La mamma di Leonardo da Vinci: una schiava circassa.

La mamma di Leonardo da Vinci: una schiava circassa.

Uno  studioso serio, Carlo Vecce, lo ha scoperto in un Archivio.

 

L’articolo di Simone Innocenti è pubblicato ne “La Lettura” del 16 aprile 2023, supplemento del Corriere della Sera, pp. 20-21.

 

E’ il 25 marzo 1452, a Paterno, nella zona collinare di Vinci. Mancano pochi giorni e Caterina sta per partorire il suo primogenito: Leonardo. “Nel romanzo ho immaginato che Antonio, nonno di Leonardo, si trovi seduto su una pietra e stia aspettando il figlio, ser Piero, notaio che lavora a Firenze. Da quella strada scende il giovane con il carretto. Sul carretto c’è Caterina, una schiava circassa che sta per diventare madre in questa casa di contadini ad Anchiano, rimasta più o meno simile all’epoca, anche se adesso manca –ad esempio- il frantoio: qui Caterina partorisce”, racconta Carlo Vecce, professore all’Orientale di Napoli, studioso della civiltà del Rinascimento, autore de “Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo” (Giunti). Un uomo coltissimo, abituato a maneggiare e studiare archivi, una padronanza di sei lingue, una miriade di curatele e saggi, cooptato 30 anni fa da Carlo Pedretti e Paolo Galluzzi nella Commissione Leonardiana, svariati libri di saggistica su Leonardo. Uno studioso che –documenti alla mano- ha scoperto chi ha dato alla luce il genio di Vinci: una donna nata sugli altipiani del Caucaso, forse nell’attuale Kabardia, repubblica autonoma della Federazione Russa. L’annuncio è stato fatto il 14 marzo 2023 davanti alla stampa di tutto il mondo.

Il libro è un romanzo, ma l’invenzione si basa su anni di studio e su documenti rimasti fino a qualche mese fa sconosciuti, compreso l’atto di liberazione della schiava Caterina trovato nell’Archivio di Stato di Firenze che l’autore –al suo esordio letterario- ha studiato di nascosto nel 2019. “L’anno dopo, in piena pandemia, ho cominciato a immaginare e ho iniziato a scrivere questa storia: ecco il mio peccato –spiega Vecce-. mPoi il manoscritto l’ho fatto girare tra sei miei studenti fidatissimi per conoscere la loro opinione. Ed eccoci qui”.

Qui è il 15 aprile 1452 e –come allora- è un sabato. La chiesa di Santa Croce a Vinci apre la porta sacra a un nuovo figlio di Dio: il giorno dopo, domenica in albis, il parroco benedice nel fonte battesimale il piccolo Leonardo. La mamma Caterina ha 25 anni, non parla il volgare toscano e usa una strana lingua. E’ stata catturata alla Tana –l’ultima colonia veneziana alla foce del Don- e ha viaggiato via mare fino a Costantinopoli e poi a Venezia riuscendo a scampare alla fame, agli stupri, alla morte. Non è nella chiesa di Vinci: ha avuto un parto travagliato ed è rimasta su ad Anchiano. Con il piccolo c’è il nonno Antonio. “Mi sono sempre chiesto perché Leonardo si chiamasse così. E’ un nome inusuale, se ci pensiamo”, argomenta Vecce per concludere che San Leonardo è il protettore dei carcerati, delle partorienti e del bestiame: gli schiavi. Quel nome non è un caso: è il simbolo della liberazione. E’ nella casa del nonno Antonio –ceduta dal vecchio mercante all’altro figlio Francesco- che Vecce ambienta i primi mesi di vita del bambino: in questo giardino Leonardo gattona, tra queste mura reclama la poppata… La circassa Caterina forse pensa che suo figlio potrebbe finire allo spedale degli Innocenti, ma Piero –in quel momento sposato con Albiera Amadori- non vuole disfarsi del figlio nato da una relazione extraconiugale, anche se rischia di finire male. “Ser Piero aveva sottratto la schiava a una famiglia sapendo che rubare in quella Firenze portava a due conseguenze: il carcere delle Stinche oppure la morte”, spiega Vecce per segnare il confine tra fantasia e realtà. La circassa è arrivata quasi dieci anni prima da Venezia assieme a Donato di Silvestro, un avventuriero che possiede delle botteghe di battiloro nella città della Serenissima, dove Caterina ha lavorato e dove è stata acquistata. Donato ripara a Firenze per rifugiarsi dalla legge veneta e ritrova il suo primo amore: monna Ginevra. I due si sposano e Ginevra diventa la padrona della circassa. Ser Piero frequenta la casa della coppia già da prima: fa dei lavori per conto di Ginevra. E’ lì che conosce Caterina, destinata –per volere della padrona- a fare da balia a Maria Castellani, figlia del cavaliere Francesco Matteo Castellani che –nei diari scoperti da Vecce- ne annota la sua liberazione. Poche settimane fiorentine cambiano la vita: ser Piero rende madre Caterina, non l’abbandona al suo destino, fugge con lei a Vinci.

Ora è il 2 novembre 1452: Leonardo non ha ancora sei mesi e Caterina viene liberata proprio quel giorno. L’atto di liberazione –scopre Vecce- viene rogato da ser Piero, uno dei notai di fiducia di monna Ginevra e del cavaliere Castellani. A questo pensa Caterina quando –nella casa di Vinci- guarda Leonardo. Il piccolo corre libero, respira queste campagne, entra nella chiesa di Santa Croce di Vinci: la prima opera d’arte che vede è una scultura lignea, una Maddalena scolpita da Romualdo di Candeli, ha capelli lunghissimi che le coprono l’intero corpo, una figura selvaggia, una femmina forte. Poi sfreccia fino al Mulino della Doccia, a due passi dalla vecchia cinta muraria. La potenza dell’arte e l’ingegno della meccanica lo colpiscono: proprio quel Mulino viene preso in affitto dallo zio Francesco nel 1478 insieme con Leonardo pochi giorni dopo la congiura dei Pazzi. “Segno che Leonardo era legatissimo a Vinci e alla madre, tanto da tornare spesso”, dice Vecce spiegando che è proprio guardando i meccanismi di questo mulino –“risulta dal Codice Atlantico”– che Leonardo ipotizzerà una macchina per triturare i colori.

Leonardo cresce con lo zio Francesco e i nonni. E con la mamma Caterina, che nel frattempo si è sposata con Antonio Buti detto l’Attaccabrighe, un ex soldato di ventura diventato contadino: perciò la storia si sposta a San Pantaleo, una frazione –ancora verdissima- di Vinci. E’ nella chiesa di San Pantaleo che Caterina adesso prega, accompagnata a messa da Leonardo. Dalla chiesa alla casa –dove per 40 anni Caterina vive con il marito, prima di andare a trovare il figlio Leonardo a Milano, dove morirà – non c’è neppure mezzo chilometro. Nell’aia ha giocato Leonardo con le sorelle.

Intorno al 1472 Leonardo dipinge, nella chiesa di Monteoliveto a Firenze, la sua prima opera: l’Annunciazione, ora agli Uffizi. Nell’Archivio di Stato di Firenze Vecce ha scoperto un documento: un rotulus originale in pergamena e che sarà riprodotto ne “La vita di Leonardo”, opera di carattere scientifico che Vecce darà alle stampe il prossimo anno, sempre con Giunti. E’ il 16 aprile 1466 e il notaio ser Piero, padre di Leonardo, roga il testamento di Donato (marito di Ginevra) che muore poco dopo all’età di 90 anni: tutte le sue ricchezze vanno al convento fiorentino di Monteoliveto. L’eredità viene trasferita nel 1470 ai frati: il nuovo priore è Lorenzo Salvetti, nipote del nuovo marito di Ginevra, l’avvocato della Badia Tommaso Salvetti. E’ ser Piero che si muove per sbloccare l’eredità e probabilmente fare incaricare il figlio Leonardo della realizzazione dell’opera. Il giovane pittore ambienta la scena biblica usando Monteoliveto come la casa di Maria: il muro del dipinto è lo stesso che si vede oggi; anche l’ingresso della casa è quello della soglia dell’edificio religioso. Ma… sullo sfondo del dipinto –invece di riprodurre un paesaggio riconoscibile- Leonardo mette qualcosa di diverso. “Leonardo rappresenta la più alta cima del Caucaso (l’attuale Elbruz), venerata dai circassi come la montagna sacra Oshamako, e poi, sotto, la colonia veneziana della Tana, da dove comincia il viaggio di Caterina come schiava. Solo lei può avergli raccontato tutto questo”, conclude Vecce, studioso che frequenta testi antichi ma ha una passione per gli scrittori del ‘900: Joseph Conrad e Marguerite Yourcenar. E Umberto Eco. “Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo” si basa sì su documenti scientifici ma la scrittura è quella di un romanzo. Un romanzo da epica ariostesca che affonda nella storia e nei costumi dell’epoca, nelle monete, nei cibi, nelle usanze, nella parte segreta di Leonardo: la vita di sua madre. Ed è un romanzo vivo, con un lessico vivido, che porta nelle sue pagine un piccolo miracolo cronologico. Perché da qualche ora –ormai lo sappiamo- non siamo più nel 2023.

 

                                                        Simone Innocenti