Il grande racconto del Mediterraneo

Il Mediterraneo bagna Bruxelles

Lascia smarriti la profonda sedimentazione storica tra Gibilterra e Suez. L’UE vi appartiene e ne è responsabile.

 

Ne “La Lettura”, supplemento culturale del Corriere della Sera del 20 novembre 2022, alle pp. 8-9,  Alessandro Vanoli discute con lo storico Egidio Ivetic che insegna “Storia del Mediterraneo” all’Università di Padova.

 

Per capire meglio quanto sta succedendo può essere utile anche la lettura di uno storico, Egidio Ivetic, che ha appena pubblicato il libro, “Il grande racconto del Mediterraneo” (il Mulino) e che è senza dubbio uno dei più attenti studiosi di questi temi.

Potremmo allora partire da qui: ricordi quando negli anni Novanta quel piccolo mare sembrava davvero al centro del mondo? Persino l’Unione Europea, a cui allora credevamo un po’ tutti, sembrava pronta per proiettarsi a sud: un rapporto, un reciproco scambio economico e culturale da costruire con i Paesi delle altre rive mediterranee. Così per noi storici c’era un intero mondo da studiare e raccontare; un mondo che anche nei secoli passati era stato definito da reti, relazioni e scambi. Che cosa rimane secondo te di quella prospettiva mediterranea?

Questo mare è stato per millenni un “medium” tra le sue parti. Le connessioni sono state il suo essere. Non c’erano tanto il Nord e il Sud, quanto il Ponente e il Levante. E’ diventato un confine tra Nord e Sud del mondo nell’Ottocento, quando è stato usato come spazio coloniale per le potenze europee che si sono aggiudicate pezzo dopo pezzo ciò che fu il Mediterraneo degli Ottomani. Colonialismo e post-colonialismo hanno segnato il Novecento fino appunto agli anni Novanta, che avrebbero dovuto aprire un’età della convergenza. Chiaramente non è stato così. Eppure, l’80% della superficie del Mediterraneo è di competenza dell’Unione Europea. Consideriamo Ceuta e Melilla enclavi spagnole sulla costa marocchina, consideriamo Lampedusa e tracciamo una linea da essa fino a Cipro e da lì poi fino a Kastellorizo, l’isola greca di fronte alla Turchia, e aggiungiamoci tutto l’Egeo. Ebbene ciò che rimane fuori da questo perimetro è davvero poco. Il problema è che l’Unione Europea non si rende conto di essere anche gran parte del Mediterraneo, rifugge dal suo essere mediterranea, e dal fatto che questo comporti –volente o nolente- il confronto con gli altri. La prospettiva mediterranea rimane, a maggior ragione, in Italia, che è il centro, non so quanto consapevole, di questo mare.

Trovo che sia sempre pericoloso gettare facili ponti tra il passato più antico e il presente. E, con buona pace di Fernand Braudel, trovo che sia ancora più pericoloso cercare modelli e caratteristiche mediterranee… Ma secondo te è possibile trovare delle costanti o almeno degli elementi caratterizzanti nella storia di questo mare?

Il Mediterraneo è passato dall’essere un mezzo, quale è stato per millenni, ad essere oggetto di studio, di sovranità nazionali, di immaginario nell’Ottocento, sino a diventare dal 1945 a oggi una mera risorsa da sfruttare. Uno sfruttamento implacabile. In questo ultimo tratto della sua lunghissima storia, è diventato anche luogo della geopolitica globale. Le logiche continentali l’hanno trasformato. Fino all’Ottocento, questo mare è stato pur sempre uno spazio in cui la complementarità, cioè lo scambio tra una sponda e l’altra, tra una regione e l’altra, era stata un fatto necessario. Certo, non mancavano conflitti per ridefinire gli equilibri politici, ma erano per lo più conflitti di assestamento, anche se drammatici: prevaleva il senso di una convivenza necessaria, anche davanti a paure, incursioni, razzie, rapimenti e riscatti.

Quindi non si può definire una specificità mediterranea?

Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso l’antropologia culturale tentò di fissare i connotati della dimensione umana mediterranea. Malgrado tutti quegli sforzi, però, divenne evidente che modellare il Mediterraneo fosse impossibile. Poi certo seguire le tracce della grande letteratura, o magari dell’epica, rimane suggestivo. E viene da cogliere forse lì l’idea o la suggestione di modelli mediterranei. Ettore: l’uomo mediterraneo che difende casa e famiglia e il cui orizzonte rimane quello della patria. Odisseo: colui che per tornare in patria deve fare il periplo dell’ignoto marino ed è l’emblema del navigatore. Enea: colui che ha perso la patria, che deve fuggire, che deve attraversare il Mediterraneo per rifondare e avere una nuova casa. Tutto questo sembra in effetti ripetersi. Forse sono questi gli elementi caratterizzanti.

Tu hai evocato spesso il tuo passato da marinaio. Cosa che ho sempre pensato ti dia una prospettiva privilegiata per ragionare di Mediterraneo. Ma in questo senso c’è un punto che mi interesserebbe approfondire. Credo che troppo spesso molti storici facciano confusione tra storia del mare e storia del mondo geograficamente legato al mare. Tu cosa ne pensi?

Gran parte della gente che vive sulle sponde del Mediterraneo non solo guarda il mare, ma lo sente come patria, proprio perché ci cresce vicino. La gente di mare, quella che lavora con quell’elemento e che sente propria la dimensione marittima, è una minoranza. Una minoranza che, tuttavia, da sempre ha contribuito a unire le varie sponde, a fare del Mediterraneo ciò che esso davvero è. Sì, la navigazione, un anno vissuto come marinaio di leva, il mio rito di passaggio e iniziazione al Mediterraneo, è stata fondamentale per poter andare oltre l’orizzonte con cui sono cresciuto anch’io. Fu un distacco necessario. Poi uno, se lo vuole, rimane marinaio per sempre e cerca di congiungere con la navigazione culturale le diversità tra le varie sponde mediterranee.

Sulla scorta di quanto mi hai detto, continuiamo a parlare allora di storia mediterranea e proviamo a tracciarne le linee essenziali: secondo te quali sono le grandi fasi in cui è possibile scandirne i periodi?

Ci fu una lenta conquista del mare, ci vollero millenni all’uomo per prendere atto che il Mediterraneo non è infinito. Le prove di questa epoca primordiale le troviamo in diversi passaggi dell’”Odissea”. Una prima antichità fu quella dell’Egeo, della civiltà cretese, un laboratorio per quello che sarebbe poi diventato il Mediterraneo. I Fenici rimangono l’archetipo di una civiltà marittima che poi ritroviamo nelle repubbliche marinare italiane, ma anche nell’Olanda e nell’Inghilterra proiettate sugli oceani. I Greci hanno unito con la loro lingua e cultura le coste mediterranee, i Romani ci hanno costruito uno Stato, un impero. Questa antichità mediterranea è imprescindibile. Il medioevo vede la divisione tra mondo arabo, Bisanzio e la nascente Europa; mondi che si sono confrontati tramite commerci e crociate. L’età moderna ha visto contrapposti il Mediterraneo cattolico a quello ottomano; un’altra versione del dualismo che comunque permane nell’Ottocento delle nazioni, fatte di sovranità e colonie. Ma ciò che colpisce di più nel Mediterraneo, e che è riconoscibile in buona parte dei suoi luoghi e delle sue città, è la sedimentazione di tutte queste storie. Chi ci cresce percepisce, anche inconsapevolmente, queste sedimentazioni; ed è una ricchezza. Ci sono luoghi, come a Napoli, in piazza Bellini, dove le pietre sono quelle dellaNeapolis greca di 25 secoli fa. Il nostro Mediterraneo offre questa vertigine del tempo.

Veniamo al nostro presente. Credo che uno degli elementi più rilevanti per ragionare di Mediterraneo sia il problema della sua invenzione. Di che cosa è fatta l’immagine che di questo mare ci siamo costruiti?

E’ con il Romanticismo che il Mediterraneo viene percepito come luogo di storia e cultura, della classicità e del sublime. L’emozione, la nostalgia, la meraviglia per il cielo del Sud fa da sfondo a un immaginario che attraverserà le varie arti, dalla letteratura sino al cinema. E’ l’immaginario comune ed è l’immaginario individuale. Alla fine tutto diventa vacanza, nel senso davvero di sospensione, di stacco. E per quella vacanza c’è bisogno di Mediterraneo. Solo in Europa capita, come da nessun’altra parte del mondo, che milioni di persone migrino ogni estate verso uno stesso luogo delle vacanze, che è il Mediterraneo. Ma anche questo mare, alla fine, ha mediterraneizzato l’Europa. Si trovano i pizza-kebab nelle più settentrionali città norvegesi e finlandesi. Io stesso mi rifugio nei ristoranti greci quando capito a Bruxelles.

Tu hai lavorato molto sull’Adriatico e sui Balcani, riflettendo in particolare ultimamente sulle categorie di Oriente e Occidente. Tutto questo cosa ci spiega del nostro tempo presente?

Nella loro complessità i Balcani riassumono la complessità del Mediterraneo. Nel caso dei Balcani essa è concentrata, ristretta in molti suoi luoghi, tra “tekije” (edifici religiosi musulmani) dei dervisci, santuari cattolici come Medjugorje e monasteri ortodossi serbi. Nel Mediterraneo è il mare che pone le distanze tra le civiltà, che permette di fluire tra un mondo e l’altro, permette la razionalità dell’adattamento. Est e Ovest, là dove si incontrano, possono essere un tormento, ma anche un vantaggio che dona il disincanto.

Secondo te, a qualcuno importa ancora qualcosa del Mediterraneo?

Ogni Paese mediterraneo ha una sua prospettiva mediterranea, ha un suo mediterraneismo. C’è il tutto e c’è il particolare, declinati a seconda dei casi. L’Italia è il centro di questo mare, è un dato geografico. Possiamo fare finta che non ci importi del Mediterraneo, che siamo europei e basta. Ma non so quanto convenga non conoscere il Mediterraneo. Questo nostro antico mare, nonostante tutto, è la vertigine del tempo, la cognizione della storia e l’estate eterna.

 

         Alessandro Vanoli                   Egidio Ivetic