Il cosmo dantesco anticipa Einstein
Nel canto XXX del “Paradiso” Dante immagina uno spazio curvo e sferico. Si tratta di una forma geometrica descritta dal suo interno, come teorizzava il matematico Gauss.
Ne “La Lettura”, supplemento culturale del “Corriere della Sera” di domenica 28 febbraio 2021, è pubblicato questo articolo interessantissimo del fisico Carlo Rovelli.
Ho terminato in questi giorni la scrittura di un manualetto sulla Relatività Generale a cui lavoravo da alcuni anni, basato su un corso che tenevo negli Usa e poi in Francia. La Relatività Generale, la grande teoria di Einstein, è stata spesso sulle prime pagine dei giornali negli ultimi anni: onde gravitazionali, buchi neri e diversi premi Nobel recenti. Ma non si può certo dire che la sua matematica sia di dominio pubblico. La difficoltà nell’insegnare, o per digerirla, è chiarire cosa sia uno spazio curvo. Abbiamo tutti un’idea di cosa sia una superficie curva, per esempio la superficie di un’arancia; ma cosa significa dire che lo spazio in cui siamo immersi è curvo?
La possibilità di pensare spazi curvi nasce da una brillante idea matematica di Carl Friedrich Gauss, forse il più grande tra i matematici. L’idea di Gauss, vissuto nella prima metà dell’Ottocento, è di pensare alla geometria di una superficie guardandola dal di dentro, invece che dal di fuori. Cioè descrivendo cosa succede muovendosi sulla superficie stessa. Con questa logica si riesce a concepire anche uno spazio curvo.
Un esempio di spazio curvo pensato in questo modo è, sorprendentemente, nel Paradiso di Dante. La forma dell’universo descritta nel Paradiso è una tre-sfera: uno spazio curvo ben noto ai matematici. Sei secoli dopo Dante, Einstein ha pensato nuovamente che l’universo possa avere proprio la forma di una tre-sfera; oggi questa è considerata una possibilità realistica nella cosmologia moderna.
Diversi anni fa, nel mio primo articolo scritto per un supplemento culturale di un quotidiano, ho raccontato questa stupefacente consonanza, nota nel mio mondo, fra l’immaginazione poetica del sommo poeta e l’immaginazione scientifica-matematica del grande scienziato della modernità. Quello che non mi sarei mai aspettato, però, è che la pubblicazione dell’articolo mi mettesse sulla strada di un percorso di letture che passa per un delizioso dotto enciclopedico medievale: Brunetto Latini, e ritorna al principe dei matematici, Gauss, andando al cuore della matematica di Einstein. Vi racconto di questo viaggio.
Tutto nasce da un’obiezione che mi fece pervenire uno studioso di Dante dopo la pubblicazione del mio articolo. Nel Paradiso Dante, accompagnato da Beatrice, sale uno dopo l’altro i cieli che circondano la Terra, fino al più alto. Per Aristotele, il mondo finisce lì: l’universo è una grande palla circondata dal cielo più alto: il bordo dell’universo. Arrivato a questo bordo dell’universo aristotelico, Dante (“riguardando ne’ belli occhi / onde a pigliarmi fece Amor la corda”) vede riflessa negli occhi della donna che ama una luce che viene dall’alto. Si volta stupito verso l’alto per vedere da dove venga, e ha una visione grandiosa. Un punto di luce circondato da immense sfere di angeli. Il punto di luce, dice poi nel canto XXX, pare “inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude”.
Dove sta questo grandioso carosello celeste? Nel mio libro di scuola era disegnato accanto all’universo aristotelico. Alcuni commentatori lo pongono in un luogo spirituale. Ma Dante dice che circonda l’universo aristotelico. Ma è anche circondato dall’universo aristotelico. Possibile? Per qualunque fisico che abbia studiato la cosmologia di Einstein, o matematico che abbia studiato la geometria di Gauss e Riemann, questa configurazione è familiare: è proprio una tre-sfera.
L’obiezione dello studioso di Dante, tuttavia, demoliva questa interpretazione: Dante, mi fece notare questo studioso, non parla di sfere, ma di cerchi. Dante, secondo lui, aveva in mente cerchi piatti, non sfere concentriche.
Ho controllato, e in effetti Dante usa la parola cerchi. Ma possibile che l’immaginazione geometrica di Dante fosse limitata al punto da pensare ai cieli, compreso il cielo delle stelle fisse, come cerchi piatti anziché sfere? Sono rimasto senza parole. Poi mi sono proposto di investigare. Cosa sapeva Dante di astronomia?
E così sono arrivato a Brunetto Latini. Di lui Dante parla con inusuale affetto e rispetto nell’Inferno. Gli si rivolge, inusualmente, con il voi e il titolo di ser (“Siete voi qui, ser Brunetto”) e poco più avanti (“la cara e buona immagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m’insegnavate…”); Brunetto gli risponde con un tu anch’esso pieno di affetto (O figliol mio). Brunetto è certo stato una fonte centrale per il sapere di Dante.
Ora, Brunetto ci ha lasciato un delizioso trattato, intitolato “Li livres dou tresor”, o semplicemente il Tresor che è un’enciclopedia ante litteram: una summa del sapere medievale, scritto in una gustosa lingua che suona a metà tra italiano e francese. L’ho letto con gran piacere, come un viaggio nel paese fiabesco del sapere medievale, cercando indizi, e li ho trovati.
L’universo descritto da Brunetto è quello descritto da Dante, e Brunetto usa effettivamente anche cerchio (cercle) parlando dei cieli (più spesso dice che sono ronde). Ma in un passo chiarisce cosa intende: del cielo più esterno scrive che “est autressi au monde comme l’escalille d’un euf qui enclosed et enserre ce qui est dedanz”; “è rispetto al mondo come il guscio di un uovo, che racchiude e contiene, cioè che è dentro”. Non c’è dubbio quindi che le parole “ronde, circle e cerchio” indicano in questo caso sfere, non cerchi. Gusci, non anellini. La geometria intuitiva di Dante è realistica e coerente, non è piatta. Ma la vera sorpresa è arrivata continuando a leggere Brunetto.
In un capitolo, Brunetto spiega che la Terra è rotonda. Poca sorpresa fin qui: c’è scritto in tutti i testi antichi e medievali, da Aristotele a Tommaso d’Aquino (che proprio all’inizio della Summa Teologica scrive “terra est rotunda”). Ma il modo in cui Brunetto spiega che la Terra è rotonda è sorprendente. Non scrive per esempio: “immaginate di volare lontano e di guardare la Terra: vedreste che è come un’arancia”. No, fa tutt’altro discorso. Dice: “immaginate un cavaliere che cavalchi sempre nella stessa direzione. Se non ci fossero montagne e mari, cavalca e cavalca, tornerebbe al punto di partenza. Oppure, immaginate due cavalieri che partano in direzioni diverse. Se non ci fossero montagne e mari, cavalca e cavalca, nonostante siano partiti in due direzioni diverse arriverebbero allo stesso punto: dall’altra parte della Terra”, agli antipodi, e si incontrerebbero là.
Perché Brunetto usa questo modo bizzarro per spiegare che la Terra è rotonda? Perché non scrive che la Terra è come un’arancia? Posso ipotizzare: se prendo in mano un’arancia, la sua superficie ha un sopra e un sotto. Se metto un sassolino sopra, resta lì. Se lo metto sotto, cade via dall’arancia. La Terra non è così: il sotto è sempre verso la Terra. I due cavalieri che cavalcano, hanno sempre il sotto sotto i loro piedi. L’esempio dell’arancia è quindi fuorviante. E’ più preciso con i cavalieri.
Quale fosse la motivazione, resta il fatto chiave: Brunetto ha insegnato a Dante a pensare alla geometria della superficie della Terra (in matematica si chiama una “due-sfera”) pensandola da dentro. Cioè in termini dell’esperienza di chi si muova su questa superficie. Non di chi la guardi da lontano, come guarderebbe la Terra chi la veda dalla Luna.
E questa –ricordate?- è esattamente la grande idea di Gauss: descrivere la geometria da dentro, non da fuori. In matematica, si chiama definizione intrinseca della geometria: la geometria definita solo dalle lunghezze delle linee in quella geometria stessa.
D’un tratto questo chiarisce come Dante abbia potuto concepire una tre-sfera. Nel testo di Brunetto c’è precisamente lo strumento concettuale giusto: la descrizione della geometria della superficie della Terra in termini intrinseci, cioè data raccontando cosa succede a chi vi si muove sopra.
Generalizzare dalla superficie della Terra (una due-sfera) all’universo (una tre-sfera) non è allora poi così difficile: l’universo è uno spazio dove un cavaliere volante che voli sempre dritto ritorna al punto di partenza. Ovvero dove due cavalieri volanti che galoppino nel cielo in direzioni opposte si ritrovano all’altro lato del cosmo, agli antipodi. In qualunque direzione due cavalieri partano dalla Terra salendo verso il cielo, continuando sempre in alto i due arriveranno entrambi allo stesso punto: il punto di luce circondato da angeli, agli antipodi della Terra.
Andate al Battistero di Firenze. Dante deve averlo frequentato, da poco ultimato da Arnolfo di Cambio, prima di essere esiliato dalla città amata e detestata, nel 1302. Deve avere fatto profonda impressione su di lui, come fece su tutti i fiorentini, la grande opera architettonica. Andate all’interno. L’Inferno dei favolosi e grotteschi affreschi di Coppo di Marcovaldo è stato spesso indicato come fonte d’ispirazione per Dante. Ma guardate in alto: c’è un punto di luce, circondato dalle gerarchie angeliche, le stesse elencate da Dante intorno al suo punto di luce alla fine del Paradiso. Pensate di essere una formichina sul pavimento, e di cominciare a camminare in una direzione qualunque. In qualunque direzione andiate, comincerete a salire i muri e finirete per arrivare comunque al punto di luce in alto, che è quindi in ogni direzione: circonda tutto. Ma allo stesso tempo, è circondato dai cerchi di angeli. E’ “inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude”.
Dante non ha fatto che prendere questa geometria chiusa e sferica ed estenderla all’universo intero, in tutte le direzioni possibili. Facile? Sì, per un poeta immenso, con una visionaria immaginazione poetica e geometrica, una straordinaria intelligenza scientifica, e una cultura vasta ed estesa che comprendeva tutto il sapere del suo tempo. Per il poeta sommo che sta all’inizio della storia della lingua che parliamo, di cui quest’anno celebriamo sette secoli dalla sua morte, verso uno di quei caleidoscopici cieli pieni di luce colorata e pieni di intelligenza, di cui risplende il suo Paradiso.
Carlo Rovelli