1921. Lenin piegò i marinai di Kronstadt.
E’ l’episodio più noto della resistenza popolare, e in nome della libertà dei Soviet, all’instaurazione del totalitarismo.
Ne “La Lettura”, supplemento culturale del Corriere della Sera, di domenica 28 febbraio 2021, a pag. 11, è pubblicato questo articolo di Ettore Cinnella che commenta la rivolta, nel marzo 1921, dei marinai della base navale di Kronstadt contro il potere dittatoriale del Partito comunista. Gli insorti reclamavano le libertà politiche e chiedevano la rivitalizzazione dei soviet.
Gennaro Cucciniello
Nell’estate 1937 l’ex comunista tedesco Wendelin Thomas, membro della commissione internazionale d’indagine sui processi orchestrati da Stalin a Mosca contro la vecchia guardia leninista, chiese tra l’altro a Lev Trotsky spiegazioni sulla sanguinosa repressione dell’insurrezione di Kronstadt nel marzo 1921. La commissione, sollecitata da Trotsky e presieduta con imparzialità dal filosofo americano John Dewey, sollevava in tal modo il problema della condotta politica dei predecessori di Stalin. Trotsky rispose difendendo le scelte del 1921 e ribadendo la radicale distinzione tra il bolscevismo di Lenin e quello di Stalin. Disse che la rivolta di Kronstadt era stata opera di una “massa grigia con grandi pretese e senza un’educazione politica”, intenta a chiedere privilegi per sé mentre il Paese era alla fame. Poiché gli insorti controrivoluzionari erano armati, potevano essere sconfitti solo “con il ricorso alle armi”.
I medesimi argomenti Trotsky li ripeté in successivi interventi, sempre giustificando la violenta repressione della rivolta. Pur denunciando in quegli anni i tratti totalitari (come si esprimeva) del regime staliniano, e pur giungendo ad ammettere il pluripartitismo socialista e la democrazia politica (com’egli li concepiva), non volle rivedere le scelte dispotiche del periodo della guerra civile, dettate a suo dire dalla necessità, e continuò a definire il sistema sociale edificato nell’Urss il migliore tra quanti sorti nella storia umana.
Ma cosa avvenne cento anni or sono, nel febbraio-marzo 1921, a Kronstadt, la fortezza militare costruita sull’isola di Kotlin (distante 20 miglia da pietrogrado, l’ex Pietroburgo)? Quella rivolta di marinai e operai fu l’episodio più famoso del meno noto sommovimento rivoluzionario, che investì tutta la Russia nel 1920-1921 e che mise in serio pericolo il regime instaurato dai bolscevichi dopo l’ottobre 1917. Fu l’ultimo atto della multiforme rivoluzione russa, che s’iniziò nel 1905 e che si articolò in diversi momenti e fasi.
Oggi conosciamo nei dettagli le insurrezioni popolari esplose da un capo all’altro della Russia nel 1920-1921. La più matura politicamente, e meglio organizzata, fu la rivoluzione dei contadini della provincia di Tambov (così la chiamarono i suoi umili protagonisti), che s’ispirò alla visione democratico-socialista del populismo russo, diede vita a strutture di potere alternative, si protrasse per alcuni mesi e fu schiacciato solo nell’estate 1921 con i mezzi più crudeli (villaggi rastrellati, fucilazioni di ostaggi, uso di gas tossici contro i banditi).
E nelle città? Nel febbraio 1921 a Mosca scoppiarono agitazioni operaie e s’udirono parole d’ordine antibolsceviche. Un’inchiesta segreta della polizia comunista appurò che “l’insurrezione contro-rivoluzionaria della guarnigione e degli operai di Kronstadt (1-17 marzo) fu il conseguente sviluppo logico delle agitazioni e degli scioperi in alcune fabbriche di Pietrogrado, scoppiati nell’ultima decade di febbraio”. Gli scioperanti di Pietrogrado “non si limitarono a chiedere l’aumento delle razioni di pane” e la fine dei posti di blocco annonari: “Negli ambienti operai più retrogradi si diffuse persino la richiesta della convocazione dell’Assemblea Costituente. Ma, nel complesso, il movimento seguì la parola d’ordine dell’abolizione della dittatura del partito comunista e dell’instaurazione del potere dei soviet liberamente eletti”.
Alla fine del febbraio 1921 i delegati dei marinai di Kronstadt, tornati da Pietrogrado, elaborarono un documento rivendicativo analogo, approvato il 1° marzo dall’assemblea generale dell’isola: libertà politica per i partiti di sinistra, libera elezione dei soviet e libertà economica per i contadini e gli artigiani. Nel tentativo di screditarli, la propaganda bolscevica dipinse gli insorti come venduti agli stranieri e manutengoli della reazione, avendo essi fatto ricorso all’aiuto tecnico-militare degli ufficiali borghesi della guarnigione (i quali, senza interferire nelle scelte politiche dei ribelli, furono loro prodighi di consigli). Nobile fu la condotta morale dei rivoltosi, che non si lordarono dei delitti spesso commessi in simili frangenti. Quando qualcuno propose di catturare il dirigente bolscevico Mikhail Kalinin, venuto a Kronstadt il 1° marzo, l’assemblea si oppose e lo lasciò andar via incolume. Generoso fu anche il trattamento riservato ai bolscevichi della fortezza imprigionati, ai quali non fu torto un capello neppure alla vigilia dell’assalto finale contro l’isola.
Il tentativo di coinvolgere nella lotta gli operai di Pietrogrado fallì per una complessa serie di ragioni, tra cui l’abilità dei bolscevichi nell’evitare il contagio rivoluzionario proclamando la legge marziale e arrestando i messi giunti dall’isola. Assieme ad alcuni errori militari, come la rinuncia ad occupare basi sulla terraferma, l’isolamento si rivelò fatale per i rivoltosi. I gerarchi bolscevichi decisero di dar l’assalto alla fortezza prima che i ghiacci si sciogliessero, ma l’attacco dell’8 marzo fallì miseramente, anche per gli ammutinamenti e le diserzioni tra i soldati mandati al macello fratricida. Maggior successo ebbe il secondo assalto, sferrato nella notte dal 16 al 17 marzo con l’impiego di reparti scelti e fidati. Il 18 mattina l’ordine comunista regnò di nuovo nell’isola, con lo strascico di crudeli punizioni per quanti non riuscirono a mettersi in salvo riparando in Finlandia.
Lenin riuscì a domare la rivoluzione popolare, soffocandola nel sangue. Ma capì che, per evitare la fine violenta della dittatura giacobina di Robespierre, il governo bolscevico doveva operare una ritirata e fare concessioni alle masse straziate e affamate della Russia. Era questo il significato della lapidaria nota, da lui vergata per sé, intitolata “1794 versus 1921”. Nacque così la Nep (Nuova Politica Economica) che, senza introdurre la democrazia, abolì il sistema statalistico e militaresco del comunismo di guerra (introdotto nell’estate 1918) concedendo un piccolo spazio all’iniziativa privata.
Ettore Cinnella