La notte del Getsemani.
Uno spartiacque. La caduta di Dio.
La notte del Getsemani interviene come uno spartiacque nel racconto della vita di Gesù. Mai prima di allora si era trovato in modo così inequivocabile di fronte alla propria vulnerabilità; mai prima di allora aveva incontrato il carattere finito della sua esistenza umana. La forza unica e sovvertitrice della sua parola sembra spegnersi, la determinazione taumaturgica che lo ha spinto a compiere miracoli di ogni genere sembra essersi esaurita, la bellezza della vita che egli ha assaporato in tutte le sue forme sembra essere giunta alla fine.
L’ora del Getsemani è l’ora della caduta di Dio o, meglio, è l’ora dove il Dio cristiano si rivela essere “solo un uomo”, intaccato radicalmente dal negativo. L’ora del Getsemani non è l’ora di Dio ma quella dell’uomo. E’ l’ora in cui Dio appare spogliato; l’ora della caduta della sua gloria. Gli eventi che si susseguono dopo il Getsemani appaiono tutti già scritti: la cattura, l’incontro con i sacerdoti del sinedrio, il processo con Pilato, il Calvario, la crocifissione e la morte. Le palme che accompagnano l’entrata trionfale in Gerusalemme si trasformano nelle armi dei soldati –bastoni, fruste, spade e corona di spine-, che nel buio del Getsemani catturano Gesù come fosse un malfattore qualunque.
Per iniziare a leggere la notte del Getsemani bisogna mettere in tensione la scena dell’entrata di Gesù in Gerusalemme, accolto da un popolo esultante, con il Getsemani quando “il suo sudore –come scrive Luca- diventò come gocce di sangue che cadono a terra” (Lc, 22, 44). Bisogna insistere sull’opposizione drammaturgica tra la scena dell’entrata di Gesù a Gerusalemme circondato da un popolo in festa, con il volto illuminato dal sole e il sudore che diventa sangue, il volto schiacciato a terra nella preghiera e nella disperazione della notte del Getsemani. Bisogna tenere ferma questa opposizione senza mediazione che scava una discontinuità tra la luce del giorno dell’Osanna e il buio di quella notte. Nessuna sintesi, nessuna continuità, nessuna progressione possibile. Piuttosto uno strappo, una lacerazione, una divisione. Come la notte cala sulla luce del giorno così il silenzio e l’angoscia sembrano prendere il posto della celebrazione del Messia.
Non è più il tempo della parola che genera scandalo predicando la verità sconcertante della venuta di Dio nel mondo in difesa degli ultimi e degli umili, di una Legge che non esige più né vendetta, né punizione ma solo la liberazione dal sacrificio e dalla paura della morte. La predicazione, per essere credibile, deve trovare ora la sua verità nella testimonianza. Non c’è infatti, nella prospettiva di Gesù, alcuna verità possibile senza la sua testimonianza (…)
E’ solo nell’attraversamento solitario di questa notte interminabile che la parola di Gesù trova il luogo più alto della sua manifestazione. Se nelle ultime sue parabole e prediche a Gerusalemme il fuoco della parola si era acceso con grande energia nelle invettive contro i cosiddetti maestri della Legge e nell’evocazione di un’altra forma possibile della Legge –ora, nella notte del Getsemani, resta solo il silenzio. La parabola e la predicazione lasciano il posto alla preghiera.
Gesù è chiamato a dare testimonianza della verità della propria parola. Se non avesse attraversato la notte del Getsemani, la caduta e l’abbandono di Dio, dei suoi amici e dei suoi discepoli, se non avesse fatto esperienza dell’inesistenza dell’Altro dell’Altro, la verità della sua parola avrebbe avuto la stessa forza?
Non è forse proprio a partire da questa notte che la testimonianza della verità acquista tutto il suo valore? Non è proprio questa notte a illuminare la potenza della sua parola? Gesù non è forse venuto per dimostrare agli uomini –a tutti i peccatori- che è possibile vivere senza essere schiacciati dalla paura della Legge, ovvero dalla paura della morte? Non è la morte il volto più spietato della Legge? Non è forse l’attraversamento di questo fantasma sacrificale la posta in gioco più alta del Getsemani? E’ possibile una Legge che non sia peso, oppressione, patibolo? E’ possibile che la Legge sia alleata e non nemica della vita del desiderio? E’ possibile liberare la Legge dal volto solo doveristico della Legge?
La notte del Getsemani si apre con l’annuncio di Gesù ai suoi discepoli della sua passione imminente e della sua morte. Ma anche del tradimento di tutti i suoi discepoli e, in particolare, del suo discepolo più fedele, Pietro, quello al quale Gesù ha affidato l’eredità del suo insegnamento. Prosegue poi con lo sprofondamento di Gesù nel tempo dell’angoscia, della solitudine estrema e della preghiera. Si conclude infine con il bacio di Giuda e con l’arresto di Gesù.
In questa sequenza si può cogliere quella metamorfosi progressiva sulla quale ci siamo già soffermati: la gloria del Messia celebrata all’entrata in Gerusalemme lascia il posto alla brutalità dell’arresto come se Gesù fosse divenuto un pericolo pubblico, un bandito, un uomo che attenta alla Legge. Nulla di tutto ciò che ha detto e fatto prima sembra venire ricordato. La caduta nella polvere della sua gloria sembra cancellare ogni memoria. E’ quello di cui nella nostra vita abbiamo fatto esperienza: il tempo del successo e dell’affermazione si dimentica in fretta; la gloria del Messia viene prosciugata dalla violenza inarrestabile della sua caduta. Nondimeno la forza della lezione cristiana consiste nel pensare che solo chi conosce la caduta può conoscere la sua gloria.
Massimo Recalcati
Il testo è tratto dal saggio, “La notte del Getsemani”, Einaudi, pp. 13-23