Misteri e idoli bisessuali nella preistoria
Dee Madri. Guerrieri. Figure arcane che evocano vita, morte, stupore. Due mostre, a Venezia e a Roma, riscoprono questa arte.
Nella rivista “L’Espresso” del 9 settembre 2018, alle pp. 98-100, è ospitato un articolo di Marisa Ranieri Panetta che commenta le mostre. Mie note da scrivere.
Nella scultura preistorica la figura femminile è la prima a irrompere sulla scena dell’arte. Con l’esasperazione delle caratteristiche sessuali –seni, ventre, glutei- sottolinea il suo ruolo dominante all’interno del gruppo di appartenenza per il potere, percepito come prodigioso, di generare altre vite.
In una vasta fascia geografica –tra Occidente e Oriente- le cosiddette “Dee Madri”, realizzate in diversi materiali, con i tratti originali impressi dai singoli artisti, ostentano la condivisione del culto più antico legato alla fertilità. Per la prima volta alcune di queste raffigurazioni, insieme con altre antichissime e rare sculture, esemplari di differenti valenze, sono riunite in una mostra: “Idoli. Il potere dell’immagine”, che inizierà il 15 settembre 2018 nel Palazzo Loredan di Venezia, a cura di Annie Caubet e promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue.
“Dopo la rassegna sulle origini della scrittura”, spiega Inti Ligabue, presidente della Fondazione da lui istituita in onore del padre, “abbiamo voluto proseguire il racconto della storia più remota con queste straordinarie sculture: piccole nelle dimensioni, ma enormi per i concetti che esprimono e lo stupore, unito al fascino, che riescono a suscitare”.
Il titolo dell’esposizione (dal greco “eìdolon”, immagine) si riferisce ai differenti significati della documentazione archeologica che, nel catalogo edito da Skira, è analizzata sia dal punto di vista estetico che antropologico. Nei cento reperti, che arrivano da Nicosia, Madrid, Cagliari, Zurigo, Bruxelles, Oxford, per affiancare il nucleo della Fondazione veneziana, alcuni mantengono intatto il loro mistero, altri rimandano a significati magici e propiziatori, altri ancora appaiono in relazione al potere politico. Quasi tutti riguardano il periodo della cosiddetta “Rivoluzione neolitica”, l’evoluzione verificatasi tra il IV e il II millennio a.C., che dai villaggi preistorici dei clan familiari si è sviluppata nella articolate società urbane dell’Età del Bronzo.
Il lento passaggio epocale assiste alle nuove tecniche per la lavorazione dei metalli, alla nascita delle prime forme di scrittura, all’intensificarsi di interconnessioni culturali e scambi di merci. Lungo la rotta privilegiata del Mediterraneo viaggiano i mercanti, gli esploratori, gli artigiani specializzati, e anche i minerali, i metalli grezzi e lavorati, le pietre preziose. Nel palazzo reale di Ebla, in Siria, è stato scoperto un giacimento di 22 chili di lapislazzuli, provenienti dall’Afghanistan e forse in procinto di partire per l’Egitto, dove erano molto apprezzati. Proprio in un deposito rituale di Hierakonpolis (tra Luxor e Assuan) si trovava la statuetta scolpita in lapislazzulo sullo scorcio del III millennio a.C., che sarà in mostra: alta poco meno di nove centimetri, rappresenta una donna stante, a braccia conserte, caratterizzata da capigliatura e triangolo pubico a riccioli schiacciati.
Tra i manufatti esposti dell’iconografia arcaica compaiono varie interpretazioni della figura femminile: dai volumi opulenti della dea madre alle rappresentazioni geometriche; a volte, solo una figura allungata con il naso sporgente o un segno sessuale specifica l’essere umano. I tratti semplificati, l’essenzialità di forme, ribadite in Sardegna, richiamano l’arte del Novecento: tante immagini, dal collo oblungo, sembrano anticipare le opere di Modigliani.
Di particolare interesse sono gli “idoli” che hanno suscitato molte perplessità fra gli studiosi sul loro significato perché presentano ambiguità sessuale: una società che voleva distinguere ruoli, sottolineare una flessibilità di passaggi, o colmare il divario tra i due sessi? Le testimonianze della Cappadocia in alabastro gessoso hanno la testa umana e il corpo a disco, con segni di genitali maschili e femminili; quelle di Cipro presentano un antropomorfismo schematico oppure delle figure “cruciformi” sempre con doppia attribuzione, mentre la “Dama di Lemba” (3800-2700 a.C.), probabile divinità, in trentasei centimetri di calcare a forma di violino esibisce seno e pube ingrossato per indicare una gravidanza, testa e collo dal chiaro aspetto fallico. Altrettanto difficili da interpretare sono le immagini che potremmo definire astratte, tendenti all’idealizzazione: sono le coisiddette “oculari”, che forse volevano esprimere la sede dell’identità, della vita stessa, raffigurando gli occhi su stele (così nella penisola iberica) o coronando con due grandi cerchi il corpo sferico (Asia occidentale, 3000 a.C.).
Le figure tridimensionali umane verso l’Età del Bronzo variano nelle tipologie e nei dettagli somatici; madri voluminose, moduli geometrici, corpi dall’identità ambigua, pian piano lasciano spazio a ben riconoscibili divinità, sovrani, eroi, protagonisti di racconti mitici. Colpisce, nella mostra, il “Suonatore d’arpa” dell’isola greca di Santorini, risalente al 2400-2300 a.C., non per la fattura semplificata ma per la scelta del soggetto. Godeva infatti di molto prestigio chi, all’epoca, sapeva maneggiare con perizia l’arpa arcuata e ne accompagnava la musicalità con racconti avvincenti. Ancora non esisteva la memoria scritta ed erano i suonatori, gli aedi di omerica memoria, a narrare gesta e imprese dei popoli, realmente accadute o arricchite da un’intrigante fantasia.
Nel percorso sull’arte preistorica ci imbatteremo anche nei reperti, poco noti, relativi alla civiltà dell’Oxus (dal nome greco dato al fiume Amu Darya) fiorita con città monumentali in una vasta regione dell’Asia centrale tra il 2300 e il 1700 a.C., ed estinta per cause tuttora ignote. Qui gli artisti hanno realizzato le loro opere coloratissime con i materiali più diversi: lega di rame, alabastro, lapislazzuli, conchiglie che arrivavano dall’Oceano Indiano; i pezzi erano lavorati separatamente e poi assemblati. Famose sono le “Dame dell’Oxus”, spiriti astrali o principesse, raffigurate con volto e braccia candide e un mantello scuro avvolgente. Esse celano significati connessi al ciclo naturale, ai contrasti di categorie opposte –Male/Bene, Terra/Aria- dove gli eroi positivi interagivano con geni malvagi, tra l’umano e l’animalesco. A Venezia ci sarà, fra le altre, la “Venere Ligabue”, acquistata da Giancarlo che fu uno dei primi studiosi di questa civiltà, conosciuta anche come “Battriana”, nell’area del Turkestan afghano. E’ lei –nella sua serena e imponente leggiadria- a contrapporsi allo “Sfregiato”, l’uomo-drago con il corpo ricoperto da squame di serpente, espressione di forze negative e selvagge. Insomma, la Bella e la Bestia di quattromila anni fa.
Marisa Ranieri Panetta