Dicembre 1969, due presidenti e una strage.

Due presidenti e una strage, dicembre 1969

Aldo Moro impedì una svolta a destra nel 1969 dopo la strage di piazza Fontana. Il ruolo di Saragat al Quirinale e dei servizi segreti inglesi, in un passaggio drammatico.

 

“L’Espresso” del 9 maggio 2021 pubblica questo articolo dello storico Miguel Gotor, alle pp. 58-63.

 

Aldo Moro nel memoriale scritto durante la prigionia nella primavera 1978 sostenne di essere stato raggiunto dalla notizia della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 mentre si trovava a Parigi e di avere avuto subito la certezza che la pista da indagare fosse quella neo-fascista, funzionale a determinare una svolta reazionaria in Italia.

Il prigioniero con la sua testimonianza ai brigatisti parve anticipare una versione della crisi del dicembre 1969 che sarebbe stata divulgata dal giornalista Fulvio Bellini, il quale pubblicò il volume “Il segreto della Repubblica. Aldo Moro, l’affare di piazza Fontana e la strategia del terrore. Il ruolo di Giulio Andreotti”, con lo pseudonimo di Walter Rubini.

In base all’interpretazione di Bellini, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e quello del Consiglio Mariano Rumor avrebbero avallato, nel corso dei mesi precedenti la strage, una strategia della tensione a bassa intensità che non prevedeva la realizzazione di stragi con morti, ma una serie di piccoli attentati con lo scopo di fare salire la temperatura politica e sociale del Paese così da favorire lo scioglimento anticipato delle Camere, nuove elezioni e una forma di governo centrista con l’appoggio della Destra. In effetti, nell’estate e nell’autunno del 1969 si erano registrate in Italia una ventina di esplosioni senza vittime e anche il 12 dicembre, su cinque bombe, soltanto l’ordigno di Milano provocò diciassette morti come se i neo-fascisti di Ordine Nuovo avessero voluto improvvisamente forzare la mano per radicalizzare lo scontro in atto.

In base alla versione di Bellini, Moro avrebbe incontrato il presidente della Repubblica Saragat alla vigilia di Natale del 1969. Nel corso dell’acceso colloquio egli avrebbe adombrato un deferimento alla Corte Costituzionale del Capo dello Stato, accusandolo di voler promuovere una “svolta presidenzialista”. L’incontro si sarebbe concluso con un compromesso istituzionale tra le due personalità per governare gli esiti imprevisti della strage: Saragat si sarebbe impegnato a non sciogliere le Camere e avrebbe accettato il sostanziale fallimento del progetto di cambiamento istituzionale e il ritorno di un governo di centro-sinistra al potere; Moro avrebbe concesso la disponibilità sua e della DC a coprire la matrice fascista della strage, avvalorando la pista anarchica, come, di fatto, sarebbe accaduto negli anni seguenti. Saragat e Moro, dunque, avrebbero stabilito un “patto del silenzio”. A suggello di questo compromesso il “moroteo” Luigi Gui avrebbe dovuto lasciare il ministero della Difesa e, quindi, il controllo politico dei servizi segreti militari a un esponente socialdemocratico, ossia del partito di Saragat.

Non siamo in grado di stabilire se l’incontro tra Saragat e Moro ebbe realmente questo delicatissimo contenuto e, quindi, dobbiamo limitarci a individuare dei riscontri esterni che lo possano rendere plausibile. Anzitutto occorre registrare che alle ore 18 del 23 dicembre 1969 le due personalità s’incontrarono effettivamente a Castel Porziano, come attestato dal diario storico del Quirinale, in una data perciò collimante con quella suggerita da Bellini già nel 1978. Inoltre, nel marzo 1970, in occasione del varo del terzo governo Rumor, il socialdemocratico Tanassi sostituì per davvero il democristiano Gui alla guida del dicastero della Difesa. Infine, soltanto in modo indiretto possiamo ricostruire il pessimo stato dei rapporti tra Saragat e Moro in quei giorni drammatici grazie al racconto dell’ambasciatore presso la Nato Manlio Brosio che una settimana più tardi, il 30 dicembre 1969, si recò in visita dal presidente della Repubblica riportando la seguente testimonianza: “Saragat ammette che si è riavvicinato a Fanfani contro Moro: “ma il solo fatto che io mi sia riaccostato a quel cialtrone di Fanfani ti dice quanto grave sia la situazione”. Contro Moro è accanitissimo: “Di una passività assoluta, non è lecito governare così”.

Anche dalle considerazioni dei numeri uno e due dei servizi segreti militari della prima metà degli anni ’70, i generali Vito Miceli e Gianadelio Maletti, si possono ricavare conferme del racconto di Bellini. Ad esempio Miceli, intervistato nel 1975 da Lino Jannuzzi per l’Espresso, affermò in modo allusivo e ricattatorio: “Chiedete a Saragat, chiedete a Moro, domandategli di sciogliermi dal segreto militare, e io vi racconterò che cosa ho ereditato da Henke e che cosa Henke ha fatto come me e prima di me sotto l’ombrello di Saragat al Quirinale e di Moro a Palazzo Chigi”. Molti anni più tardi Maletti, dal 1980 rifugiatosi in Sudafrica per sottrarsi al carcere, in un libro intervista del 2010 sostenne che, rispetto alla strage di piazza Fontana, “c’era in atto, in Italia, una precisa strategia americana: sono certo che sia Saragat sia Andreotti ne fossero al corrente”.

A proposito di queste impegnative rivelazioni è interessante notare che Bellini, interrogato dal magistrato Guido Salvini nell’aprile 1997, dichiarò di avere scritto il libro grazie alle informazioni ricevute, all’indomani della strage di Milano, da un giornalista inglese che sapeva essere un agente dei servizi britannici. A suo dire in quei mesi “vi era stato un grosso scontro istituzionale fra l’area che aveva fatto capo a Saragat, definibile come Partito Americano, e l’area che aveva fatto capo a Moro, scontro che aveva avuto il suo epilogo qualche giorno prima di Natale”. Il presidente del Consiglio Rumor, “il quale inizialmente faceva parte dell’area del Partito Americano”, aveva rinunciato a dichiarare lo stato di emergenza e a sciogliere le Camere e si era alleato con Moro contribuendo a far prevalere “questa seconda linea che aveva dalla sua parte la possibilità di mettere sul tavolo i primi risultati delle indagini delegate dal ministro della Difesa Gui, molto vicino a Moro, al controspionaggio militare e ai carabinieri e che stavano portando alla evidenziazione della responsabilità di gruppi di estrema destra”.

Per avvalorare tali informazioni il giornalista inglese gli mostrò un articolo del The Observer del 14 dicembre 1969 in cui si sosteneva la matrice neo-fascista dela strage e si utilizzava per la prima volta l’espressione “strategy of tension”. Egli aggiunse che “non era un semplice commento giornalistico, ma una sorta di presa di posizione ufficiale ben comprensibile negli ambienti politico-diplomatici, che intendeva disapprovare la possibile destabilizzazione del nostro Paese a seguito di un eventuale scioglimento delle Camere. Ciò era stato ben compreso ed era per queste ragioni che Saragat, stizzito, aveva indotto il Governo a una protesta diplomatica”, effettivamente inoltrata dall’ambasciatore a Londra Raimondo Manzini, il quale costrinse il Foreign Office a una smentita.

Uno dei tre autori dell’articolo, Neal Ascherson, ha sostenuto nel 2014 in un’intervista alla giornalista Simona Zecchi che il contenuto del pezzo gli fu suggerito da due colleghi dell’Espresso, Antonio Gambino e Claudio Risé, i quali si sarebbero serviti di lui come cassa di risonanza internazionale per evitare di incorrere in Italia nel reato di calunnia. A questo riguardo, nel 1975, l’ormai ex presidente della Repubblica Saragat, polemizzando proprio con l’Espresso, asserì, evidentemente a ragion veduta, che l’articolo del The Observer fosse stato in realtà scritto nella libreria Feltrinelli di via del Babbuino a Roma.

In tutta evidenza l’operazione Bellini fu alimentata da un gioco di sponda dal sapore spionistico lungo l’asse Roma-Londra. Del resto, lo stesso Bellini nel 1997 affermò che, nel corso della Resistenza, aveva avuto delle esperienze sia con agenti segreti americani sia inglesi, ma che per sua “simpatia nei confronti degli inglesi, dopo la guerra aveva rifiutato la Bronze Star americana”. A prescindere dalla veridicità dei contenuti propalati, la prolungata azione di Bellini, intrecciata a quella del The Observer, individuò un duplice bersaglio: gli Usa di Richard Nixon, in carica dal 20 gennaio 1969 a 9 agosto 1974, unico presidente della plurisecolare storia americana costretto alle dimissioni, e l’Italia del capo dello Stato Saragat, in carica fino al dicembre 1971, un politico antifascista di antica e provata fede atlantica. In questo modo si volle avvisare l’opinione pubblica internazionale di quanto stava accadendo nella penisola ma anche distogliere ogni eventuale sospetto da un possibile ruolo britannico e offrire, con l’espressione strategia della tensione, una chiave di lettura destinata a una duratura e controversa fortuna interpretativa per provare a spiegare l’onda stragista di matrice neo-fascista che colpì l’Italia dal 25 aprile 1969, con l’attentato senza morti della Fiera di Milano, fino al 3 agosto 1974, quando saltò in aria una carrozza del treno Italicus provocando dodici vittime.

 

                                                        Miguel Gotor