Dante, “Divina Commedia”, Similitudini.
Donna che balla, Donne che ballano, Donna onesta, Donna partoriente, Donneare, il dubbioso,
Nel settimo centenario della morte di Dante (1321-2021) ho voluto anch’io dare una piccola testimonianza del mio amore per il nostro grande poeta. Ho pensato, perciò, di annotare le similitudini che attraversano il racconto del viaggio, terribile e meraviglioso, compiuto da Dante pellegrino. Esse (sono tante, quasi 360) ci dimostrano, con incredibile abbondanza di particolari, la curiosità e l’attenzione con le quali Dante –profondo conoscitore della mente umana- osservava ogni minuto dettaglio della vita sociale e naturale del mondo che lo circondava; e anche quando esprimeva i suoi sentimenti lo faceva sempre sul piano oggettivo della rappresentazione e della descrizione. Anche quando doveva chiarire nozioni teologiche il nostro poeta, adattando alla sua poesia i procedimenti della filosofia scolastica, ricorreva a esempi familiari, facilmente riconoscibili dai lettori. Sembra che Dante non voglia passare mai sopra le menti dei suoi lettori, ma intenda catturarle per condurle dal loro orizzonte verso altre mete, più ardite e profonde. Perciò ripercorrere le similitudini dantesche è come farsi stupire dalla meraviglia, è coltivare la memoria e la curiosità intellettuale.
Ricorro alle riflessioni della teologa Teresa Bartolomei: “Il viaggio ultraterreno di Dante è una grande avventura meteorologica e sensoriale, popolata di tutti i fenomeni atmosferici e climatici che scandiscono il ritmo annuale delle stagioni, intessuta di tutte le vertigini percettive che segnalano la stanchezza, il dolore, la gioia, la paura, il piacere, la contemplazione (…) Ravenna, con il complesso celestiale dei suoi mosaici, è il motore primo della geografia mistica del Paradiso; e il doloroso pellegrinaggio dei 20 anni di esilio, un andirivieni estenuante tra l’Italia del centro e del nord, attraversamento di campagne invernali e di paludi malariche, ripidi versanti appenninici e foreste casentinesi, paesini sperduti e chiese solitarie, sono l’orizzonte topologico in cui si tessono i paesaggi della “Commedia”.
Mi permetto di aggiungere ancora tre notazioni: del testo dantesco apprezzate la sorprendente contemporaneità linguistica (in pratica più dell’80% dell’italiano moderno ha origine dalla “Commedia”, fatto unico in Europa): le sue parole ce le siamo tenute strette attraversando i secoli; il poeta ha saputo raccontare il divino in presa diretta attraverso una lingua ancora in gestazione, forgiata con una mescolanza riuscitissima di alto e basso, con una sapienza metrica altissima; e soprattutto riflettete sul fatto che Dante in pratica ha inventato l’Italia. Nel suo grande poema sacro c’è un’idea potente del nostro paese, “il bel Paese dove il sì suona”, l’erede dell’impero romano, la sede della cristianità, il luogo privilegiato d’Europa dove, con l’Umanesimo e il Rinascimento, è nata la modernità. Sintetizzando, potremmo dire che l’Italia è nata dalla cultura e dalla bellezza, dai libri e dalla lingua di Dante e dagli affreschi di Giotto.
Nel lavoro mi sono largamente servito del commento della “Divina Commedia”, a cura di Bianca Garavelli, con la supervisione di Maria Corti, Bompiani, 1996.
Donna che balla. Purgatorio, canto XXVIII, vv, 52-60.
“Come si volge, con le piante strette / a terra e intra sé, donna che balli,/ e piede innanzi piede a pena mette,// volsesi in su i vermigli e in su i gialli / fioretti verso me, non altrimenti / che vergine che li occhi onesti avvalli;// e fece i prieghi miei esser contenti,/ sì appressando sé, che ‘l dolce suono / veniva a me co’ suoi intendimenti”. Come una donna che danza, la quale si volta senza staccare da terra i piedi uniti, e avanza mettendone uno davanti all’altro, Matelda si voltò verso di me muovendosi come danzando sui fiori gialli e rossi, come una vergine che abbassi pudicamente lo sguardo; e mi accontentò, avvicinandosi a me tanto che la dolce melodia del suo canto mi raggiungeva insieme con le parole.
Nota: Dante fa il suo ingresso nel Paradiso terrestre; Virgilio e Stazio sono con lui, ma restano in disparte. Il giardino dell’Eden è un bosco meraviglioso, incredibilmente ricco di ogni bellezza naturale, “con un’aura dolce, sanza mutamento” (v. 7). Mentre lo esplora godendo di ogni dettaglio, Dante incontra dapprima un ruscello di acqua cristallina, che lo costringe a fermarsi, poi una donna bella e solitaria, che cantando coglie fiori. Questa è una scena di femminilità, di dolcezza, di luminosa musicalità: il pellegrino vede una donna vera e propria, non un Angelo, né uno spirito incorporeo. E’ Matelda. Nella donna si evidenzia una grazia fisica naturale dei movimenti: ella è così in armonia con il ritmo cosmico che Dio impone all’Eden che la sua andatura appare simile a una danza. La sua felicità è dunque in primo luogo corporea, legata alla musica e allo scenario in cui si muove, ma è anche pura, verginale e onesta, proprio come la condizione dei primi esseri umani, che non si vergognavano della loro nudità.
Donne che ballano. Paradiso, canto X, vv. 76-81.
“Poi, sì cantando, quelli ardenti soli / si fuor girati intorno a noi tre volte,/ come stelle vicine a’ fermi poli,// donne mi parver, non da ballo sciolte,/ ma che s’arrestin tacite, ascoltando / fin che le nove note hanno ricolte”. Dopo che, sempre cantando soavemente, quelle stelle sfavillanti ebbero compiuto tre giri intorno a noi, mantenendo la medesima distanza come stelle intorno a un polo fisso, mi sembrarono danzatrici che avevano per un istante interrotto il ballo, ma solo per ascoltare, in silenzio, fino a udire il nuovo ritmo da seguire.
Nota: Dante e Beatrice sono nel quarto cielo, quello del Sole. Sullo sfondo si distinguono dodici luminosissime anime beate: sono gli spiriti sapienti, filosofi e teologi tra i più famosi nel Medioevo. In questi versi vengono descritte con straordinaria sintesi sia la vivacità della luce sia la rapidità del movimento: che è circolare, poiché il cerchio è la figura geometrica che meglio rappresenta la perfezione. C’è una duplice similitudine, la prima cosmica, basata sul tema del movimento e della luce, la seconda quasi domestica, costruita intorno alla musica e alla gioia della danza. A me sembra una situazione psicologica, quella di Dante, in cui si sovrappongono le immagini, reali e surreali, la visione reale e quella del subconscio del sogno, come del resto sottolinea il verbo “mi parver” (v. 79), tipico in queste apparizioni.
Donna onesta. Paradiso, canto XXVII, vv. 28-36.
“Di quel color che per lo sole avverso / nube dipigne da sera e da mane,/ vid’io allora tutto ‘l ciel cosperso.// E come donna onesta che permane / di sé sicura, e per l’altrui fallanza,/ pur ascoltando, timida si fane,// così Beatrice trasmutò sembianza;/ e tale eclissi credo che ‘n ciel fue / quando patì la suprema possanza”. Vidi allora che tutte le anime luminose che popolavano il cielo avevano assunto il colore rosso delle nuvole colpite direttamente dai raggi del sole al tramonto o all’alba. E allo stesso modo di una donna onesta, che resta sicura della propria onestà e purezza, e arrossisce impressionata al solo ascoltare l’azione disonesta di un’altra, e si fa timida e vergognosa, anche Beatrice cambiò colore; e una simile eclissi credo che si sia verificata in cielo quando Cristo in terra visse la passione.
Nota: siamo nel cielo delle Stelle Fisse. Appena Adamo ha finito di parlare l’intera comunità dei Beati intona un “Gloria” di indicibile dolcezza. Subito dopo, la luce che emana da San Pietro si fa più intensa, e da bianca diventa rossa: il primo apostolo si prepara ad esprimere il suo violentissimo biasimo contro i suoi successori, i papi che si servono della Chiesa per i loro scopi materiali (“Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,/ il luogo mio, il luogo mio che vaca / ne la presenza del Figliuol di Dio”, vv. 21-24). Un’invettiva di potenza cosmica, di solennità biblica. Qui Dante intreccia più similitudini: la prima è una metafora atmosferica di straordinaria efficacia, ispirata da un passo di Ovidio: “il colore che di solito hanno le nuvole colpite dalla luce frontale del sole o dell’aurora purpurea, allora ebbe sul volto Diana, che era stata vista senza il vestito” (Metamorfosi, III, 183-185). La seconda (il rossore di una donna pura e onesta) introduce Beatrice come figura di Maria che ai piedi della croce fu trasfigurata dal dolore per la morte di Gesù. Il comportamento indegno dei pontefici offende Dio e i suoi Beati, ed è come se provocassero di nuovo il martirio del Figlio di Dio.
Donna partoriente. Purgatorio, canto XX, vv. 16-21.
“Noi andavam con passi lenti e scarsi,/ e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia / pietosamente piangere e lagnarsi;// e per ventura udi’ “Dolce Maria!” / dinanzi a noi chiamar così nel pianto / come fa donna che in parturir sia”. Noi dunque avanzavano a passi piccoli e lenti, e io ascoltando con attenzione le anime, che udivo piangere e lamentarsi in un modo che m’impietosiva; ed ebbi l’occasione di udire davanti a noi il richiamo “Dolce Maria!” pronunciato tra il pianto, con voce simile a quella di una donna che sta per partorire.
Nota: nella quinta cornice espiano le loro colpe gli avari e i prodighi. I due poeti hanno ripreso a salire e Dante-personaggio è attento non solo a dove mette i piedi, ma anche ai suoni che lo circondano, in un atteggiamento di intensa curiosità intellettuale. In questa cornice, per la posizione delle anime, non è facile capire da dove vengono le loro parole, né distinguerle. Sono declamati ad alta voce esempi di generosità, e il primo –tra questi esempi di virtù- è tratto dalla vita della Madonna. In questo caso la virtù contraria dell’avidità è la povertà, e viene citata la nascita di Gesù. In rapporto con la nascita del Figlio di Maria nella stalla di Betlemme è la similitudine del lamento della partoriente.
Donneare (corteggiare). Paradiso, canto XXVII, vv. 88-90.
“La mente innamorata, che donnea / con la mia donna sempre, di ridurre / ad essa li occhi più che mai ardea”. La mia mente innamorata, che corteggia sempre la mia donna, ardeva più che mai dal desiderio di rivolgere lo sguardo a lei.
Nota: siamo nel cielo delle Stelle fisse. Il pellegrino Dante è stato sottoposto ad esame dagli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, rispettivamente sulla fede, sulla speranza e sulla carità. Alla fine delle interrogazioni, dopo che l’intera comunità dei Beati ha intonato un Gloria di indicibile dolcezza, San Pietro pronuncia il violentissimo biasimo contro i suoi successori, i papi che si servono della Chiesa per i loro scopi materiali. Dante guarda ancora una volta la Terra sotto di sé e desidera ardentemente fissare lo sguardo ridente di Beatrice. Il verbo donneare, provenzalismo diffuso nella lirica cortese, era già apparso in Paradiso, XXIV, 118, sempre col significato di amoreggiare: “La Grazia, che donnea con la tua mente”. Nel mondo lirico del Paradiso, in cui il tradizionale rapporto tra il poeta e la dama si è trasformato in quello tra il pellegrino e la sua guida beata,, il verbo si adatta comunque bene a rappresentare la mai interrotta corrente d’amore che passa tra Beatrice e Dante, che ha ormai assunto le forme di un rapimento mistico. La bellezza, sia naturale sia artistica, è cibo per la mente, nella quale attua la potenzialità d’amore, ma nessuno di questi cibi può reggere il confronto con la bellezza del riso di Beatrice, perché questo è un riflesso della luce divina. Un critico ha sottolineato che “forse il poeta ha voluto mettere in pieno contrasto lo spettacolo della terra, intravista attraverso il ricordo di due miti (uno, quello della presunzione di Ulisse o della mente umana, non guidata da Dio, l’altro della seduzione della donna terrena) con la bellezza di Beatrice in cielo, col piacer divino di cui è circonfuso il suo viso ridente”.
Il dubbioso. Purgatorio, canto VII, vv. 10-15.
“Qual è colui che cosa innanzi sé / sùbita vede ond’ e’ si maraviglia,/ che crede e non, dicendo “Ella è… non è…”,// tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,/ umilmente ritornò ver’ lui,/ e abbracciòl là ‘ve ‘l minor s’appiglia”. Allora Sordello si comportò come chi vede all’improvviso qualcosa apparirgli davanti, e non crede ai suoi occhi, e si domanda se è vero ciò che vede; poi abbassò lo sguardo e con atteggiamento di reverenza gli si avvicinò di nuovo, abbracciandolo più in basso, dove è abitudine che si stringa chi è inferiore per età o dignità.
Nota: nell’antipurgatorio i due pellegrini incontrano Sordello da Goito, un poeta che scriveva in lingua d’oc, di Mantova. Rispondendo a una sua domanda, (“Voi, chi siete?”, v. 3), Virgilio gli rivela la sua identità. Ora Sordello, che era stato descritto come altero e sicuro di sé, all’annuncio di avere di fronte uno dei più grandi poeti della latinità classica, assume l’atteggiamento tipico di tutte le anime del Purgatorio, di incertezza e fragilità, e –in questo caso- anche di incredulità e reverenza. Non si dimentichi che nel canto precedente Sordello aveva abbracciato di slancio Virgilio in parità di grado come concittadino. La descrizione è ottenuta per mezzo di una similitudine psicologica, che si appunta su di uno stato d’animo. Il nuovo abbraccio di Sordello potrebbe essere alle ginocchia, secondo l’usanza classica, oppure sotto le ascelle, circondando il petto sotto le braccia dell’altro, secondo l’abitudine medievale.
Purgatorio, canto IX, vv. 64-69.
“A guisa d’uom che ‘n dubbio si raccerta / e che muta in conforto sua paura,/ poi che la verità li è discoperta,// mi cambia’ io; e come sanza cura / vide me ‘l duca mio, su per lo balzo / si mosse, e io di rietro inver’ l’altura”. Io feci come colui che riacquista sicurezza dopo aver dubitato e che trasforma la sua paura in coraggio, dopo aver scoperto chiaramente la verità; e appena la mia guida vide che non ero più preoccupato, cominciò a salire su per il ripiano, e io lo seguii verso l’alto.
Nota: nella valletta dei re Dante si è addormentato, poi si è svegliato di soprassalto e si è trovato accanto il solo Virgilio. Sono scomparsi Sordello, Nino Visconti e Corrado Malaspina. Virgilio gli spiega che è stato portato lì da Santa Lucia, scesa dal Cielo per aiutarlo. Il poeta cura con attenzione questo passaggio di Dante personaggio da uno stato d’animo incerto a uno sicuro e fiducioso. Il momento è importante: precede immediatamente l’ingresso nel Purgatorio, l’inizio del cammino verso Dio. Perciò, il deciso movimento ascensionale assunto finalmente dai due poeti, dopo i tentennamenti e le esitazioni, sia pure a loro volta importanti, dell’antipurgatorio, è evidenziato due volte, da su per lo balzo (v. 68) e da inver’ l’altura (v. 69). Quindi c’è una doppia antitesi, costruita sintatticamente come un chiasmo: dubbio è contrapposto a si raccerta (v. 64) mentre nel v. 65 conforto è contrapposto a paura.
Gennaro Cucciniello