Antigone deve morire
Il filosofo Slavoj Zizek riscrive la storia della più amata ribelle del mondo antico. Irresponsabile, egoista, fanatica, causa di guerre e di distruzione. In una Tebe che somiglia all’Europa di oggi.
“Tu, Antigone, sei un nemico più pericoloso di tuo zio Creonte, per questo ti uccideremo”, recita il Coro nell’Antigone di Slavoj Zizek, primo testo teatrale del filosofo sloveno, che ha riscritto la tragedia di Sofocle per parlarci di noi, dell’Europa disintegrata, e naturalmente dell’eroina che conosciamo tutti: la donna in lotta contro il potere. Antigone la ribelle, Antigone la santa, Antigone vittima innocente, Antigone icona femminista, Antigone paladina dei più deboli, Antigone il mito sopravvissuto nei secoli e pronto ogni volta a rivivere nei panni di un nuovo eroe acclamato dalla nostra società. Ma non per Zizek, che immagina la figlia di Edipo colpevole di aver provocato il caos a Tebe, in nome di una giustizia elitaria…
Ogni epoca torna ai classici greci per raccontare il presente. E il teatro, da Bertolt Brecht in poi, portando in scena “Antigone” di Sofocle, si è sempre posto il problema della responsabilità dell’individuo di fronte alla legge dello Stato: chi è dalla parte della ragione? Il cuore della tragedia, rappresentata per la prima volta nel 442 a.C. ad Atene, è proprio questo: lo scontro fra il re Creonte e Antigone, il conflitto fra Stato e individuo, legge e diritto, polis e famiglia, uomo e donna, vecchio e giovane. Tutti temi attualissimi, che spiegano il perché di tanto successo. Ma la storia che viene raccontata è (quasi) sempre la stessa, con la giovane dalla parte della ragione. I fatti raccontati da Sofocle sono noti: contro il volere di Creonte, nuovo re di Tebe, Antigone vuole dare sepoltura al corpo del fratello Polinice, morto durante il combattimento con Eteocle. Scoperta dal re, la figlia di Edipo viene rinchiusa viva in una grotta. Quando il sovrano decide di liberarla, dopo le terribili profezie di Tiresia, per lei è troppo tardi. Il suo promesso sposo, Emone, si suicida, e dopo di lui anche sua madre Euridice, moglie di Creonte, che resterà solo nella sua disperazione.
E’ la storia di un’eroina amatissima, insomma, diventata il simbolo di chi rivendica i diritti dei più deboli. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Siamo certi che Antigone abbia ragione? Davvero non ha colpe? E se invece fossimo noi ad avere bisogno di un’eroina in cui credere? E magari nella nostra cecità, abbagliati dal personaggio di turno, non riuscissimo a vedere le conseguenze di chi vuole per forza stabilire le sue leggi? Il caos, i morti, le guerre di ieri e di oggi, l’Europa alla deriva tra Brexit, crisi dell’euro, rifugiati, fake news: ecco quello che non vediamo secondo Zizek, ciò che ci sfugge, ammaliati dai nostri eroi.
Parla Angela Richter, la regista tedesca che porta in scena il testo di Zizek. “Quando l’autore affronta l’Antigone in realtà parla anche dell’Europa. Credo che lui, come me, stia cercando disperatamente di capire dove stiamo andando oggi, soprattutto alla luce di tutti questi populismi di destra che danno risposte facili a problemi non facilmente risolvibili. L’Europa dovrebbe essere unita, viviamo tutti sulla stessa terra, la miseria dell’altro è anche un nostro problema. Io credo nella democrazia, ma penso che sia in pericolo”.
L’Europa alla deriva e i morti caduti nell’indifferenza, disastri che la giovane tebana non vede e di cui viene accusata. “Antigone è molto radical, oggi potremmo paragonarla ad un fanatico religioso, che segue le regole della sua religione indipendentemente dalle conseguenze”, prosegue la regista. “Antigone, in quanto figlia del re Edipo, è ancora un membro dell’élite. Tebe ha vissuto una terribile guerra, iniziata dalla classe dirigente, nella quale muoiono migliaia di persone innocenti, ma nessuno ne parla. E’ più o meno la stessa cosa che accade ogni giorno nel mondo, per esempio nello Yemen, dove bambini innocenti vengono uccisi dai droni, ma nessuno ne scrive, mentre siamo ossessionati dalle vite dell’élite, artisti, attori o politici. E’ una percezione molto distorta della realtà”.
Ma a questa ossessione il popolo si ribella, prende il potere e uccide sia Creonte che Antigone. E per Zizek questo è un lieto fine, perché tale è un finale in cui muoiono i malvagi, ed è il finale che lui sposa pur lasciando aperta la possibilità di scegliere fra altri due, quello classico in cui Antigone è condannata a morte dal re, e quello in cui viene perdonata. Il potere al popolo, dunque, altro che Antigone. Nessuno finora aveva osato tanto: uccidere un’eroina, accusarla di essere elitaria e malvagia, decretarne la sua fine dopo 2500 anni di vita gloriosa. Ma, alla fine, hanno ragione entrambi: l’uno difende gli interessi della città, l’altra quelli della famiglia, ma sbagliano il modo in cui si pongono. Antigone è colpevole di arroganza quanto Creonte. Lei appartiene alla famiglia reale ed è in difesa di quell’oligarchia che agisce. Per questo nell’interpretazione che ne dà il regista Massimiliano Civica, per il Teatro Metastasio di Prato, il re compare in abiti da partigiano, perché difensore della comunità e quindi del pensiero democratico, mentre il corpo-fantoccio di Polinice giace a terra in divisa nazifascista. Ma Creonte non sa ascoltare e quando capirà di aver sbagliato sarà troppo tardi. Non c’è scampo per nessuno dei due. A ucciderli sarà il popolo. E’ la fine di un mito? A voi la scelta, dice Tiresia: farete da soli, a vostro rischio e pericolo.
Francesca De Sanctis
(Articolo pubblicato nella rivista “L’Espresso” del 16 febbraio 2020, alle pp. 60-66)