Vi spiego chi sono stati davvero gli Italiani
Dal primo ominide in Puglia 1,3 milioni di anni fa al Sapiens “dentista” del Veneto. Marco Peresani ci racconta le nostre origini
Le prime labili tracce della presenza dell’uomo in Italia ci portano a oltre un milione di anni fa, quando i cambiamenti climatici delle grandi glaciazioni non hanno ancora investito la penisola, e il nostro territorio diventa rifugio e crocevia di specie partite dall’Africa in cerca di nuovi habitat. Tra queste c’è Homo antecessor. La sua dentatura è ancora arcaica, ma il volto sta assumendo tratti inconfondibilmente moderni. E’ destrorso. Possibilmente mangia la carne, ma non è ancora un cacciatore. Possiede le conoscenze basilari della lavorazione della pietra e le tramanda ai figli, forse utilizzando già una forma di linguaggio. Il suo passaggio è attestato nelle cave di Apricena, in Puglia, dove una fessura carsica ha restituito centinaia di manufatti scheggiati: la loro datazione è incerta, ma i resti animali a cui sono associati (tra cui tigri dai denti a sciabola, rinoceronti e iene) hanno almeno 1,3 milioni di anni. D’ora in poi gli ominidi abiteranno sempre l’Italia. Prima a intermittenza, poi sempre più intensamente, marcando le tappe di un’evoluzione che culmina con l’arrivo di Homo Sapiens e l’incontro con l’altro, il nativo Neanderthal.
Marco Peresani, professore di Culture del Paleolitico nelle università di Ferrara e di Verona, ripercorre le fasi del popolamento della nostra penisola in un libro appena edito dal Mulino: “Come eravamo” (pp. 160, euro 12). Si tratta di una riedizione aggiornata alle ultime scoperte: come spiega Peresani “le nostre conoscenze in questo campo cambiano a una velocità impressionante”. Il quadro comincia a prendere forma 850mila anni fa, in quella che diventerà la Pianura Padana, e che a quest’epoca è una terra che sta emergendo lentamente da un golfo marino: una nuova via d’accesso verso ovest, solcata da elefanti e mammut. Come altri predatori, anche gli ominidi sono al seguito di questi pachidermi. Li troviamo a Monte Poggiolo, sull’appennino romagnolo: “Le prime tracce nitide dell’attività umana in Italia. Sono individui che creano spazi abitativi specifici, differenziati dall’ambiente circostante: non dico già capanne, ma ambienti organizzati con varie funzioni. Accumulano pietre, trascinano carcasse per chilometri, errano nel territorio in cerca di cibo e materiali da scheggiare”. Un territorio che di lì a poco sarà definitivamente modificato dalle glaciazioni.
Forse è stato il clima ad allontanare per qualche tempo gli ominidi dalla penisola, fatto sta che per 200mila anni mancano prove archeologiche della loro presenza. Ricompaiono a Isernia, in Molise, dove è emerso anche il resto umano più antico d’Italia: è un dentino da latte appartenuto a un bambino di 600mila anni fa. La sua specie è Homo heidelbergensis, che significa una calotta cranica più grande, una tecnologia litica più avanzata.
Il dentino del nomade. “Il dentino indica che il sito non era un bivacco, ma un insediamento frequentato da famiglie”, spiega Peresani. “I suoi abitanti erano nomadi che forse già obbedivano al ritmo delle stagioni. Sicuramente cacciavano. E usavano una discreta varietà di pietre da scheggiare”. C’è ancora Homo heidelbergensis dietro alle famose “ciampate del diavolo” di Tora e Piccilli, in Campania, un tempo attribuite a Belzebù: si tratta di oltre 50 impronte di piedi lasciate nelle piroclastici scagliate dal vulcano di Roccamonfina, tra 385 e 325mila anni fa. Fotografano il passaggio di alcuni individui adulti su un ripido versante collinare. Scendevano a zig zag, per tagliare la pendenza. Uno di loro, forse, scivolò e dovette appoggiarsi al suolo con un braccio.
Altrettanto suggestivo, per il suo significato, il sito di Grotta di san Bernardino, vicino Vicenza, dove troviamo i resti del primo focolare italiano: ha circa 250mila anni (il più antico d’Europa ne ha 400mila) e lo ha acceso l’uomo di Neanderthal, primo vero autoctono del continente, frequentatore delle montagne e cacciatore abilissimo, i cui reperti attestano, ormai inequivocabilmente, dei comportamenti simbolici. Oltre a seppellire i morti, usava conchiglie e pigmenti colorati a scopo ornamentale: “Una prova incontrovertibile viene da una conchiglia di 47mila anni fa trovata nella grotta di Fumane, in Veneto. Reca tracce di ematite macinata, e strie che indicano che è stata lungamente appesa a una cordicella”. Seimila anni dopo, nella stessa grotta entra un nuovo ominide: anche lui si adorna di conchiglie, e per le più belle è disposto ad attraversare la Pianura Padana fino alla costa adriatica. E’ Homo sapiens, e il suo arrivo nella grotta di Fumane corrisponde all’esilio di Neanderthal, che la abitava da quasi ventimila anni. “In Italia non c’è nessun sito che mostri un ritorno di Neanderthal dopo l’occupazione di Sapiens. L’uomo anatomicamente moderno arriva circa 45mila anni fa: le prime tracce di una nuova cultura materiale si trovano nella Grotta del Cavallo, in Puglia. Dal Sud comincia a risalire la penisola, mentre Neanderthal si ritira sempre più, fino a chiudersi in piccole sacche nel Nordest e in Liguria. Sappiamo che si sono accoppiati, ma non abbiamo prove di uno scambio culturale tra i due gruppi. Poi, circa 40mila anni fa, Neanderthal scompare dai registri archeologici italiani”.
Mentre Homo sapiens invade rapidamente tutto il territorio. Il nuovo arrivato è molto più esigente in fatto di materie da scheggiare, tanto da cercarne le zone di approvvigionamento con certosina precisione. Si muove razionalmente, con spostamenti ciclici all’interno di territori controllati. Manipola e trasforma gli alimenti (a Grotta Paglicci, nel Gargano, troviamo la prima farina della storia: un pestello con tracce di cereali di 32600 anni fa).
Invenzione dell’arco. Si dedica all’arte figurativa, che in Italia si esprime soprattutto nelle cosiddette Veneri, statuine femminili interpretate come rappresentazioni della Dea Madre (una delle più note è la Venere di Frasassi, realizzata circa 25mila anni fa all’estremità di una stalattite). Inventa l’arco, esporta carie (il più antico intervento dentale -14mila anni fa- si registra a Riparo Villabruna, sulle Dolomiti venete). Soprattutto, esplora l’ignoto.
Circa 15mila anni fa cinque individui entrarono nella Grotta della Bàsura, in Liguria. Grazie a un recente studio con rilievi 3d, condotto dal Museo delle Scienze di Trento, sappiamo che erano due adulti, un adolescente e due bambini, forse accompagnati da un cane. Avevano i piedi nudi e portavano torce di pino. Avanzarono carponi lungo un cunicolo strettissimo fino alla cosiddetta Sala dei Misteri, dove qualcuno raccolse dell’argilla. Nella stessa sala, a ridosso di una parete, uno dei bambini si muoveva come a comporre una danza, o per gioco. “E’ anche possibile che la loro presenza nella grotta fosse legata a un rito di passaggio. In ogni caso, lo studio è emozionante, perché racconta fatti universali, connaturati alla vita della nostra specie per decine di migliaia di anni: l’esplorazione, il rapporto con la natura, la manipolazione della materia, il gioco, la condivisione tra adulti e bambini. A immaginare oggi quegli esseri a piedi nudi, viene quasi nostalgia”.
Giulia Villoresi
Questo articolo è stato pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” del 4 settembre 2020, alle pp. 54-57.