Dodicesima notte: è l’ora della Befana
Nata da un mix tra paganesimo e religione cristiana, prodiga di doni, è la leggenda di questa moderna rider.
L’Epifania tutte le feste porta via. Questo vecchio adagio ha rovinato le vacanze di intere generazioni. Perché sulla gioia per i giocattoli ricevuti dalla Befana si allungava subito l’ombra minacciosa del ritorno a scuola. Insieme a quella malinconia senza origine apparente che si associa da sempre alla sera del dì di festa. In realtà la ricorrenza di oggi è legata intimamente al sentimento del tempo, alla fine di un ciclo annuale, a un passaggio stagionale che proprio nella dodicesima notte, come la chiama Shakespeare, trova il suo magico epilogo. Quando col favore delle tenebre la vecchia volante si infila nelle case per saldare i conti con i bambini. Dispensando doni a quelli buoni, cenere e carbone a quelli cattivi. Ma in realtà la buona megera che svolazza a cavallo della sua scopa è come l’araba fenice, che ci sia ciascun lo dice, cosa sia nessun lo sa. Non esiste eppure c’è. Nel senso che la sua antica magia è frutto di un equivoco. La parola Befana, infatti, nasce dalla corruzione popolare del termine greco, Epifania, che significa manifestazione. E indica la rivelazione della doppia natura di Cristo, umana e divina, ai Re Magi giunti a Betlemme per rendere omaggio al divino Bambino. E soprattutto per portargli i fatidici doni. Oro, incenso e mirra. Il primo, simbolo della regalità, il secondo della divinità, la terza della morte e della resurrezione.
Ma nel corso di un morphing durato duemila anni, le tradizioni popolari hanno trasformato un termine astratto come l’Epifania in pifania, poi in bifania, poi ancora in befania e alla fine in Befana. Così il nome comune è diventato un nome proprio. E il dogma si è trasformato in una persona. Una vegliarda decrepita che rappresenta la senescenza del tempo, la personificazione di Madre Natura al termine del suo ciclo annuale.
In fondo, la Befana che viene di notte con le scarpe tutte rotte è il risultato di una fusione tra i riti calendari ali precristiani che celebravano il passaggio dal vecchio al nuovo anno e il ciclo cristiano del Natale con i suoi simboli. Ecco perché nelle credenze popolari europee i dodici giorni tra Natale e l’Epifania erano considerati uno dei periodi dell’anno in cui più forte si avvertiva la presenza delle streghe. In particolare nella dodicesima notte, quando si faceva più intensa la comunicazione con il soprannaturale. Forse proprio per questo carattere così simbolico, il sei gennaio ha finito per essere dedicato a questa figura generosa e inquietante, amata e temuta, un po’ fata e un po’ strega. Perché in fondo la Befana non è che il doppio benefico delle streghe delle fiabe, infatti i bambini li ama e non li mangia. Ma al pari delle sue perfide colleghe vola di casa in casa a cavallo di una scopa, oggetto cui la mitologia ha sempre attribuito poteri straordinari.
Ma tutto questo armamentario di simboli non basterebbe a fare la Befana. Per trasformare una semplice rider dei cieli antenata di Amazon nella portadoni più celebre di sempre, ci è voluto un logo millenario come la calza. Un indumento dagli infiniti significati, che risale addirittura alle antiche divinità femminili del mondo mediterraneo. Le arcane custodi del tempo, quelle che garantivano l’ordine delle stagioni e l’abbondanza dei raccolti. Tra queste signore del calendario spicca la ninfa Egeria, tutor soprannaturale del secondo re di Roma, Numa Pompilio. Il successore di Romolo avrebbe sviluppato la sua proverbiale saggezza grazie proprio ai consigli di Egeria, che alle calende di gennaio, in corrispondenza con la nostra Epifania, gli faceva trovare una calza piena di dolcetti contenenti previsioni e suggerimenti per il futuro. E, accanto alla ninfa, operava anche Strenia, da cui discende la parola strenna. Che in origine era il regalo che i genitori romani facevano ai bambini, sempre nei primi giorni dell’anno nuovo, durante la festa delle sigillaria, cioè le statuette. Bamboline e animaletti, spesso commestibili. Ma anche fave. Perché quest’umile legume veniva usato per pronunciare a scrutinio segreto condanne e assoluzioni. Fave bianche sì, fave nere no. Educare e castigare, sorvegliare e punire. E in fondo, persino nella società che ha abolito la bocciatura la calza della Befana resta a suo modo una pagella, uno scrutinio di fine anno.
La vecchia dei regali viene insomma da molto lontano. Anche per questo resiste alle mode e non si è lasciata esodare da altri vettori, come Babbo Natale o la nordica Santa Lucia. Anche perché come tutti i classici è sempre attuale.
Marino Niola
L’articolo è pubblicato ne “La Repubblica” del 6 gennaio 2023, alle pagine 30 e 31.