Etty Hillesum: sulla porta del lager di Auschwitz
Raffinata e originale, tormentata ed eroica, passionale e spirituale: Elisabetta Rasy dedica un ritratto alla giovane pensatrice olandese, morta ad Auschwitz a 29 anni nel 1943.
Nel “Venerdì di Repubblica” del 27 gennaio 2023, alle pp. 102-103, è pubblicato questo articolo di Lara Crinò che commenta il saggio di Elisabetta Rasy.
Etty Hillesum era nata a Middelburg, in Olanda, nel 1914. Morì ad Auschwitz nel 1943, in novembre. Aveva 29 anni. Il suo nome, tra milioni di altri nomi di uomini e donne uccisi nei lager, poteva essere dimenticato; o forse ricordato, decenni dopo la sua morte, solo da una pietra d’inciampo. Ma Etty Hillesum non si è lasciata dimenticare: questa giovane ebrea olandese, intellettuale raffinata, donna dal pensiero modernissimo, credente tormentata e piena di slancio, ci ha lasciato in eredità un fiume di parole. Nel suo “Diario”, edito in Italia da Adelphi, racconta la vita ad Amsterdam sotto l’occupazione nazista e poi nel campo di transito di Westerbork, dal quale con i genitori e i fratelli partì per il campo di sterminio. Nessuno di loro fece ritorno, ma la scrittura di Etty le sopravvisse e costituisce un unicum letterario. Elisabetta Rasy, giornalista e scrittrice di romanzi e di saggi dedicati al mondo femminile, inaugura la collana di HarperCollins, “Scrittrici / Scrittori”, pubblicando su Hillesum un libro che si intitola “Dio ci vuole felici. Etty Hillesum o della giovinezza”, 160 pagine, 18 euro.
Si può intitolare così un testo legato alla Shoah?
Sono parole che Etty usa nel “Diario”. Ho voluto quella frase in copertina come un invito a riportare in primo piano la sua vita e la sua scrittura, non solo la sua morte tragica. Lessi il Diario per la prima volta negli anni Ottanta. Allora ero giovane e mi sembrava che questo libro parlasse di me. Non equivochi: Etty è una vittima della Shoah. Ma il Diario non è solo la testimonianza della persecuzione, è un grande romanzo di formazione al femminile, particolarmente prezioso perché fino alla metà del ‘900 questo tipo di letteratura è estremamente raro. La parte più nota della vicenda Hillesum, ossia il suo eroismo, la sua abnegazione nel campo di Westerbork, le riflessioni religiose, sono in realtà il frutto, l’esito della sua vita precedente, del suo grande lavoro su se stessa.
Hillesum è stata spesso vista come una mistica laica. Lei non è d’accordo con questa lettura?
Non bisogna equivocare la spiritualità e la riflessione su Dio con l’ascetismo. Etty è un’anti-asceta, è totalmente avvinta nelle passioni ma capace di coltivare una straordinaria spiritualità. Alcune letture, in particolare in chiave cattolica, del Diario tendono a trascurare questo aspetto, anzi addirittura a suggerire una sorta di sua redenzione, di suo riscatto dagli errori della giovinezza. Ma è esattamente il contrario: è il suo tragitto complicato che la porta a essere il cuore pensante della baracca. Quando arriva alla fine tragica della sua vita, lei non può che essere se stessa.
Per questo motivo lei definisce il “Diario” un “libro mastro di economia della vita”?
E’ la storia di una donna piena di dubbi e incertezze, che aveva disturbi psicosomatici ed era continuamente in lotta con il suo corpo. Etty scrive nelle prime pagine “paura su tutta la linea”, ma poi è piena di coraggio nell’affrontare le sue paure. Vive l’allontanamento da una famiglia complicata, poi si innamora di un uomo difficile e strano, lo psico-chirologo Julius Spier, con cui sa fin dall’inizio di non poter avere un futuro convenzionale; anche lui è ebreo, è fuggito dalla Germania e vorrebbe raggiungere la fidanzata in Inghilterra, cosa che non riuscirà a fare perché morirà prima della deportazione, nel 1942. Etty seppe vivere questo amore come forma di conoscenza dell’altro e di se stessa. Era decisa a vivere la sua esperienza femminile in maniera anticonvenzionale e a scriverne. E questo la avvicina a grandi scrittrici di quella generazione, da Marguerite Duras, a Katherine Mansfield.
Questo non è l’unico riferimento letterario nel suo libro…
Mi piaceva fare una sorta di diario di lettura di un diario. Ossia raccontare come si legge e mostrare l’atto della lettura come un convivio, in cui entrano pezzi della tua vita ma anche altre storie, altri personaggi. Ad esempio, io lego Etty non solo alle autrici del ‘900, ma anche a un personaggio letterario, che è Micol del “Giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani, a mio parere uno dei grandi romanzi del Novecento, un capolavoro della letteratura ebraica. Poi c’è un altro tema, che percorre ogni pagina della sua scrittura: un grande senso della responsabilità individuale, che è poi la chiave della libertà femminile. La battaglia che Etty porta avanti è una battaglia per assumersi la responsabilità di se stessa. Sul fronte esterno, della libertà politica, civile, religiosa, sul fronte interno, quello della libertà psichica.
Con la sua morte prematura si perde un talento femminile.
Mi sono sempre occupata di donne che hanno fatto un percorso di vita e pensiero. Se non c’è pensiero, non c’è libertà. In un altro libro, “Le disobbedienti”, ho scritto di Charlotte Salomon e della sua opera pittorica straordinaria, “Vita? O teatro”: anche Salomon, come Hillesum, morirà ad Auschwitz. Nella Shoah c’è anche questa dimensione, che va sottolineata: il nazismo non ha solo annientato milioni di vite, ha anche annientato tantissimi talenti. La Shoah è stata un eccidio di intelligenza, e di intelligenza femminile in particolare: la borghesia ebraica laica faceva studiare le giovani donne, le mandava all’università, coltivava le loro capacità; la stessa Hillesum era laureata in Giurisprudenza e studiava il russo. Moltissime intellettuali ebree sono morte, penso ad esempio a Simone Weil, a Edith Stein (suor Teresa Benedetta della Croce, santa), altre sono andate altrove, come Hannah Arendt che nel 1933 lasciò la Germania per gli Usa. L’Europa ha subito, prima con i pogrom di inizio secolo e poi con l’Olocausto, un incredibile impoverimento intellettuale.
Perché il suo racconto-confronto con Hillesum si ferma prima dell’esperienza del lager?
Etty è un’anima in dialogo, un’anima che ancora riesce a parlarci, in questo sì è una mistica: arriva all’atteggiamento che terrà nel campo di Westerbork attraverso un lungo lavoro di costruzione della sua anima, perché ciò che siamo è proprio questo, una costruzione faticosa, ed era questo che volevo emergesse dalla sua storia. La fatica ma anche la vitalità di una donna che riesce a scrivere, nonostante tutto quello che accade intorno a lei e nella piena consapevolezza di ciò che accade, “il 1941 è stato l’anno più bello della mia vita”. Quando arriva a Westerbork Etty sceglie la via non violenta, ma non è rassegnata. Io racconto questo percorso ma per pudore mi fermo prima del lager. Penso che il lager sia indicibile, se non da chi l’ha vissuto”.
Lara Crinò Elisabetta Rasy