Da qui all’eternità
L’evoluzione della tecnica cambierà l’umanità? Medicina, genetica, bio-ingegneria ci renderanno immortali e con una sensibilità completamente diversa? Un libro, “Homo Deus”, prova a leggere il futuro: ecco le tesi del suo autore, lo storico israeliano Yuval Harari, e altri scenari possibili.
Questo articolo-intervista è stato scritto da Antonello Guerrera e pubblicato nel “Robinson di Repubblica” del 21 maggio 2017, a p. 15. Lo storico e saggista israeliano Yuval Noah Harari ha pubblicato anche, nel 2014 e sempre da Bompiani, “Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità”.
Gennaro Cucciniello
Addio Homo sapiens, ecce “Homo Deus”, l’uomo Dio. “E’ la nuova razza umana”, ed è anche il titolo dell’ultimo saggio dello storico israeliano Yuval Noah Harari, finalmente in Italia per Bompiani. Dopo il bestseller “Da animali a dei”, il visionario quarantunenne Harari è tornato con un’altra magnum opus: una “breve storia del futuro” la chiama lui, opera colossale sul destino (molto) prossimo dell’umanità. Ci aspetta un “nuovo mondo”, terra promessa di pace e speranza, oppure un “Mondo Nuovo”, e cioè una vita perfettamente agghiacciante à la Aldous Huxley, che manipolerà persino i sentimenti? Secondo Harari, tutt’e due. Tra non molto saremo quasi “amortali”: in pratica, potremo allungare di secoli la nostra esistenza “grazie al rapidissimo sviluppo di ingegneria genetica, medicina rigenerativa e nanotecnologia”. Per lo scienziato americano Raymond Kurzweil e il biochimico inglese Aubrey de Grey, presto “ogni dieci anni circa in una clinica riceveremo un trattamento ristrutturante che non soltanto curerà le malattie, ma rigenererà i tessuti rovinati dal tempo, oltre a mani, occhi e cervello”. “L’innalzamento degli uomini al rango divino”, spiega Harari, “può avvenire attraverso le biotecnologie, l’ingegneria biomedica e l’ingegnerizzazione di esseri non-organici”. Persino Google ha fondato una società, “Calico”, che si occupa di immortalità. Per Harari, presto saremo uomini-cyborg. Metà umani metà macchine, con pregi e difetti di entrambi. Non subiremo sanguinose rivolte dei robot come in Blade Runner o Westworld di Crichton (poi serie tv). Anzi, ci saranno meno guerre e carestie. Ma forse saremo infelici. E si romperà il “patto della modernità”, l’equilibrio tra umanesimo e scienza. Perché ormai quest’ultima è troppo potente.
Insomma, Harari, secondo lei la realtà che ci attende avrà molto dei romanzi distopici e di fantascienza che ci hanno emozionato, e inquietato.
Nel XXI secolo l’umanità dovrà affrontare minacce assolutamente inedite, come la crescita esasperata dell’intelligenza artificiale, e altre meno recenti come il pericolo di guerra nucleare e il cambiamento climatico. L’umanità può vincere queste sfide. Le guerre oggi sono in declino. Nel 2016, nonostante i conflitti in Siria, Iraq e Ucraina, la violenza umana ha ucciso meno persone dell’obesità. Non dobbiamo mai sottovalutare la stupidità dell’uomo, una delle forze più decisive della storia. Ma non dobbiamo nemmeno sottovalutare la saggezza umana.
Ma tra un secolo potremo ancora considerarci umani?
Siamo una delle ultime generazioni di “Homo sapiens”. Forse i nostri nipoti non avranno nipoti, perlomeno umani. Nel prossimo secolo, o forse due, potremmo evolvere in qualcosa di completamente differente, nulla a che vedere con lo scarto tra Neanderthal e scimpanzé. Diventeremo dèi, letteralmente.
Addirittura? Non le pare un’idea fantascientifica?
No. Acquisiremo abilità tradizionalmente divine, come la creazione della vita: uomini, animali, piante, cyborg, ossia esseri umani con parti organiche e inorganiche. E forse riusciremo a creare esseri completamente inorganici. I principali prodotti dell’economia del XXI secolo non saranno tessuti, automobili o armi, ma corpi, cervelli e menti. Questa non è soltanto la più grande rivoluzione della storia, ma anche la più grande rivoluzione biologica sin dalla comparsa della vita sulla Terra: dopo 4 miliardi di anni di vita organica definita dalla selezione naturale, questa sarà sostituita dal disegno intelligente della scienza.
E quando diventeremo davvero “Homo Deus”? Quanto sarebbe vicina l’immortalità?
Nel XXI secolo sarà vicinissima. Ma non è detto che riusciremo a conquistarla subito. L’approccio nei confronti della morte è cambiato: sinora è stata un fenomeno metafisico, decretata da Dio o da Madre Natura. Adesso, con la scienza, è “solo” un problema tecnico. Dubito che ce la faremo entro il 2050, ma entro due secoli è possibile.
Immortalità significa anche felicità?
Abbiamo una vita molto più comoda dei nostri antenati. Ma non siamo più felici di loro. La felicità dipende dalle aspettative e non dalle effettive condizioni in cui viviamo. Quindi, nonostante i miglioramenti enormi di quest’ultime, l’insoddisfazione è sempre la stessa. La reazione umana normale al piacere non è soddisfazione, ma ulteriore ricerca del piacere. Ecco perché il genere umano sa conquistare il mondo, accumulare immenso potere, ma poi non riesce mai a trasformarlo in felicità. Nel XXI secolo potremo diventare dèi. Ma saremo sempre dèi infelici.
A proposito di felicità, lei scrive che la nuova tecnologia “post-umanista”, insieme ai farmaci, influenzerà le nostre emozioni, i sentimenti e il nostro libero arbitrio. Perché?
Nel 2050 gli smartphone saranno parte di noi. La nostra attività cardiaca e cerebrale sarà monitorata 24 ore su 24 e questi computer nel nostro corpo sapranno analizzare anche i nostri desideri e le preferenze. Per esempio, riconosceranno se un passante ci attira sessualmente misurando battito cardiaco e pressione del sangue e si connetteranno al computer della persona che ci eccita per farci conoscere. Entro il 2100 umani e macchine potrebbero diventare una cosa sola.
Lei infatti scrive che la nostra individualità potrebbe essere presto distrutta. Perché?
Gli algoritmi dell’intelligenza artificiale (AI) che avremo in noi sapranno leggere i nostri desideri e fare scelte migliori di noi “da soli”. Amazon oggi ci suggerisce i libri online, mentre i lettori di e-book misurano quanto ci siamo soffermati su una pagina. Domani potranno consigliarci libri in base al calcolo delle nostre emozioni attraverso sensori biometrici. Gli algoritmi presto potranno prendere le decisioni per noi, come scegliere chi sposare, a seconda delle caratteristiche che si amalgamano meglio con le nostre mail, telefonate, libri letti e Dna.
Di questo passo saremo tutti governati dagli algoritmi?
E’ probabile. Non credo che l’AI diventerà presidente degli Usa o Ceo di Google. Ma le loro decisioni saranno influenzate dall’AI e dall’analisi dei cosiddetti Big Data (le informazioni telematiche pregresse su un argomento, ndr). Gli algoritmi già oggi filtrano le liste dei terroristi scelti per essere uccisi dai droni, per esempio. Ma è solo l’inizio.
E cosa pensa della democrazia diretta?
Dare enormi poteri ai cittadini comuni, alle loro intuizioni ed emozioni, è la ricetta della catastrofe. La maggior parte delle persone oggi non può capire il mondo: è eccessivamente rapido e complicato, con troppi dati da analizzare. Forse abbiamo raggiunto il limite della capacità di analisi e di comprensione di un cervello umano. Inoltre, governi e grandi aziende, visto che avranno accesso ai nostri piaceri ed emozioni, potranno facilmente manipolare anche le preferenze. Il concetto di “libero arbitrio” non esisterà più. E la democrazia dovrà in qualche modo riadeguarsi per sopravvivere.
Si parla molto dell’impatto, per alcuni distruttivo, che la tecnologia sempre più avanzata avrà sul lavoro.
Dal 2050 potrebbe formarsi una nuova gigantesca classe sociale, quella degli “inutili”. Miliardi di persone non solo disoccupate, ma nemmeno impiegabili. Oggi non abbiamo un modello economico per fronteggiare quella che sarà la più grande questione politica e sociale del XXI secolo. Gli algoritmi scacceranno sempre più gli umani dal mercato del lavoro, mentre la ricchezza e il potere politico saranno concentrati sempre più in una minuscola élite custode di questi algoritmi. Ci saranno disuguaglianze mai viste.
E chi si occuperà di questa sterminata massa di “inutili”?
Potrebbero essere completamente abbandonati dal sistema. Nel XX secolo le élite democratiche o autoritarie hanno investito pesantemente in welfare e istruzione perché le masse erano militarmente ed economicamente utili. Se queste smettono di esserlo lo Stato e le élite potrebbero lasciarli al loro destino.
Perché la rivoluzione di Internet e degli algoritmi potrebbe essere così dannosa rispetto a quella industriale?
Durante la rivoluzione industriale le macchine sono entrate in competizione con le capacità fisiche degli umani, ma non con quelle cognitive. La rivoluzione hi-tech invece li mette contro anche da questo punto di vista: guidare un’auto, fare una diagnosi medica, insegnare chimica… Presto saranno disponibili solo lavori di enorme difficoltà, responsabilità o creatività. E per un operaio che nel 2040 perderà il lavoro, sarà quasi impossibile trovarne un altro. Perché i lavori che può fare non esisteranno più. Gli uomini non avranno altre qualità per competere.
Antonello Guerrera