Musei Vaticani: la Galleria delle carte geografiche

Musei Vaticani: la Galleria delle carte geografiche

E’ il luogo dedicato alle carte dei territori papali e dell’Italia.

 

Piccoli frammenti da un grande restauro. Galleria delle Carte geografiche dei Musei Vaticani: durante la spolveratura del lunettone sopra il portale dell’ingresso nord, all’interno di una piccola nicchia proprio dietro il festone con frutti che scende dallo stemma centrale, è comparsa come d’incanto una moneta dell’epoca di Urbano VIII (1623-1644). In contemporanea, nei due riquadri segnati in rosso alle estremità della stessa lunetta, si è ritrovato inciso per ben due volte (a destra e a sinistra del portale) il numero “1632”: quattro cifre che certificano l’anno dell’esteso intervento voluto appunto da Urbano VIII. Dopo la pulitura e la rimozione dei depositi incoerenti sedimentati, sul battente del cornicione alla base della lunetta, in corrispondenza della figura dell’Abbondanza è venuta poi alla luce la scritta “1633 CLORIMISI”: fatta a pennello, probabilmente con il pigmento utilizzato per la preparazione della stesura dell’oro, si può verosimilmente interpretare come “colori misi”. Sul medesimo cornicione, ma stavolta sotto il vinto accasciato a sinistra della Giustizia, è infine comparsa una scritta più tarda a grafite, riconducibile ai lavori condotti da Oreste Mander a seguito del terremoto del 1915. Una scritta purtroppo leggibile solo in parte: “Sotto il pontificato di Benedetto XV furono restaurati…”

Sono solo alcune delle storie riportate alla luce dal restauro che, in tre anni e otto mesi (dal settembre 2012 al giugno 2016) ha restituito all’antico splendore la Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani. E sono storie che, per lo più, tracciano altri precedenti restauri di un luogo unico e magico –così lo definisce la direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta- dove si arriva spesso quasi per caso, alla ricerca del Michelangelo della Cappella Sistina o del Raffaello delle quattro stanze affrescate per Papa Giulio II. Un luogo unico e magico che ha già sperimentato i primi segnali di una rinascita post-pandemia: in una sola settimana di giugno sono stati oltre 150mila i visitatori di questo fantastico corridoio. Un luogo unico e magico dove ognuno può trovare un suo personale punto di vista: l’ammirazione estetico-artistica, la ricerca delle proprie radici, una serie di sottili considerazioni storico-politiche…

La Galleria delle Carte geografiche, voluta da Papa Gregorio XIII Boncompagni e realizzata tra il 1580 e il 1585 sotto la direzione del domenicano Egnazio Danti (geografo, matematico, astronomo, cartografo) è il più vasto ciclo pittorico di figurazioni cartografiche esistente al mondo.

Lunga 120 metri e larga 6, la Galleria permetteva di fatto al pontefice di viaggiare senza uscire dalle Mura vaticane (“il magnifico spasseggio” di Papa Boncompagni o l’”ambulatio gregoriana”), di avere continua conferma del proprio potere guardando dall’alto i suoi possedimenti. La raffigurazione simbolica di un’unità spirituale oltre che geografica.

Quaranta le tavole dipinte su parete (tra gli altri Girolamo Muziano, Cesare Nebbia e Giovanni Guerra). Che raffigurano le regioni italiane, le grandi città portuali e alcune isole minori più una carta del “Territorio di Avignone”, località francese allora appartenente al pontefice e due grandi mappe generali raffiguranti l’Italia antica e l’Italia moderna (Totius orbis regio nobilissima è scritto all’ingresso della Galleria). Sul soffitto sono stati a loro volta fermati (dai pennelli di Antonio Tempesta) episodi miracolosi legati alle località sottostanti.

La disposizione delle carte segue un ideale itinerario lungo l’Appennino con le regioni tirreniche sulle pareti di sinistra e quelle adriatiche sulle pareti di destra. Con diverse particolarità: alcune carte appaiono, ad esempio, come capovolte perché nel Cinquecento non era una convenzione quella di situare il nord nella parte alta della mappa.

Seguendo l’idea di Papa Francesco “di un’arte fragile che deve essere preservata per arrivare alle prossime generazioni” il restauro (“un cantiere complesso anche perché abbiamo lavorato con i visitatori ancora in presenza”) celebra la gloria definitiva della Galleria. Che, grazie al lavoro di 25 restauratori guidati da Francesco Prantera e supportati da Ulderico Santamaria (un lavoro raccontato in un volume ora curato da Annavaleria Caffo, “Della Gran Galleria Vaticana. Viaggio attraverso il restauro della Galleria delle Carte geografiche”, Edizioni Musei Vaticani, pp. 592, € 90) ha fatto piazza pulita delle torbide stesure, delle colle ossidate, dei rifacimenti, delle ripitture che offuscavano le carte e le altrettanto malconce cornici dorate. 1200 mq di superficie originariamente dipinta a fresco con numerose e diffuse finiture a secco che volevano glorificare il primato della Chiesa (con il Papa che in alcune di queste mappe compare come una sorta di sacro Giove), idealmente molto vicini alla Sala dei Mappamondi del Palazzo Farnese di Caprarola dove negli stessi anni (1573-1575) il Vanosino avrebbe affrescato, secondo la moda dei potenti del tempo, il mondo allora conosciuto.

Ciò che rende la Gran Galleria Vaticana davvero rivoluzionaria –spiega Caffo nell’introduzione al volume- è la scelta di rappresentare per la prima volta l’Italia come un tutto organico, una unità geografica, storica e culturale al di là dei particolarismi politici e di transitorie dominazioni o influenze straniere. Sul piano politico la Galleria si pone come il manifesto legittimante  dell’autorità del Vicario di Cristo e del suo ruolo di centro aggregante della cristianità”.

Questo restauro in particolare è secondo Barbara Jatta davvero unico: “Il merito è prima di tutto del mio predecessore Antonio Paolucci che l’ha avviato, io sono arrivata a cantiere già aperto”. Finanziato da The Patrons of the Arts in the Vatican Museums (in particolare dal chapter della California) –che di recente hanno permesso tra l’altro il recupero dell’arazzo di Raffaello con La morte di Anania, di otto scudi etruschi e della casula di Urbano VII (tra i restauri in corso il San Giorgio che uccide il Dragone di Paris Bordone)- “è il risultato di un lavoro corale che si è fermato e ripartito più volte a causa della pandemia, ma che assomiglia molto a quello delle botteghe degli antichi pittori”.

Bottega d’arte, ma anche laboratorio di scienza. Per “ottenere una stabile riadesione tra colore e superfice” si è, ad esempio, scelto di usare un’alga giapponese su cui l’équipe stava da tempo lavorando, l’alga funori già usata da secoli per il restauro di carte e tessuti di piccole dimensioni, qui utilizzata per uno spazio molto più ampio. Una sorta di colla naturale che permette di rinforzare un sostegno fragile e di poterlo poi pulire con acqua distillata ma che è al tempo stesso costosissima. Nei laboratori vaticani hanno invece trovato il modo di riprodurla e usarla diluita a spruzzo per le grandi superfici mentre le stesse proprietà dell’alga giapponese sono state ritrovate in un’alga rossa del mare di Tarquinia.

In ognuna delle Carte per ognuna delle regioni, tra fiumi, boschi e valli compaiono strade, piante e animali mentre le città sono ritratte con le loro mura, le chiese, i campanili, i palazzi, i vicoli. I mari di un luminoso azzurro e increspati dalle onde sono solcati da galeoni e galere da guerra, pescherecci, scialuppe e gondole. Ciò che rende veramente uniche queste rappresentazioni cartografiche è che alla dimensione geografica è stata aggiunta quella storica, sottolineando attraverso alcuni eventi-chiave (Annibale con i suoi elefanti al fiume Trebbia, Leone Magno che ferma la discesa di Attila, la battaglia di Lepanto) come, già che secoli prima che l’idea di unità d’Italia cominciasse a farsi strada, “la penisola fosse comunque percepita come un’entità unitaria, caratterizzata da una storia, da una cultura, da una religione comuni”.

Tra i piccoli frammenti, quasi da favola, di questo grande restauro c’è un’altra scritta a matita, “09-Maggio-1635”, ritrovata sulla parte bassa della cornice dell’Italia Nova: data la fine dei lavori di questa carta che, insieme all’Italia Antiqua, fu completamente rifatta sotto Urbano VIII. Quella lasciata in basso a destra nella cornice di Melita obsidione liberatur (ovvero del grande assedio di Malta) recita invece “Girolamo Muziano eseguì Cesare Nebbia”. Non una firma, piuttosto un’attribuzione a posteriori ridipinta sopra il settecentesco intervento di Carlo Roncalli, una scritta sul muro (forse proibita come oggi) arrivata da un tempo lontano.

 

                                                        Stefano  Bucci

 

L’articolo è pubblicato ne “La Lettura” del 3 luglio 2022, supplemento culturale del Corriere della Sera.