Antigone, la donna che sceglie il desiderio
Antigone è una delle figure più intense e commentate della tragedia greca. Attraverso questa giovane donna Sofocle, dopo aver descritto in Edipo la figura drammatica del figlio assoggettato a un destino tanto spietato quanto inesorabile, ritrae la figura della sorella, l’icona, il simbolo della fratellanza. La differenza profonda tra Edipo e Antigone è che il primo è dominato dall’inconscio –Edipo non sa né quello che fa, né chi è- mentre la seconda sa agire con piena determinazione: per Hegel è “senza inconscio”. Mentre Edipo è giocato beffardamente dai suoi atti e più prova a svincolarsi dal suo destino di figlio parricida e incestuoso e più i lacci del destino stringono la loro presa, Antigone è la figura più pura della decisione. Se in Edipo, infatti, ogni decisione si rivela impotente a modificare il destino già scritto nella profezia dell’Oracolo, in Antigone è la decisione stessa che diventa un destino.
Il nucleo della tragedia di Sofocle è costituito, come ha indicato Hegel, dall’opposizione irriducibile di due Leggi: quella diurna e universale della Città –della Polis- e quella notturna e singolare del legame familiare. Il fratello, Polinice, ha tradito schierandosi coi nemici rimanendo ucciso in combattimento alle porte della città. La Legge dello Stato stabilisce che gli sia negata la sepoltura. Il rappresentante di questa Legge, Creonte, non ammette eccezioni: egli è il simbolo di una Legge inumana che esige la sua applicazione cieca, di una Legge che non sa includere la grazia, il diritto dell’eccezione. E’ contro questa Legge che si muove Antigone, nel nome di un’altra Legge, quella della fratellanza, della famiglia, dell’amore che esige la pietas, il diritto di dare sepoltura al corpo straziato del fratello morto. Nella sua celebre lettura della tragedia, sviluppata nella Fenomenologia dello spirito, Hegel insiste nel mostrare l’assenza di flessibilità dialettica in questo scontro dilemmatico tra due Leggi che vogliono essere entrambe assolute. La lettura di Lacan –sviluppata nel Seminario VII, L’etica della psicoanalisi- sposta invece l’attenzione sulla hybris più specifica di Antigone: la sua inflessibilità. In quanto figura estrema del desiderio, ella non cede, non sbanda, non vacilla, non dubita. E’ una giovane donna, dalle parvenze fragili, che però si presenta capace di assumere sino in fondo tutte le conseguenze della propria decisione. Antigone non retrocede rispetto al proprio desiderio, non difende l’interesse particolare della propria vita, non si risparmia, non calcola, non pianifica, non tergiversa. Il suo moto è animato a senso unico da un amore per il fratello che non conosce limiti, nemmeno quello della morte. In questo senso, come afferma Lacan, è una figura dello “sconfinamento”: seguire con decisione la Legge del proprio desiderio può significare entrare in contrasto con la Legge della città.
Non è quello che accade nell’epilogo tragico di “Million dollar baby” di Clint Eastwood, dove il vecchio allenatore di pugilato Frankie decide, contro la Legge della Città, di accompagnare verso la morte Maggie condannata, da un colpo vigliacco ricevuto nel suo ultimo combattimento per il titolo mondiale di boxe femminile, a vivere completamente paralizzata in un letto d’ospedale? Donare la morte a chi più si ama al mondo non evoca forse il carattere estremo del gesto di Antigone? Se Lacan insiste nel sottolineare il carattere antidialettico, solitario, tragico, del gesto di Antigone non è forse per mostrarci che quando è in gioco il nostro desiderio siamo sempre messi a confronto con le conseguenze dei nostri atti? Non accade, come per Antigone, di essere esposti al rischio dello sconfinamento, al rischio di perderci, di finire nella fossa? E’ questo, infatti, il destino che Sofocle assegna alla sua eroina: non cedere sul suo desiderio, non indietreggiare sulla propria verità, comporta per Antigone la condanna ad essere sepolta viva.
Ma Antigone non scende a patti, non media, non vuole mettere in discussione la sua decisione, resta inflessibile e dura come una pietra. Preferisce discendere all’inferno piuttosto di vivere vedendo offesa la memoria del fratello amato. Il suo desiderio è così radicale da sconfinare verso la morte. E’ ciò che motiva la particolare fascinazione che emana la sua figura. Ella ci insegna che gli esseri umani sono esseri di desiderio e non esseri che si limitano a sopravvivere. Antigone oltrepassa ogni concezione utilitaristica dell’esistenza: sacrificando la sua vita per onorare simbolicamente Polinice ella si spinge sino a spezzare il tabù della morte.
E’ questo il suo passo più vertiginoso: la vita in sé –privata della sua dignità umana- non è vita che vale la pena di vivere. In questo senso l’inflessibilità di Antigone si ricollega ad un altro gesto che la mitologia greca ha scolpito in modo indimenticabile: quello del filosofo Empedocle che decide di gettarsi nel cratere ardente dell’Etna. Anche in quel gesto si evidenzia che la vita umana non può essere ridotta alla vita animale. Il “No!” alla vita del filosofo rivendica l’umanità della vita al di là della sua semplice presenza. E’ la lezione tragica che possiamo ricavare dal sorriso smarrito con il quale Antigone si congeda per sempre dal mondo.
Massimo Recalcati
Articolo pubblicato in “Repubblica”, domenica 31 gennaio 2016, p. 52
“Figlia di Edipo e di Giocasta, sorella di Ismene, di Eteocle e di Polinice. Accompagnò il padre quando lo sventurato, venuto a conoscenza del crimine e dell’incesto da lui inconsapevolmente commessi, andò in esilio dopo essersi accecato. Si rifugiarono a Colono, villaggio dell’Attica, dove Edipo morì, finalmente in pace. Antigone tornò allora a Tebe.
Dopo la morte di Eteocle e Polinice nel loro duello per il potere, suo zio Creonte, salito al trono, accordò al primo dei due fratelli solenni esequie, ma vietò sotto pena di morte qualunque sepoltura a Polinice, reo di avere combattuto contro la sua patria: il cadavere sarebbe rimasto esposto alle fiere e agli uccelli da preda. La sepoltura era un dovere sacro, poiché l’anima dell’insepolto era condannata a vagare senza requie e a non poter entrare nel regno dei morti. Mentre Ismene si rassegnò al decreto, Antigone lo sfidò, per amore del fratello e in nome delle “leggi non scritte e immutabili degli dei” (Sofocle). Condannata ad essere murata viva, ella s’impiccò. Il fidanzato Emone, figlio di Creonte, si suicidò sul suo cadavere e la moglie di Creonte, a sua volta, si uccise per la disperazione”
(“Dizionario di mitologia greca e romana”, Cappelli editore, Bologna, 2000)