(Non è) tutta colpa della Thatcher
La nostalgia. Lo smarrimento. La rabbia. Le divisioni. Nell’ultimo libro del grande scrittore i cambiamenti del Regno Unito d’oggi.
Nell’”Espresso” dell’11 novembre 2018, a pp. 80-84, è pubblicato il colloquio di Gigi Riva con lo scrittore Jonathan Coe, che dopo “La banda dei brocchi” e “Circolo chiuso” ha dato alle stampe l’ultimo capitolo della sua saga, “Middle England”, Feltrinelli, 400 pagine, 19 euro.
Benjamin Trotter è tornato, E con lui la sorella Lois. La nipote Sophie è cresciuta e reclama il suo spazio. Attorno, il conosciuto gruppo di amici. Affezionato ai suoi personaggi dei suoi romanzi precedenti, Jonathan Coe, 57 anni, tra i massimi scrittori contemporanei, li rimette in scena in “Middle England”. Del resto non ha mai fatto mistero dell’architettura ideale della sua poetica se ha spesso dichiarato: “I miei libri non sono separati tra di loro, ma capitoli di un unico lavoro che si evolve nel tempo”. La trama insiste sempre sulle vicende personali naturalmente, amori, tradimenti, relazioni riuscite o complicate, punteggiata dall’onnipresente musica che sarebbe stato l’altro suo mestiere se non gli fosse stata facile e feconda la prosa. Ma il panorama narrativo sono le vicende cruciali, politiche e sociali del suo Paese puntigliosamente ricostruite, tanto che se si lega l’intera produzione se ne ricava un compendio di storia contemporanea della Gran Bretagna dagli anni Settanta del ‘900 ai giorni nostri. Se non un intellettuale organico, almeno un intellettuale organicamente inserito nel suo tempo. L’arco temporale di “Middle England” va dal 2010 ai giorni nostri. Dunque primo governo di coalizione, crisi economica, rivolte nelle periferie, Giochi Olimpici, Brexit.
Jonathan Coe, lei sembra individuare l’origine di tutti i mali in Margaret Thatcher se nel suo ultimo lavoro fa dire a un personaggio: “Tutto è cambiato in Gran Bretagna nel maggio del 1979. Ci siamo ancora dentro a 40 anni di distanza. Noi eravamo figli degli anni Settanta. Eravamo bambini allora ma siamo cresciuti in quel mondo. Stato sociale, sanità pubblica, tutto quello che era stato istituito dopo la guerra e che, a partire dal 1979, ha cominciato a sfasciarsi. E continua a sfasciarsi tuttora. E’ questa la vera storia. Non so se la Brexit sia un sintomo, o sia un modo per distrarci. Ma il processo è quasi compiuto. Sarà tutto finito tra poco”.
In realtà non sono io a dirlo ma Charlie, uno dei personaggi del romanzo, un’importante distinzione che viene spesso dimenticata. Nessuno dei personaggi dei miei libri parla per me. Anche se alcuni di loro (Benjamin, ad esempio) hanno con me una forte somiglianza sotto diversi aspetti. Quando Charlie fa questa affermazione, sta esprimendo il pensiero di molti britannici che ricordano il consenso postbellico durato 34 anni, dal 1945 al 1979. Era basato su un forte Stato sociale, diritti dei lavoratori e tassazione redistributiva. C’erano molti problemi anche allora, ma penso che abbia creato una società più giusta e meno invidiosa dell’attuale. Non so se potremo mai tornare a quell’epoca.
Di certo i partiti di sinistra non sono stati in grado di fermare l’impetuosa avanzata della destra. Come mai?
Si può ricavare la risposta in “Circolo chiuso”, il secondo libro della trilogia della “Banda dei brocchi”. Quando Tony Blair prese il controllo del partito laburista nel 1994, adottò molte delle politiche della signora Thatcher. Credeva di poter raggiungere una fusione di approcci di destra e di sinistra seguendo la “Terza Via”. Era una politica piena di buone intenzioni (e alla luce dei recenti sviluppi molti iniziano a guardare ai primi anni di Blair come a una sorta di Età dell’Oro), ma finì per offrire solo più thatcherismo in una forma diluita, più socialmente accettabile.
Il razzismo è un tema ricorrente, anche in “Middle England”. E’ questa la vera emergenza inglese?
Razzismo è una parola breve e semplice che le persone usano per descrivere un argomento estremamente complicato e vario. Uno dei motivi per cui mi piace scrivere romanzi (piuttosto che scrivere articoli di giornale o rilasciare interviste) è che si può trattare un tema come questo in modo più sfaccettato. In “Middle England” c’è una grande varietà di personaggi, ciascuno dei quali ha una propria postura circa le differenze razziali. Il personaggio principale, per esempio, secondo me non è razzista ma si infiamma per un senso di ingiustizia quando un collega asiatico gode di un trattamento privilegiato. In generale, credo che il senso di giustizia della gente, il desiderio di una società più giusta, sia la questione principale che riguarda la Gran Bretagna e molti altri Paesi.
Lei descrive una società in cui i ricchi bianchi faticano ad adattarsi ai cambiamenti sociali. E’ per la paura di perdere antichi privilegi?
In parte sì. Ma il libro descrive una società con molte linee di divisione: istruzione, etnia, ricchezza, città contro campagna, vecchia contro giovane generazione. La vera domanda che il romanzo pone è: come è possibile per una nazione essere coerente, unita, quando le differenze identitarie sono diventate così evidenti? Naturalmente non riguarda solo la Gran Bretagna…
Alcuni personaggi decidono di andare in esilio in Francia. Perché non si battono per cambiare le cose nel loro Paese?
Benjamin e Lois si trasferiscono in Francia, la versione ideale di come dovrebbe essere uno Stato europeo, almeno per il modo in cui viene descritta in tutto il libro. Anche se questa è una mera fantasia da parte loro, una visione idealizzata. Se ne vanno per motivi personali: Lois per fuggire dal trauma che sente fin dagli anni ’70, Benjamin per seguirla, sostenerla e starle vicino. In generale i comportamenti delle persone derivano da questioni personali, non da ragioni politiche generali. E’ importante rimarcarlo e anche questo aspetto è più facile raccontarlo con un romanzo piuttosto che con un saggio.
La Brexit è una scelta irreversibile o può essere ridiscussa?
C’è un forte movimento per rovesciare la Brexit. Due settimane fa settecentomila persone hanno marciato verso il Parlamento per chiedere che il processo sia bloccato. Ma il governo non ascolta e legalmente non c’è tempo per farlo. Quando Theresa May ha innescato l’articolo 50 ha messo in moto un meccanismo che solo lei può invertire. Dunque la Brexit ci sarà. Ma non appena la Gran Bretagna avrà lasciato l’Unione europea certamente inizierà una forte campagna per un nuovo ricongiungimento.
La massiccia immigrazione è una delle cause del crescente populismo?
La causa va ricercata più in generale nel fatto che sono in molti a credere che la classe politica non li ascolti, che sia lontana e distaccata dalle loro preoccupazioni. E l’immigrazione è una delle più importanti tra queste preoccupazioni. Ma il vero problema è che si è rotto il dialogo tra politici ed elettori.
Nella rottura del dialogo ha avuto un ruolo la crisi economica e finanziaria del 2008, in seguito alla quale una fetta consistente di popolazione si è impoverita.
Di nuovo dobbiamo chiamare in causa il senso di ingiustizia. Non solo sono fallite le banche nel 2008, ma è sembrato che i banchieri non siano stati puniti per questo. La gente comune ha dovuto sopportare anni di austerità quando i banchieri hanno continuato ad incassare i loro bonus miliardari. Non sono state tanto le difficoltà economiche a produrre rabbia quanto il senso che è successo qualcosa di ingiusto.
Gli attacchi terroristici sul suolo inglese non hanno fatto altro poi che alimentare paura, sconcerto, delusione…
Hanno avuto un effetto soprattutto sui simpatizzanti dell’estrema destra. La gente comprende che la maggior parte dei musulmani è pacifica e vuole soltanto vivere in pace. Dunque non credo che gli attacchi terroristici degli estremisti islamici portino a un generale sentimento anti-musulmano. Il popolo inglese è più sofisticato di queste grossolane semplificazioni.
Nonostante la Brexit lei si sente ancora un cittadino europeo?
Sì certo. Tutti abbiamo identità multiple. Ti puoi sentire fortemente inglese e fortemente europeo allo stesso tempo. Questi sentimenti non sono in contraddizione, è una delle ragioni per cui molti di noi sentivano che il referendum era una cattiva idea perché sembrava che ci imponessero una scelta binaria tra le due identità. Una scelta che non poteva e non doveva essere fatta. Mi sento anche fortemente europeo come scrittore. Il filone delle letteratura inglese in cui mi riconosco inizia con Henry Fielding (scrittore del ‘700, uno dei padri del romanzo realista, ndr), il quale si considerava una versione inglese di Cervantes. Per questo c’è sempre stata una vena di ironia tipicamente europea nella mia scrittura.
Lei si può anche definire uno “scrittore sociale”, visto che indaga temi connessi all’attualità?
Il mio interesse primario è sempre per la vita delle persone. Ma la vita delle persone non può essere scissa dal contesto politico. Le storie alla base dei miei libri sono storie di persone che cercano di orientare la loro vita in una certa direzione e si trovano spesso davanti a forze sulle quali non hanno nessun controllo. Sia che si tratti di una situazione politica che li riguarda in modo sfavorevole sia che si tratti semplicemente della casualità dell’esistenza umana. Penso di essere uno scrittore sociale in quanto cerco di creare panorami con più personaggi e punti di vista. E’ ciò che mi viene naturale. Invidio i miniaturisti, i quali guardano gli affari umani più da vicino, come sotto un microscopio. Mi sembra una cosa molto difficile da fare.
Visti alcuni catastrofici eventi recenti, è ottimista o pessimista circa il futuro del mondo?
L’umanità ha una grande capacità di sopravvivenza e una grande capacità di distruzione. Finora queste due tendenze sono sempre esistite in un equilibrio complicato. Suppongo che il meglio che possiamo sperare è che le cose rimangano così.
Gigi Riva Jonathan Coe