Christine de Pizan, una veneziana a Parigi nel 1418

Una veneziana a Parigi nel 1418

Nicoletta Bortolotti sulle tracce di Christine de Pizan, proto femminista, prima narratrice di professione

 

Italiana d’origine (era nata veneziana) e francese d’adozione, vissuta a Parigi a cavallo fra Tre e Quattrocento, Christine de Pizan è la prima scrittrice di professione della letteratura occidentale e oggi figura di crescente rilievo in un contro- canone al femminile che si fa timidamente largo anche nei testi scolastici. A restituirne la figura di donna, madre, poetessa, prima storica laica e responsabile di uno scriptorium in cui si producono codici miniati interviene il romanzo di Nicoletta Bortolotti, che si affida a tre voci e al controcanto dei versi di “Memoria”, dedicati da Natalia Ginzburg al marito Leone, trucidato nelle carceri nazifasciste: alla finzione narrativa di antico sapore dello scambio epistolare con la figlia Marie, monaca per vocazione a Poissy, si alterna il racconto in terza persona, che raccorda gli eventi.

E’ il 1418, Christine, poco più che cinquantenne, vive con una nipote e l’amata cagnolina a Parigi, nei tempi più bui della guerra dei Cent’anni, e alle fitte lettere alla figlia, piuttosto parca nelle risposte, affida memorie di vita e squarci del presente in una città dilaniata dal conflitto. Tra le righe si compie così l’educazione sentimentale e letteraria della figlia di un coltissimo medico e astrologo bolognese chiamato alla corte di re Carlo V: fra i lustri e le torbide trame di corte, Christine impara a leggere e a scrivere con il sostegno del padre, studia il latino, legge i versi della Compiuta Donzella e di Petrarca, il Decameron e il Milione di Marco Polo, sulle cui orme sogna di viaggiare nel lontano Oriente, e intanto la Fortuna, dama volubile che governa le sorti degli uomini, le riserva con gli anni gioie e grandi dolori.

Il personaggio della scrittrice è restituito grazie a un puntuale lavoro su fonti e documenti e frequenti citazioni dalle sue opere (oltre settanta i volumi composti fra il 1399 e il 1405), su tutte la “Città delle dame”; quello di donna innamorata e giovanissima vedova, madre di tre figli cresciuti grazie all’attività di autrice apprezzata a corte, è reso attraverso la fiction epistolare in un crescendo narrativo che non conosce cedimenti e parla dello spessore umano di una figura convinta dell’opportunità di riscatto offerta dallo studio e dalla scrittura, una femminista ante litteram impegnata a rivendicare pari dignità per il sesso femminile e a riflettere su temi mai superati, quali la violenza sulle donne e il precariato nel lavoro, pronta a confidare nell’eternità della letteratura più che in quella della religione, eppure umanissima vittima delle proprie contraddizioni.

Madre generosa ma ingombrante, e di ciò spesso rimproverata dalla figlia, consapevole dell’originalità del proprio lavoro ma tesa a un costante esercizio di umiltà, pur non sempre sincero, promotrice di rivendicazioni e diritti, tuttavia incapace di figurarsi davvero un mondo nuovo, senza gerarchie sociali.

Sullo sfondo scorrono intanto i decenni bui del secolare conflitto tra Francia e Inghilterra e un’accurata ricostruzione dei costumi pubblici e privati dell’epoca, in un affresco storico puntuale e rigoroso.

 

                                                                  Marzia  Fontana

 

Questo articolo è stato pubblicato ne “La Lettura” del 2 ottobre 2022, supplemento culturale del Corriere della Sera, a pag. 32.