E un giorno l’Europa scoprì l’arte di leggere
Petrarca e Machiavelli “dialogavano” con i classici. Montaigne esplorava il suo io. Tasso temeva di impazzire. Lina Bolzoni racconta il rapporto con i libri dei grandi autori del passato.
Nel “Venerdì di Repubblica” del 17 maggio 2019 Benedetta Craveri intervista, alle pp. 112-115, la studiosa Lina Bolzoni, autrice del saggio “Una meravigliosa solitudine”, Einaudi, pp. 254, euro 30.
Con “Una meravigliosa solitudine. L’arte di leggere nell’Europa moderna” Lina Bolzoni aggiunge un altro importante capitolo alla affascinante rivisitazione della civiltà rinascimentale italiana che va conducendo di libro in libro. Anche in questa sua appassionante indagine sulla lettura l’illustre studiosa eccelle nel ricostruire una realtà pluridimensionale, dove istanze politiche e ambizioni individuali, religione e libero pensiero, latino e volgare, filologia e retorica, prosa e poesia, immagini e parole, procedono strettamente associati, travalicando i confini delle varie forme di espressione. Scandita in sette tappe, la sua indagine si incentra sulle diverse concezioni della lettura elaborate dai grandi scrittori dell’Umanesimo e del Rinascimento, che chiamano ugualmente in causa i temi dell’imitazione, della creatività e dell’interpretazione, come pure dell’amicizia, dell’amore, della rappresentazione dell’io. Abbiamo chiesto all’autrice di farci da guida in questo suo nuovo viaggio al cuore della nostra modernità.
Il libro come specchio dell’anima e la lettura come dialogo con gli scrittori del passato costituiscono due temi centrali di questo suo studio. Quando hanno preso forma?
Queste idee sono presenti già nel mondo classico (ci sono passi bellissimi, ad esempio, nelle lettere di Seneca a Lucilio) e poi rinascono e prendono nuova forza e vita nel Rinascimento. Siamo così alle origini del mondo moderno, e mi è sembrato vitale ripercorrere quegli splendidi miti proprio oggi, quando si parla di crisi, o addirittura di fine del libro e della lettura.
Lei mostra bene come, assai prima dell’ermeneutica e della teoria della ricezione, si imponga la consapevolezza che un’opera vive anche attraverso i suoi lettori.
Questo mi sembra un punto essenziale: l’opera rinasce, e riprende vita, in mille forme diverse, attraverso l’incontro con chi la legge, attraverso il dialogo con i suoi lettori e le sue lettrici. E’ significativo infatti che i testi che ho ripercorso siano in genere dei dialoghi, o delle lettere: mettono già in scena appunto il confronto, l’intreccio fra voci diverse, che possono essere presenti oppure evocate, così da sopperire all’assenza dell’amico lontano.
La sua indagine inizia con Petrarca. Perché proprio da lui?
Perché Petrarca si presenta come il vero erede della grandezza antica, tanto che non solo si mette su un piano di parità con i classici, ma li rimprovera delle loro debolezze, delle loro meschinità. E così costruisce il grande mito del classicismo, l’idea di un dialogo che vince la morte, che si proietta al di là delle barriere del tempo, che dà vita a una comunità ideale, di scrittori e di lettori.
Gli umanisti non si limitano a fare risorgere le opere degli scrittori antichi ma creano delle splendide biblioteche dove riunirle. Quali sono le peculiarità di quella famosissima di Urbino?
Federico da Montefeltro la costruisce con un grande profluvio di mezzi e con un particolare, aristocratico gusto estetico, tra il 1464 e il 1482: le ricche rilegature, le splendide miniature dei codici vogliono testimoniare sia la sua magnificenza sia la sua ammirazione per i tesori che quei codici custodiscono, la sua gratitudine per chi li ha creati. Speciale è poi il rapporto con lo spazio ristretto dello Studiolo del Palazzo di Urbino, che rinvia alla biblioteca col gioco illusionistico delle tarsie e con i ritratti degli uomini illustri, i quali a loro volta danno un volto agli autori più cari, i cui testi sono custoditi nella biblioteca: uno straordinario teatro della lettura, miracolosamente conservato attraverso i secoli. I grandi autori, antichi e moderni, pagani e cristiani, guardano dall’alto il principe e con la vivacità dei gesti si rendono vivi e presenti, animano il dialogo che si instaura con i loro testi.
Lei scrive che, con la celebre lettera di Machiavelli a Francesco Vettori del 1513, il dialogo con gli antichi –“tutto mi trasferisco in loro”- non è solo più un’alternativa al presente ma diventa un invito a tradursi in azione.
Il caso di Machiavelli è di straordinario interesse. Innanzi tutto per come ritrascrive, nel suo stile irregolare e personalissimo, il tema del dialogo che sta nel cuore del classicismo. E inoltre per come contrappone polemicamente il fatto che gli antichi lo ascoltano, parlano con lui, al fatto che il presente lo condanna all’inazione, e che anche il suo amico Vettori lo invita ad accettare il fato e a consolarsi con gli amori.
Già con Erasmo da Rotterdam, però, il canone classicista –l’universalità e la continuità dei modelli antichi- viene messo in discussione?
Liberarsi dall’imitazione pedissequa di Cicerone, sperimentare l’incontro con altri autori, diventa per Erasmo il modo in cui riconoscere il proprio io così da poterlo poi esprimere nella scrittura. Si viene meno al patto di trasparenza col lettore se ci si maschera, se ci si traveste. Tutto questo assume un senso particolare quando si legge la Bibbia, soprattutto il Nuovo Testamento: lì, nelle parole del testo, si incontra il Verbo, si conosce Cristo meglio di quanto abbiano potuto farlo gli Apostoli e coloro che gli sono stati amici. Con Erasmo viene alla luce il versante teologico della lettura come dialogo con l’autore.
In Montaigne, al contrario, la ricerca di sé porta a esiti di segno opposto. Come lei scrive, negli “Essais”, “tutto esplode, si decostruisce, a partire dal proprio io”. Cosa è successo?
E’ successo che Montaigne, ritiratosi dal mondo, nel chiuso protettivo della torre e dei suoi libri, si dà allo studio e alla pittura del proprio io, ma quel che trova è una realtà in cui l’unità svanisce, la scena si sgretola, l’io appare invaso da un’alterità fatta di chimere e di fantasie incontrollate. E’ così che, con una scelta di grande modernità, Montaigne rinuncia al mito della trasparenza e accetta, come ha scritto Jean Starobinski, la legittimità dell’apparire. Il dialogo con i libri continua, nutre intimamente la sua scrittura, ma i confini con l’altro e con sé stesso si ridisegnano continuamente.
Per Torquato Tasso il topos del dialogo con l’autore entra, invece, in crisi perché la lettura può rivelarsi perniciosa. Perché?
Il tema dei rischi, dei pericoli che la lettura comporta esprime per così dire il volto oscuro della sua potenza: la lettura può essere pericolosa perché è capace di penetrare nell’interiorità, di colonizzarla con le passioni che il testo esprime. In Tasso trova una formulazione molto forte perché si lega al potere dell’immaginazione, ma anche Petrarca, che naturalmente non poteva aver letto il “Don Chisciotte”, scrive che i libri possono far impazzire.
Il suo saggio conclusivo è, invece, incentrato sulla teoria proustiana secondo la quale, totalmente interiorizzata, la lettura esige il silenzio.
Sì, ho trovato affascinante quel che dice Proust, quando parla di quel meraviglioso miracolo della lettura che è la comunicazione nel cuore della solitudine. In polemica con Ruskin, egli rifiuta infatti la concezione della lettura come dialogo, come conversazione con i libri-amici. La lettura diventa per Proust una solitudine popolata solo delle voci degli autori che aiutano lo scrittore a trovare il proprio ritmo nascosto.
Le pratiche di lettura invalse oggi non sembrerebbero piuttosto riaffermare l’importanza delle immagini, della voce, della teatralizzazione del testo?
I modi di comunicare, di leggere e di scrivere, stanno mutando con una velocità sconosciuta e non siamo in grado di valutarne le conseguenze. Accanto alle preoccupazioni per quanto rischiamo di perdere è interessante guardare anche alle possibilità nuove che si aprono. Forse anche con l’aiuto delle moderne tecnologie possiamo sperimentare in forme nuove quell’intreccio profondo tra parole e immagini, quell’ascoltare le voci dei libri, che la tradizione ci ha consegnato.
Benedetta Craveri Lina Bolzoni