Questo è un piccolo ma succoso spunto di ricerca, tratto dalla mia tesi di laurea, relatore il prof. Giovanni Macchia, discussa nel mese di aprile del 1968, pp. 87-104. La tesi si intitolava: “Lo spettacolo a Roma durante i pontificati di Gregorio XIII e Sisto V”, anno accad. 1966-1967.
La compagnia dei comici “Gelosi” nella Roma della Controriforma
L’aver rinvenuto nel 1967, fra le carte dell’Archivio Vaticano, dei documenti che attestano, senza ombra di dubbio, la presenza della Compagnia dei “Gelosi” a Roma nel febbraio del 1585 e nel gennaio-febbraio del 1590, mi ha spinto a stilare una breve cronaca degli itinerari della celebre compagnia e a fornire un quadro aggiornato dei suoi spostamenti prima del 1590.
“E’ venuta qua una compagnia di comedianti chiamati “li Gelosi”, li quali s’intende che habbino ottenuto licenza dal papa di fare pubblicamente le commedie in questa città, il che mai ha voluto permettere in tutto il suo pontificato, et dicono che Sua Santità sia hora (…) a farlo per esserli stato meglio in considerazione che con tale trattenimento di comedie si levarano molte occasioni di questioni, et altri disordini che sogliono nascere per Roma in questi giorni di carnevale”. Questo è il testo di un “avviso” del 9 febbraio 1585 (“Avviso di Roma”, cod. urbin. 1053, p. 84, verso. Biblioteca Vaticana). Altre due cronache degli stessi giorni, opera di altri menanti (lo si desume dalla diversa grafia) riportano la notizia, dissipando così ogni dubbio: “Questa città è entrata in qualche speranza di poter havere le commedie pubbliche zannesche bandite di qua tanti anni sono ad intercessione dell’Ambasciatore di Spagna; il quale con bellissime ragioni ha fatto dar… al papa in questa pratica” (ibidem, p. 72, recto); “Li commedianti Gelosi che si trovano qua per intercessione dell’Ambasciatore di Spagna hanno avuto licenza dal papa di recitare le loro commedie bandite di qua tanti anni sono” (ibidem, p. 79, recto). Finalmente ora sappiamo qualcosa sugli spostamenti della Compagnia in quel misterioso 1585 e riusciamo a riempire, sia pure parzialmente, il vuoto di due anni, cui tutti gli studiosi finora si erano rassegnati. Si sapeva che nel 1584 (si ignora il mese) i “Gelosi” erano stati a Genova e a Savona; poi li si ritrovava a Bologna il primo di gennaio 1586: se ne perdevano le tracce per quasi due anni. Ora invece sappiamo che nel febbraio 1585 essi erano a Roma, sperando che il papa Gregorio XIII concedesse loro licenza di recitare. Probabilmente si erano accinti al lungo e rischioso viaggio, dopo aver avuto assicurazione da qualche potente personaggio della sicura concessione del permesso (non si dimentichi che Roma, piena di corti cardinalizie e di ricche casate nobiliari, presentava allettanti prospettive di guadagno per una troupe di attori). Malauguratamente non riuscirono nel loro intento e quasi subito partirono dalla città. Nei giorni seguenti non si fa più parola dei nostri comici, segno sicuro che le pressioni dell’ambasciatore e degli altri ambienti non avevano ottenuto l’effetto desiderato. Il commento sconsolato e ironico di un cronista, alla fine del periodo carnevalesco, così conferma: “lunedì da tre scalzi dello ignudo popolo israelitico fu corso il primo pallio, con tutte quelle insipidezze ch’imaginar si possa, non havendo Roma altro trattenimento in questo carnevale, che spessi homicidii, et la vista d’un passeggio per il corso di bestie bipede et quadrupede senza maschere” (“Avviso di Roma”, cod. urbin. 1053, 27 febbraio 1585). Indubbiamente anche la sola venuta dei “Gelosi” testimoniava il mutamento avvenuto alla Corte di Roma, la consapevolezza che di esso avevano quei nobili che si erano adoperati per far venire la compagnia comica nella città: soprattutto rivelava il desiderio e l’attesa di tutti per la nuova forma di arte teatrale. Il papa restò fermo nei suoi veti ma fu notato un suo diverso atteggiamento o perlomeno un nuovo predisporsi; così si preparava il terreno perché col successore si mutasse orientamento. Le cronache riportano solo la notizia dell’arrivo della compagnia, senza fare alcun cenno sui singoli attori; si può solo congetturare che ci fossero tutti i migliori, data l’importanza della città e la novità delle recite (era infatti la prima volta che un gruppo celebre di attori si recava a Roma, dopo il veto gregoriano del 1574). Da una nota di F. Andreini, contenuta in un suo libro, “Bravure del capitan Spavento”, pubblicato a Venezia nel 1669, sappiamo che la compagnia nell’estate del 1578 aveva recitato a Firenze con questo cast: i due innamorati erano Orazio Nobili e Adriano Valerini di Verona, le due innamorate Isabella Andreini e Prudenza di Verona, Francesco Andreini era il “Capitan Spavento da valle inferna”, Ludovico da Bologna “il Dottore”, “Pantalone” era Giulio Pasquati, Silvia Roncagli “Franceschina”, e infine i due “zanni” erano impersonati da Simone da Bologna e da Gabriele da Bologna “Francatrippa”.
“Lunedì i comici Desiosi, et Gelosi, cominciarono a recitare qua le loro Commedie sotto li soliti bandi…”. Questo è l’”Avviso” del 31 gennaio 1590 (“Avviso di Roma”, cod. urbin. 1058, p. 47 verso. Biblioteca Vaticana) che testimonia la presenza di ben due importanti compagnie comiche di livello internazionale durante questo carnevale romano. Il documento, che ho trovato, non parla della composizione della troupe, proprio come le precedenti cronache del 1585. E’ da credere però che ci fossero tutti i migliori, poiché solo l’anno precedente –nel maggio del 1589- erano stati a Firenze a recitare con un insieme inarrivabile di celebri attori, in occasione delle nozze di Ferdinando dei Medici con Cristina di Lorena. Noi sappiamo che in quell’occasione Giulio Pasquati era “Pantalone”, Ludovico da Bologna era “Gratiano”, Simone da Bologna “Zanni”, G. Pellesini “Pedrolino”, G. Panzanini “Francatrippa”, Francesco Andreini “Capitan Cardone”, Battista da Treviso “Franceschina”, D. Ponti “Diana”, Isabella Andreini “Isabella” e Vittoria Piissimi “Vittoria”. Papa Gregorio XIII era morto il 10 aprile 1585; un Conclave molto rapido aveva eletto papa il cardinale Peretti che aveva preso il nome di Sisto V (24 aprile 1585-29 agosto 1590). L’atteggiamento del nuovo pontefice nei riguardi del teatro fu diverso da quello del predecessore: non riesumò proibizioni né pose impedimenti, riaprì la città ai comici dell’arte e permise una larga libertà nelle rappresentazioni. La commedia dell’arte entrava nei palazzi vaticani (“nell’abitazione della sorella del papa, donna Camilla, i Desiosi avevano avuto l’onore di rappresentare una commedia molto applaudita”), persino nei monasteri (“una di quelle sere passate il card. Alessandrino fece un banchettone alli frati della Minerva, col trattenimento d’una commedia zannesca nel Monastero”, “Avviso di Roma”, 29 gennaio 1586, cod. urbin. 1054, p. 42 recto, Biblioteca Vaticana). I cardinali avevano ripreso ad andare a teatro, o meglio avevano ricominciato a farlo apertamente, il popolo riebbe il suo teatro pubblico. Il 14 gennaio del 1587 correvano queste voci: “Si dice che i commedianti saranno permessi pubblicamente in questa città, eccetto che nelli tempi privilegiati dalla Chiesa, purché paghino un tanto in servitio dei luoghi pii”; ed il 31 gennaio s’aveva la conferma: “si è concesso alla compagnia venuta a Roma delli Desiosi di far comedie, eccetto che nelli venerdì, et nelle feste comandate, ne meno di notte, alle quali però non andarano donne, né mascare, né travestiti con armi offensive né defensive, con prohibitioni di fare strepiti, né tirare zaganelle nel proscenio, sotto le pene contenute nel bando pubblico per mascare” (“Avviso di Roma”, cod. urbin. 1055, Bibl. Vaticana). Contemporaneamente venivano emessi degli ordini per regolare l’afflusso del pubblico e per tutelare il buon andamento delle recite. Le disposizioni erano quelle solite: nessuna commedia di notte dopo le 24; non era permesso recitare né il venerdì, né la domenica, né negli altri giorni festivi; era proibito l’ingresso alle donne, alle persone mascherate e a chi portava armi di qualsiasi genere; nell’interno del teatro era vietato fare eccessiva confusione, tirare “zaganelle e melangoli” agli spettatori e ai commedianti.
Ora scrivo una breve cronistoria degli spostamenti della Compagnia negli anni precedenti. Nel marzo del 1571 “i Gelosi” sono a Parigi, recitano all’Hotel de Nevers. Il 4 marzo Lord Buckurst, ambasciatore inglese in Francia, scrive a Londra d’aver visto in quei giorni “a comedie of Italians that for good mirth and handling thereof deserved singular comendacion” (“Calendar of State Papers, Foreign Series” (1569-1571)”, p. 413. Compongono la troupe probabilmente: Adriano Valerini (“Aurelio”), Lidia da Bagnacavallo e Orazio Nobili; a questi può essere aggiunto Luzio Burchiella (“Dottore”) e forse Giulio Pasquati (“Pantalone”). Nel maggio dello stesso anno sono sempre in Francia, a Nogent-le-Roi: il narratore delle cerimonie di corte chiama i comici italiani “les Galozi” ma è ovvio che si tratta di un manifesto errore. Nel marzo 1572 sono a Milano (col consenso del cardinale Carlo Borromeo) e nell’ottobre a Genova; in questa città rivolgono una supplica al Senato della Repubblica dalla quale si apprende che vogliono recitare “le loro honeste et esemplar Commedie” per tutto novembre, che sono desiderati “universalmente da tutta la nobiltà”, che la stanza dove si recita ha la capienza di 150 persone, “che gli artigiani non v’han loco”, e ricordano infine “che non sono mai stati discacciati da città alcuna”. Nella tarda estate del 1573 sono a Ferrara e nell’inverno a Venezia. Nella città lagunare sono nuovamente nell’agosto 1574: recitano davanti al re di Francia Enrico III, di ritorno da una visita in Polonia; Simone da Bologna è “Zanni”, “bravissimo in rappresentar la persona di un facchino bergamasco”; Giulio Pasquati (“il Magnifico”), Rinaldo Petignoni (“amoroso”), Vittoria Piissimi (“amorosa”). Nel maggio-giugno 1575 sono a Milano, nel dicembre a Firenze. Da gennaio ad aprile 1577 nel castello reale di Blois in Francia e da maggio ad ottobre a Parigi, all’Hotel de Bourbon; Monsieur de l’Estoile scrive: “Ils prenoient de salaire quatre sols par teste de tous les Francois qui les vouloient aller voir jouer, où il y avoit tel concours et afluence de peuple que les quatre meuilleurs prédicatéurs de Paris n’en avoient pas tretous ensemble autant quant ils preschoient”. Nella primavera-estate del 1578 sono a Firenze e a dicembre a Venezia. Sono ancora a Venezia nel gennaio 1579 (da una relazione di viaggio del principe Ferdinando di Baviera); nell’aprile sono a Mantova da dove vengono sfrattati avendo suscitato le ire del duca; in giugno a Milano, luglio a Genova, novembre a Ferrara, dicembre ancora a Venezia. Nel 1580 sono segnalati nell’estate a Milano, in ottobre a Pisa, novembre a Venezia, dicembre a Bergamo dove recitano con la compagnia degli “Uniti”, diretta da Angelica Alberghini, la moglie di Drusiano Martinelli. Nel Carnevale del 1581 sono a Venezia, insieme alla compagnia de “i Confidenti”, nel giugno ancora a Milano. Nel luglio del 1582 sono a Mantova “dove occorse loro un increscioso incidente con tre attori minacciati di forca dal duca”. Nel Carnevale del 1583 sono di nuovo a Venezia e ne scrive il capo-comico Fr. Andreini; in primavera a Genova, in estate a Milano. Nel 1584 a Genova e a Savona. Come abbiamo visto, nel febbraio del 1585 sono inutilmente a Roma. Nel 1586, in gennaio a Bologna, durante il Carnevale a Mantova, in giugno a Milano, nell’autunno a Torino. Nella primavera del 1587 sono a Firenze, da dove Isabella Andreini scrive al duca di Mantova una lettera tutta cerimoniosa e adulatrice. Nell’estate 1588 sono a Mantova e nell’autunno a Milano. Nel maggio 1589 sono a Firenze per le nozze del granduca, in settembre a Milano, in ottobre a Parma, in dicembre a Mantova gratificati dal duca con cento scudi. Nel gennaio-febbraio 1590 li abbiamo trovati a Roma.
prof. Gennaro Cucciniello
Roma, settembre 1967