atena, la dea della democrazia occidentale. E il vino lo aveva portato Dioniso, il dio dell’ebbrezza e del fermento vitale. Questa sacralizzazione, peraltro, era la prova dell’importanza vitale di questi alimenti per la salute dei singoli e delle comunità, degli uomini e dell’ambiente. Era una certificazione solenne, una forma religiosa di tutela. Come dire che il Doc in origine era una denominazione d’origine consacrata. E quando il cristianesimo diventò la nuova religione del bacino mediterraneo trasformò la triade nella materia del sacramento eucaristico. Facendo del pane e del vino corpo e sangue del dio incarnato e dell’olio lo strumento della sua segnatura divina. Non a caso Cristo in greco significa l’Unto, esattamente come l’ebraico Messia. C’è stato un passaggio di testimone fra il paganesimo e il cristianesimo, ma i simboli sono rimasti gli stessi, perché erano troppo importanti per la vita dei popoli mediterranei.
E adesso la moderna scienza della nutrizione ha fatto tesoro del messaggio delle antiche religioni facendone una preziosa ricetta di benessere ed elevandolo a modello nutrizionale di comprovata salubrità. Oltre che di sostenibilità ambientale e sociale. Come sostengono le grandi agenzie internazionali che governano il corpo e la mente del nostro pianeta. Prima fra tutte l’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), poi l’Unesco che nel novembre del 2010 ha proclamato la Dieta mediterranea patrimonio dell’umanità. E la Fao, organizzazione dell’Onu che si occupa di agricoltura, che nel 2012 l’ha indicata come il regime alimentare più ecocompatibile, l’unico in grado di nutrire il futuro conciliando gusto e salute. Dando così ragione ad Ancel e Margaret Keys, che negli anni Cinquanta scoprirono che questo modo di mangiare povero, fatto di cereali, verdure, legumi, pesce e di una modica quantità di carne giovava alla salute molto più delle diete opulente, strabordanti di carni e di grassi animali, responsabili delle malattie cardiovascolari che nell’America e nel Nord Europa di quegli anni mietevano vittime e impennavano drammaticamente la curva della mortalità precoce.
I due attraversarono l’intero Mediterraneo per trovare la conferma delle loro teorie. Studiarono le abitudini alimentari di diversi Paesi, da Creta all’Andalusia. Ma si fermarono in Italia. Dove trovarono un equilibrio aureo tra modo di mangiare e modo di vivere. E scelsero di vivere una parte dell’anno a Pioppi, in Cilento, in quel paradiso che sta fra Paestum, Pollica e Velia, l’antica Elea, che loro ribattezzarono il triangolo della lunga vita, per il numero sorprendente di centenari. I due scienziati intuirono che nel modo di vivere e di mangiare di quel popolo di contadini e pescatori era custodito il segreto della longevità. E soprattutto un metodo semplice e alla portata di tutti per stare bene con se stessi e con gli altri. Sarebbe stato d’accordo pure Andrea Camilleri, scomparso mercoledì 17 luglio a novantatre anni vissuti splendidamente. Anche grazie alla Dieta mediterranea che, come amava ripetere, riesce a fare il miracolo di trasformare pochissimi ingredienti, spesso poveri, in capolavori del gusto, in universi di sapore che vengono da lontano nel tempo e che ci fanno sentire a casa a Palermo come a Genova, a Roma come a Vigata. Perché alla fin fine, mediterranei siamo!
Marino Niola