Alice e Pinocchio, fratelli di Darwin
Sarà per caso che questi due capolavori della letteratura per l’infanzia siano usciti all’epoca della rivoluzionaria “Origine della specie”? Essi non riflettono il mondo adulto, ma quello ancestrale
“La Lettura”, supplemento culturale del Corriere della Sera del 12 dicembre 2021, pubblica alle pp, 34-35 questo articolo di Cristina Taglietti, che commenta un originale saggio di Giorgia Grilli.
La letteratura per l’infanzia, se è vera letteratura, non ha nulla da insegnare ai bambini. Le ragioni sono molte, spiega Giorgia Grilli, docente di letteratura per l’infanzia all’Università di Bologna, nel nuovo “Di cosa parlano i libri per bambini”, saggio brillante e documentato che ribalta teorie e prospettive seguendo percorsi raramente battuti. “E’ opinione diffusa che i libri per bambini debbano avere qualche lezione da dare o comunque un tema proprio dell’agenda sociale cara agli adulti da affrontare, un messaggio deliberato consapevole da far passare”, spiega l’autrice. Invece “la letteratura contiene echi molto più profondi e ha una funzione, una vocazione, che, da sempre, vanno ben oltre le urgenze del presente. Non avremmo bisogno della letteratura se dovessimo parlare di ciò che accade. Basterebbe la cronaca”, continua la studiosa. La narrativa non persegue a tutti i costi una ricercatezza formale, piuttosto “la possibilità di rievocare attraverso immagini, metafore e finzioni, la nostra natura più vera e profonda. Una natura che appare tanto più umana quanto più è contaminata con l’universo, quanto meno è ego-centrata, antropo-centrata e perfino, talvolta, socialmente integrata”.
Il saggio della Grilli ha un innesco originale: il legame tra le teorie darwiniane sull’evoluzione della specie e i libri per bambini. In sintesi, l’idea è che, rievocando le nostre origini (e con esse un diverso modo di percepire, vedere e stare al mondo, contaminati col resto del vivente), “i grandi libri per bambini mettano radicalmente in discussione il pensiero e il modo di essere razionale, adulto e moderno”. Non a caso il sottotitolo del saggio è “La letteratura per l’infanzia come critica radicale”. Grilli fa riferimento al saggio “The Seven Basic Plots: Why We Tell Stories” di Christopher Booker, studioso divergente che attinge a elementi di psicologia archetipale, antropologia, archeologia, filosofia, per sottolineare come l’impulso a raccontare storie sia insito nell’essere umano dall’inizio dei tempi, o più precisamente da quando, differenziandosi da altre specie a lui vicine e dagli animali in generale, ha iniziato a percepirsi come uomo. Questo impulso sarebbe stato programmato nel nostro cervello dal processo evolutivo, come uno dei modi, forse il più potente, codificati in noi per esprimere, e così non perdere, il contatto con le nostre origini. “Sappiamo che a un certo punto nell’uomo nasce il pensiero razionale –spiega Grilli- che gli ha dato tantissimi vantaggi nei termini dell’avanzamento, perché sentirsi diverso dal mondo fa sì che tu poi il mondo cominci a usarli, a sfruttarlo. Ma dal punto di vista più interiore lo ha alienato, lo ha fatto sentire perso, senza radici. Così, secondo Booker, nasce l’istinto di raccontare storie perché almeno lì rimane questa nostalgia, questa memoria coltivata e tramandata delle nostre origini, che ci ricorda che un tempo eravamo completamente immersi nel mondo naturale”.
Se la letteratura dunque ha questa funzione, tutto il narrare dovrebbe puntare lo sguardo oltre lo specchio del nostro mondo. “Questo si lega a Darwin. Non a caso la letteratura per l’infanzia che unanimemente, nel mondo, consideriamo classica, fiorisce proprio in concomitanza e in seguito alla pubblicazione dell’”Origine delle specie”. Io sono partita dalle date: il testo di Darwin esce nel 1859 e fino a quel momento esistevano già tantissimi libri per bambini, di cui però non sappiamo nulla, non sono diventati classici. Invece da quel momento comincia a esplodere l’insieme di tutti i capolavori, uno dopo l’altro. Il saggio di Darwin ha venduto moltissimo, perché era sconvolgente pensare che un tempo lontanissimo fossimo tutt’uno con la natura. I capolavori per l’infanzia ci dicono la stessa cosa. E non nel senso ideale e astratto che era stato tipico del romanticismo di inizio Ottocento, in cui l’unione infanzia-natura era stata intesa e rappresentata in modo lirico-nostalgico, ma a partire da una prospettiva nuova che non potrà evitare, per “colpa” di Darwin, di mescolare il poetico con il biologico, con ciò che è propriamente fisico, corporeo, carnale, peloso, viscido, alato, anfibio, ibrido. E come tale anche potenzialmente aberrante, più che idilliaco”.
Per questo i grandi personaggi della letteratura per l’infanzia hanno un legame diretto con la natura, da Peter Pan a Mowgli che è stato cresciuto da lupi, orsi, pantere, fino a Heidi. “In fondo sono immagini poetiche delle teorie darwiniane”, dice Grilli che propone una lettura originale di “Pinocchio” dove distingue una trama di superficie, che mette in scena la parabola tipica del monello che poi si redime, e un’altra più profonda: questa ha a che fare con quel potente e misterioso pezzo di legno antropomorfo che rappresenta l’infanzia come qualcosa di altro, proprio a partire dalla sua struttura fisica. “L’infanzia in “Pinocchio” è fatta di fibra vegetale. E’ l’icona al suo centro, quel potente e misterioso pezzo di legno antropomorfo (un essere umano e non umano, che ci ricorda da dove veniamo) a renderlo un libro universale e immortale”.
Se i libri più esplicitamente pedagogici, prima ma anche dopo “Alice” e “Pinocchio” (basti pensare a “Cuore”, di De Amicis, che esce successivamente al libro di Collodi), facevano coincidere il diventare adulti con l’apprendimento delle regole civili, con l’essere bravi cittadini, cioè persone perfettamente integrate a livello sociale, i libri che sono stati riconosciuti universalmente come capolavori sembrano alludere a un’altra concezione, dice Grilli: “All’interno dei grandi classici si diventa esseri umani compiuti solo se si trascorre un periodo fuori dal perimetro della propria cultura ufficiale, se ci si allontana da casa, dalla famiglia, dal cuore della vita normalmente regolata e ci si inoltra in una zona di margine, di frontiera, dove la logica di tutti i giorni è sospesa e ne vige un’altra, che può essere esperita ma non spiegata, né propriamente riferita”. Una concezione dell’infanzia, insomma, come quanto di più irriducibile all’adulto. “Prima di diventare individui civili i bambini sono creature ancestrali”, ricorda Grilli. “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” nasce con la precisa volontà di opporsi espressamente ai libri con una qualche “intenzione” (Lewis Carroll in molti punti si prende gioco dell’educazione per come veniva intesa e impartita all’epoca in cui scrive) e in questo senso si pone come una novità totale. “E’ il primo libro in cui non per sbaglio, inavvertitamente, per esigenze narrative, bensì deliberatamente, si sceglie di parlare ai bambini, d’Altro, di un Altrove, nel quale vacilla ogni riflessione morale”.
Con “Cuore” Grilli ammette di avere “un rapporto ambiguo perché da un lato rappresenta per eccellenza il tipico libro che in generale reputo il contrario della letteratura con la L maiuscola, ma è anche vero che è scritto con grande sincerità da un uomo che credeva davvero, e si sente, in certi ideali e in certi valori, che sono valori di civiltà, di solidarietà, di educazione nel senso più alto del termine. In “Cuore” poi esistono pur sempre i “racconti mensili” che mettono in scena l’Avventura, la Notte, il Viaggio, l’imprevisto, l’andata fatale verso la Morte dei giovani protagonisti, cioè un tipo di letteratura che è il contrario delle vicende quotidiane, scolastiche, familistiche, un po’ retoriche, di Enrico Bottini e compagni. “Cuore” è più libri insieme, e ogni opera stratificata e complessa, o perfino ambigua ci deve interessare”.
Ancora oggi gli scaffali delle librerie sono pieni di testi per bambini fondati su convinzioni educative, che hanno la buona intenzione di affrontare temi civili, adeguati alla società, come la diversità o le famiglie arcobaleno, temi di cui è giusto discutere, dice Grilli, ma non nelle storie per bambini: “Sono i libri univoci, monolitici, con temi, tesi o messaggi espliciti. Io vi annovero tutti i titoli incentrati per esempio su argomenti cari all’agenda sociale degli adulti, argomenti anche indiscutibilmente importanti, che però vengono inseriti artificiosamente in storie scritte a tavolino. Questi libri, che cavalcano mode e riguardano questioni proprie della cronaca, dell’attualità e del dibattito in corso nel mondo degli adulti, non sono né letteratura né, tantomeno, letteratura per l’infanzia. Proporli ai bambini (e prima, produrli per loro) significa veramente non avere prestato attenzione all’infanzia, significa non sapere che gli interessi, le urgenze, i bisogni, i sogni di questa età sono del tutto diversi dai nostri. E significa non capire che dare ai bambini libri per noi importanti ma pedanti, pesanti, impregnati dei nostri valori, è il modo migliore per fare di loro dei non lettori”.
Cristina Taglietti Giorgia Grilli