Il berlusconismo: movimento politico e/o fenomeno di costume?
Per non impressionare il lettore partirei dalla riproposizione di un breve passo di S. Agostino, scritto quasi milleseicento anni fa: “Vi sono due amori. L’uno è santo, l’altro impuro; l’uno sociale, l’altro egoistico; l’uno è attento all’utilità di tutti per una società più alta, l’altro sottomette il bene comune al proprio vantaggio in nome di una dominazione arrogante” (“De genesi ad litteram”, XI, 15). Io penso che la società italiana di oggi, spaccata quasi a metà, condivida e si identifichi in questa dicotomia, interpretata in modo radicalmente difforme: una parte ama fino alla venerazione Silvio Berlusconi (benefattore e santo subito), l’altra lo avversa con eguale intensità e sentimento del pericolo(ingannatore e dittatore).
Ma anche gli analisti più sofisticati ricalcano le orme dell’opinione comune. Infatti anche essi si dividono. Una corrente sostiene che la Destra, unita attorno al Cavaliere –come lo denominano tutti-, è solo un’accozzaglia informe e incoerente, piena di gente d’ogni risma e di nessuna qualità, percorsa da gravi e ineliminabili contraddizioni (basti pensare al latente secessionismo della Lega e al nazionalismo statalista di quel che resta del MSI, lontani e distanti per tradizione e territorio), unita solo dalla logica del potere e dall’avidità dell’accaparramento sfrenato, vogliosa di festeggiare un carnevale infinito, pronta al collasso appena il Berlusconi si farà o sarà costretto a farsi da parte. Un’altra linea di opinione, invece, sottolinea la feroce abilità del Sultano, la sua spregiudicatezza nell’unire e sottomettere i partiti alleati, l’uso accorto delle manovre parlamentari, la costruzione d’uno schieramento impressionante di giornali e media televisivi, il killeraggio di amici e avversari con il sapiente utilizzo dei dossier ricattatori, l’intervento manipolatore calibrato sull’opinione pubblica. Non è un mistero che Berlusconi si sia fatto politico per scampare da un passato di malaffare, che nel presente continui a rimestare nel torbido e che come corruttore, bugiardo e spergiuro pretenda di essere accettato e adorato e che voglia persino imporre un edonismo perverso come un nuovo strumento di potere. Assistiamo ogni giorno ad uno spettacolo indecoroso: le bugie smaccate, gli attacchi ai magistrati e alla Corte Costituzionale, un vittimismo insieme piagnone e aggressivo, una continua coazione all’illegalità e alla violazione delle regole, la protervia di tanti cortigiani e servi nel difendere a spada tratta il loro Signore assoluto. Sentir parlare di rispetto della privacy da parte di chi ha consegnato il numero del suo cellulare a un lungo elenco di prostitute d’ogni razza e colore è alquanto bizzarro.
Anche il bipolarismo è all’origine di questo fenomeno. Come non vedere che mentre il centro-sinistra si è rivelato del tutto incapace di mantenere unita la disparata coalizione che pure era riuscito a mettere insieme (nel 2005-2006) –fino a provocare incredibili esempi di autolesionismo-, Berlusconi sembra essere riuscito –con fatica nel quinquennio 2001-2006, con mano più ferma (sembra) dal 2008- a unire e persino ad omogeneizzare il coacervo di interessi e di sete di potere che si è riunito attorno a lui. Certo, sono necessari l’enorme disponibilità finanziaria, la spregiudicatezza manovriera, l’abitudine a ignorare la legge e a pagare i migliori azzeccagarbugli per violarla impunemente, il Parlamento imbottito di nominati al suo servizio con illimitata cortigianeria, giornali compiacenti e direttori squalo, il controllo delle televisioni –private e di Stato- per imbonire il pubblico fino a plasmarne il rimbambimento lento e inesorabile (far accettare all’opinione pubblica, goccia dopo goccia, l’afflusso di “veline e letteronze” nel Parlamento, in Europa, nei Consigli Regionali; l’abitudine incivile in ogni tipo di dibattito televisivo di prevaricare sull’interlocutore impedendogli di esprimersi in modo pacato e compiuto (tutti che urlano, nessuno che ragioni o si sforzi almeno di ragionare, il pubblico messo scientemente nella condizione di non capire un tubo!)). E’ stata adottata la pratica della Marina borbonica: l’ordine impartito ai marinai del “facite ammuina, spustateve da prua a poppa e da poppa a prua” per impressionare e intimidire gli avversari. Berlusconi è stato il miliardario senza scrupoli, attaccato ferocemente alle sue aziende, che ha amato presentarsi come un sognatore da DRIVE IN, fino a imprigionare un intero Paese nel suo immaginario e nelle sue ossessioni.
Come si vede, c’è molta materia su cui riflettere. Indubbiamente colpiscono la profondità e la contraddittorietà del fenomeno politico del berlusconismo e impressiona la sua presa sulla società italiana. Come non sorprendersi, ad esempio, del fatto che ostentatamente gli obiettivi politici ed economici sbandierati da questa Destra siano l’arricchimento dei ceti privilegiati col suo corredo di corruzione prevaricazione picconamento della Costituzione e al tempo stesso che questa politica ottenga il consenso elettorale massiccio non solo di imprenditori e professionisti ma anche di casalinghe, precari, disoccupati, pensionati, persino operai? Evidentemente si sono disintegrati i vecchi criteri di lettura dello scontro di classe. E’ vero, lo sfondo di questo processo è europeo, non solo italiano. Perché mai la Destra europea ha la meglio nel momento stesso in cui tutto –la crisi del capitalismo finanziario, l’esaurirsi delle ricette liberali, il deterioramento del potere d’acquisto, l’aggravarsi delle disuguaglianze d’ogni tipo, il radicato attaccamento al welfare degli europei- dovrebbe spingere gli elettori verso sinistra? Al di là della crisi del socialismo riformista, su cui ritornerò, la Destra evidentemente è capace di intercettare e sfruttare politicamente altre dinamiche di fondo della nostra società: l’individualismo crescente, le paure reali e immaginarie suscitate dall’immigrazione e dall’insicurezza, le ansie per il futuro, la diffidenza nei confronti delle istituzioni politiche, gli interrogativi sul divenire dell’Europa, l’angoscia davanti alla globalizzazione, un forte bisogno di identificazione collettiva, la ricerca di valori e di senso.
Calma e gesso. Torniamo al nostro punto di partenza tutto italiano. Procediamo con ordine. Proviamo a passare in rassegna alcuni aspetti di questo strano Centauro berlusconiano, per usare una locuzione machiavellica. E in primo luogo ragioniamo sul Cavaliere imprenditore televisivo. Le sue reti tv gli sono servite? In passato, moltissimo. Esse sono state l’autentico strumento del principe, il veicolo di propaganda, il laboratorio di nuovi linguaggi e slogan, lo specchio dei mutamenti sociali reali e indotti, il sondaggio e il massaggio quotidiani 24 ore su 24, il termometro di un consenso prima antropologico e dunque politico. Esse da più di 25 anni sono state il motore del berlusconismo, il veicolo di una visione della società italiana che appariva in ogni caso vincente sui modelli avversari perché più moderna, libera, affluente, aderente al paese reale. Ora la crisi economica, i mutamenti sociali, la rivoluzione tecnologica imponente della Rete e di Internet incideranno su questo patrimonio di incantamento?
Berlusconi evoca una maschera della Commedia dell’Arte? Gira il mondo, rappresenta l’Italia con le barzellette grevi, le battutacce, i tacchi, i modi da piano-bar, le strimpellate con Apicella, le bandane, i capelli tinti e dipinti. Il grande imbonitore, che mente con costante insolenza, racconta di continuo barzellette, ride a quattro ganasce, canta, strimpella, blatera e non incontra mai nessuno che gli risponda a tono e lo sbeffeggi con adeguatezza. Negli incontri internazionali adotta la tecnica della rottura del protocollo, della confidenza esagerata, dei continui ammiccamenti boccacceschi, della ricerca ossessiva dell’attenzione (il “mister Obamaa” urlato come in un bar milanese, il cucù alla cancelliera Merkel). E’ l’animatore Valtur che cazzeggia ai vertici, fa le corna, strepita urla e sbraita per farsi notare con l’aria allegra dell’italiano in gita. Accumula solo per insipienza un così straordinario numero di figuracce? Certo che no, lo fa per parlare ai connazionali attraverso le televisioni e avere la sua visibilità, che è quello che poi gli interessa veramente, indifferente allo scontato dileggio che gli altri capi di Stato gli riservano in privato. Infine, fa di tutto per sembrare giovane ma il giovanilismo è tipico dei vecchi che si sentono decaduti, che temono di essere fuori gioco e dunque si truccano, si cambiano i connotati, non si accettano e convivono male con un’età che vorrebbero a tutti i costi nascondere. Un suo amico lo ha messo in guardia contro la paccottiglia giovanilistica che è un’ideologia oltre che una menzogna. Ma non c’è nulla da fare: Berlusca preferisce fare il giovane ritardato sino al grottesco, sino a incarnare la mummia che si conserva. E’ vero che, più generalmente, il giovanilismo è l’ideologia nazionale dell’intera gerontocrazia italiana: vecchi che hanno dimenticato o non hanno mai saputo quanta infelicità ci sia nell’essere giovani, oggi soprattutto.
Berlusconi è uno stratega politico oculato? Quando sembrava definitivamente all’angolo, nel novembre 2007, fra la diffidenza e la sufficienza di alleati e compari, ecco l’invenzione maoista (dice Giuliano Ferrara), l’ultimo gioco di prestigio del re mago, un’accelerazione impressionante alla dinamica politica, una specie di rivoluzione culturale alla cinese: buttata a mare Forza Italia, creato d’un botto il Partito della Libertà; tutti rimasti senza fiato, gli altri, nanetti ballerine e mezzi leader. Cavalcando acrobaticamente l’antipolitica salta sul predellino e fonda il grillismo istituzionale della Destra, rapidissimo nel cambiare marchio, strategia, opinione ma indossando lo stesso abito da 30 anni. Prima, aveva costruito, con spallate successive, un partito personale mediatico, fondato sulla comunicazione e sul marketing: reclutati gli esclusi della prima Repubblica, post-fascisti, leghisti, neo dc, craxiani, ex radicali arrabbiatissimi, in nome del nuovissimo e del vecchissimo (l’anticomunismo), uniti –per forza e per necessità- solo da lui, unico riferimento in grado di legittimarli dopo averli sdoganati e riverniciati. Egli ha legittimato tutta l’agenda politica neoconservatrice, con un crescendo progressivo di radicalizzazione. Si sono imposti nel dibattito temi quali: l’esaltazione dell’individualismo sregolato, la mitizzazione dello Stato minimo, il disprezzo per il Pubblico, il neonazionalismo soft, l’ostilità agli immigrati rasentando la xenofobia, il disprezzo per la donna -denudata e ridotta ad ornamento ebete nella pornografia televisiva imperante-, l’adozione impropria dei riferimenti religiosi uniti a un via libera a ogni intromissione della gerarchia vaticana e della Cei, la riduzione dei diritti civili a optional, la glorificazione acritica di Bush, l’euroscetticismo ostentato, una politica estera fondata sui rapporti personali. Di più, ha corrotto il rapporto tra consenso e politica: non cerca consenso popolare per un progetto ma il suo progetto è avere consenso. E’ dominato dai sondaggi che sono lo strumento di un personaggio che -come una banderuola al vento- cerca di stare comunque nella corrente.
Berlusconi è uno Zelig? Va al convegno della Nuova Destra di Storace, si compiace delle ovazioni della platea “Duce Duce Silvio Silvio”, ascolta –in un silenzio approvante- le sparate fasciste del capo missino, gli si allea, è criticato dal presidente della Comunità ebraica italiana e –nello stesso tempo- si proclama il miglior amico d’Israele e come tale ora viene esaltato dal governo Netanyahu. Fa di più. Nota M. Gramellini, in un corsivo sulla “Stampa” del 4 febbraio scorso, “che riesce nell’impresa mirabile di essere contemporaneamente israeliano a Gerusalemme e palestinese a Ramallah, ad affermare alla Knesseth che bombardare Gaza fu una reazione giusta e due ore dopo, davanti ad Abu Mazen, che le vittime di Gaza si paragonano a quelle della Shoah. Zelig si limitava a cambiare forma a seconda dell’interlocutore da compiacere, ma questo Berlusca è un uomo in grado di cancellare il tempo e lo spazio: riesce a stare col pilota dell’aereo ebraico che sgancia le bombe e nel rifugio sotterraneo coi bombardati di Gaza. Nello stesso tempo e dispensando ad entrambi parole di comprensione. Ma come fa? E come fanno gli italiani a sopportarlo? E il cardinal Bertone a benedirlo?”.
Berlusconi, politico paziente e lucido? Ricordate le 11 domande impertinenti di Bossi al nostro Cavaliere? Era l’estate del 1998 e la “Padania”, giornale della Lega Nord, pubblicava con grande rilievo un’intera pagina con 11 domande sulle origini del patrimonio di Silvio, chiamato “il mafioso di Arcore”. Ecco i titoli: “Soldi sporchi nei forzieri del Berlusca. Ma i suoi legali si oppongono alla perquisizione”; “Le gesta di Lucky Berlusca: per salvarlo un plotone di parlamentari, giornalisti e avvocati”; “Berluskaz e Cosa Nostra: cavaliere, risponda a queste undici domande!”. Il modello delle 10 domande di “Repubblica” dell’estate del 2009 era stato già anticipato undici anni prima. Ma il nostro Berlusconi ha saputo dominare l’ira nei confronti del suo vecchio e riottoso alleato, anche traditore nell’autunno del 1994, e ha ritessuto la tela di un’alleanza solidissima coi leghisti, il vero architrave della politica degli anni successivi. Così ha raccolto attorno a sé strutturalmente un vasto bacino sociale, di borghesia produttiva ma anche di lavoro dipendente, di uomini spaventati del ricco nord ma anche di pubblici salariati del povero sud, continuando a promettere, solo a promettere, un anomalo impasto di rivoluzione-protezione, lanciando di continuo annunci senza il bisogno di rispondere coi fatti, non prevedendo alcuna responsabilità. Ma il tempo delle promesse vuote sta per finire: nel momento in cui gli spazi di mediazione e i finanziamenti si inaridiscono rischia di scheggiarsi e spezzarsi questo monolitico blocco sociale. Di più: vuoi vedere che ora è proprio il nostro Berlusca a spingere la Destra italiana a raggrumarsi e a rassodarsi nella Lega? e che colui che dieci anni fa stipulò un’alleanza col partito di Bossi perché pensava di cibarsene con facilità ora potrebbe venirne travolto?
Berlusconi come Lauro? Tempo fa ad un mercato di Milano ha presenziato a una distribuzione di pacchi di pasta ai pensionati, affidandone la bisogna al partitino satellite di Fatuzzo (l’evoluto populismo telegenico efficacemente si riallaccia al populismo arcaico e selvaggio). Ma altre cose lo accomunano a Lauro: il cuore generoso, il calcio, il lusso ostentato, la concezione proprietaria, il groviglio di interessi pubblici e privati, il gusto per lo spettacolo volgare, un linguaggio volutamente semplificato, a tratti volgare, lo sbandierato vigore sessuale, la passione per le attricette (oggi si chiamano “escort”). Più di Lauro, però, dimostra di essere in piena confusione tra il senex e il puer che sono in lui: sta invecchiando ma mantiene lo stile dell’adolescente che non sa governare le sue pulsioni. Non a caso l’on. Alessandra Mussolini ha detto: “Mio nonno non ha fatto mai ministro la Petacci”. I suoi modi ilari e buffoneschi, però, mascherano -per dirla con Cordero- “fredde viscere d’affarista gangster paranoico, ed è miscela terrificante”. Egli si è dimostrato l’interprete perfetto del mutamento antropologico dell’italiano medio in fuga da Stato, Chiesa e partiti ed è diventato icona di riferimento anche per le periferie più sperdute ma tutte televisivizzate.
Berlusconi, tattico cinico e politico spregiudicato? Dopo anni di insulti quotidiani fa balenare spiragli di dialogo fra i poli e poi –subito dopo- contrappone la solita azione di avvelenamento dei pozzi, del sistematico incanaglimento del costume politico. Le offensive improvvise gli servono ad ammorbidire l’avversario perché non c’è arma più efficace del sorriso e dell’affabilità dopo aver mantenuto un alto livello di conflittualità: così irretisce gli avversari e controlla l’agenda politica (da questo punto di vista Massimo D’Alema è il suo interlocutore ideale). Nei due anni del governo Prodi (2006-2007) ha mantenuto la tensione politica ai livelli massimi, delegittimando in tutti i modi l’esecutivo, gridando ai brogli, sventolando i sondaggi, usando sapientemente lo sdegno popolare per i privilegi delle caste politiche scaricandolo sugli avversari del centro-sinistra, arrivando fino al dileggio reiterato e insultante dei senatori a vita, di Ciampi, della Levi Montalcini. Nei momenti difficili per lui mette in campo la sua consueta strategia del vittimismo piagnone, ben strombazzato dai suoi media e dalla corte servile che lo circonda (“chiagne e fotte”, dicono a Napoli). Sfrena i suoi sgherri, sferra campagne mediatiche, cerca di sterminare chi gli si oppone; l’indomani esibisce alle TV un viso mite e dolente deplorando lo quallido scenario del teatrino politico. Ma non era impossibile prevedere che un imprenditore con tanti scheletri nell’armadio, una volta impossessatosi del potere politico, avrebbe dovuto paralizzare il sistema giudiziario per difendere i propri interessi.
Berlusconi è un Fregoli? In fatto di sistemi elettorali nel 1994 era per l’uninominale secco all’inglese e nel 1998 per il doppio turno alla francese, prima era paladino del maggioritario e poi ha fatto approvare il ritorno al proporzionale, a maggio elogiava i pregi del sistema tedesco e a ottobre ne aveva scovato tutti i difetti. Nei rapporti con la Chiesa cattolica italiana poi è un vero Napoleone. E’ totalmente pagano nei valori e nei comportamenti; con le sue televisioni e i modelli che impone (donne nude, famiglie incestuose, consumismo sfrenato, materialismo dominante, razzismo e xenofobia) sta cambiando il volto e l’anima di questo paese, eppure la gerarchia vaticana lo esalta come “uomo della Provvidenza”. A volte tenta ancora di sorprenderci svelando d’avere salvato il mondo due volte: era suo il piano grazie al quale sopravvive l’economia USA ed è stato lui ad evitare la guerra tra Russia e Georgia. Negli intervalli s’addormenta fino a quando non viene svegliato con discrezione delicata dal fido Bondi.
Berlusconi si compiace di fare l’italiano da osteria. Piace a milioni di nostri concittadini perché li fa sentire felici di essere come sono. La Sinistra sgrida questi italiani, esortandoli a valori civici esemplari, Berlusca non solo li assolve ma si congratula con loro. Ne vellica gli istinti peggiori, impasta promesse illusorie, munificenze e bugie elette a sistema, tentazioni corruttrici e potere mediatico, modificando in peggio l’antropologia dell’intero paese. Reagisce agli scandali negandoli e, insieme, scherzandoci sopra. Ha massime funzioni politiche senza avere la mente del politico. Era ed è rimasto un uomo d’affari che regola ogni evento in tale ottica. Ogni volta che si scontra con un politico mette tutto sul piano personale invocando criteri estranei alla politica come lealtà-slealtà, fedeltà-infedeltà, amicizia-inimicizia, o con me o contro di me. Si vedano i rapporti internazionali dove “alleato” è sostituito da “amico” (Bush, Putin, Aznar, Gheddafi, Lukascenko). Ogni fisiologica modifica di prospettiva politica (oggi il caso Fini) è sentita come tradimento che determina reazioni come “rabbia, mi sta fottendo, chiedimi scusa…”.
Berlusconi è anti-politico? Si faccia attenzione a questa strana oscillazione. A volte parla di sé come il più grande statista che l’Italia unita abbia avuto, altre volte parla del proprio lavoro di premier (la politica, appunto) come di qualcosa che gli fa schifo. A parte l’evidente falsità dell’affermazione (se è sulla scena politica dal 1994, lo schifo non sarà poi così totale), questo ammiccamento all’antipolitica è forse il segreto del legame profondo tra lui e i molti italiani che gli danno consenso: ed è il segno di un’interpretazione della politica che va in un senso opposto a quello delle culture politiche tradizionali. Annotava con acutezza qualche tempo fa Giorgio Galli che “anziché programma o progetto, sogno o utopia, tradizione e destino, professione e vocazione -qual era secondo le grandi narrazioni otto-novecentesche- la politica è per lui (o almeno egli vuol far credere che sia) un mestieraccio, che si fa pensando alla pausa pranzo, al week-end, alle vacanze, alla pensione; proprio come molti italiani pensano al proprio lavoro, con odio o almeno con fastidio. La politica non ha a che fare con un’elaborazione culturale alta, con una percezione di necessità storica, con la serietà delle sfide, con la suprema dignità del vivere civile (e infatti Berlusconi ama dissacrarla con battute sberleffi e gaffes più o meno volute, da Bullo dominante); è piuttosto qualcosa che deve essere confinata nella più triste contingenza, che non deve diventare ragione di vita, mezzo di identificazione esistenziale. Si è davvero se stessi non quando si lavora, ovvero quando si fa politica come mestiere, ma nel tempo libero. Di conseguenza, la leadership politica non può avere nulla di eroico epico tragico, come quella dei dittatori totalitari alla Hitler o alla Mussolini; non ha neppure la dimensione rigorosa del dovere (come nel liberalismo laico, o nella politica di derivazione cristiana, protestante o cattolica che sia). Piuttosto è -vuol essere creduta- una leadership casuale, accidentale, occasionale. Il suo carisma politico sta in questa finzione di disimpegno dalla politica come lavoro e serietà, in questo assecondare le pulsioni al disimpegno che covano in molte coscienze. A molti italiani piace questa sdrammatizzazione del lavoro e della politica, e Berlusconi -che è diventato un consumato politico di professione, che ama il proprio lavoro e che non lo lascerebbe per nulla al mondo- lo sa, e lo comunica, presentandosi come un leader riluttante, e proprio per questo risultando trascinante”. Il Cavaliere, che svetta su un’eletta schiera di infamoni, è guida di un’Italia pinocchiesca, con branchi di monelle e monelli in viaggio per il paese dei balocchi, sedotta dall’Omino di burro “più largo che lungo, tenero e untuoso, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d’un gatto”, seduttore dall’aspetto mellifluo e dal comportamento feroce (C. Collodi, “Le avventure di Pinocchio”, cap. 31). Nel 1994, esordendo in politica, aveva scandito: “l’Italia è il paese che amo” ; in un’intercettazione di oggi, parlando con Lavitola, lo si sente dire: “l’Italia è un paese di merda”.
Berlusconi, uomo del fare, e che consente a man salva di rubare? Lo scandalo della “Bertolaso SPA” lo sta rivelando impietosamente. Il premier decide l’eccezione mescolando l’emergenza con l’urgenza e spostando l’urgenza nell’ordinarietà. Così cade ogni regola. Il governo afferma l’assolutezza del suo comando. Lo affida alla potenza tecnologica della Protezione Civile, libera di decidere progetti, contratti, consulenze, ordini, commesse, forniture, assunzioni, controlli. Lo scrive impeccabilmente Bruno Vespa su “Panorama”, settembre 2009: “Berlusconi, piaccia o non piaccia, è l’uomo del fare. Sbuffa contro le lentezze di un sistema bicamerale perfetto e si rifugia nei decreti legge. Lamenta gli estenuanti dibattiti parlamentari e propone di far votare solo i capigruppo. Si sente imbrigliato nei vincoli costituzionali che Napolitano (e ora anche Fini) gli ricordano. Ma appena arriva un’emergenza rinasce. Perché rinasce? Perché emergenza chiama commissario e il commissario agisce per le vie brevi, saltando le procedure. Bertolaso e Letta si ammazzano di lavoro, l’uno sul campo, l’altro nelle retrovie di Palazzo Chigi. Ma il commissario ideologico è il Cavaliere”. Ora si sa che lo scandalo della Protezione civile è lo scandalo di questa leadership politica, lo smascheramento di un metodo, del malaffare e degli uomini che lo interpretano. Ai livelli bassi ci sono i gaglioffi che ridono di tragedie e di morti che presto diventeranno –solo per loro- ricchezza e fortuna, poi i funzionari statali che barattano i loro obblighi per i favori di prostitute negli alberghi di lusso di Venezia e Firenze, infine una processione di mogli figli fratelli cognati –tanti cognati- in cerca di collocazioni incarichi affari provvigioni, magari anche solo uno stipendiaccio da cinquemila euro al mese da incassare senza troppa fatica, una piscina da far sistemare, uno sciacquone da riparare. Codice morale da “Bagaglino”. Ancora una volta spettacolo da cabaret televisivo. Ma c’è di più. Dalle intercettazioni vien fuori un costruttore che dice a un suo interlocutore: “O ti chiami ladro o ti chiami poveraccio. noi abbiamo una forma di rubare che è autorizzata dall’alto, quegli altri invece rubano le mele al mercato e vanno in galera. A noi è molto più difficile che ci mettano in galera perché le cose siamo abituati a farle bene”. Splendida questa forma di rubare, una specie di aggiornamento de facto del codice penale e della Costituzione della Repubblica, certificata dalle deroghe della Protezione civile. Un’elegia sopraffina del malaffare degli appalti che assedia l’Italia nell’indifferenza o nella complicità di quel che resta della politica e di una pubblica amministrazione corriva.
Berlusconi è il futuro dell’Italia? Voglio proprio augurarmi di no! Ha costruito il suo successo sulla vecchissima tradizione dell’anticomunismo, sempre sbandierato senza preoccuparsi della clamorosa contraddizione dell’amicizia ostentata con Putin, efficace arnese del Kgb, e ora dell’inedito amore con il bielorusso Lukaschenko. Il suo bilancio politico è segnato da tre fallimenti: è fallita la costituzione di un grande partito liberal-conservatore, ridotto ora a una formazione patrimoniale-populista con tratti carismatici; è fallita la modernizzazione del paese; è fallita la rivoluzione liberale perché i suoi governi si sono ripiegati su interessi settoriali, corporativi e personali. Lo ha annotato giorni fa A. Schiavone con grande perspicacia. E su vecchi strumenti continua ad insistere. “E’ vecchio il suo sovversivismo antistatalista, quando è evidente a tutti che, in questi tempi di crisi, di Stato c’è più che mai bisogno. E’ vecchia la riproposizione di un modello di illimitato consumo individualistico –ricchezza, possesso, piaceri- quando tutto l’Occidente sta ricercando una nuova misura dei limiti, perfino nella ridefinizione del PIL. E’ vecchio il liberismo sregolato mentre dappertutto si chiedono più diritto, più regole, più legame sociale. Ed è vecchio in modo insopportabile quel portare continuamente in scena se stesso, i suoi problemi, le sue persecuzioni, le sue voglie, quella ridicola ostentazione di un corpo brutto e ritoccato, distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica dalle cose veramente importanti”: quali le scelte strategiche che dobbiamo fare per salvaguardare il nostro futuro di paese sviluppato, scientificamente e tecnologicamente maturo, economicamente rimodellato, eticamente rifondato.
Gennaro Cucciniello
6 marzo 2010
P.S. Come lettura istruttiva consiglierei: Antonio Gibelli, “Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria”.
Mi piace anche riportare il testo di un sonetto del Belli, scritto l’11 marzo 1834:
Li miracoli de li quadrini
Chi ha quadrini è una cima de dottore,
senza manco sapé scrive né lègge:
po’ sparà indove vò ròtti e scorregge,
e gnisuno da lui sente er rimore.
Po’ avé in culo li giudici, la legge,
l’occhio der monno, la vertù, e l’onore:
po’ ffà magaraddio lo sgrassatore,
e ‘r Governo sta zitto e lo protegge.
Po’ ingravida oggni donna a-la-sicura,
perché er Papa a l’udienza der giardino
je benedice poi panza e cratura.
Nun c’è ssoverchiaria, nun c’è ripicco,
che nun passi coll’arma der zecchino.
Viva la faccia de quann’-uno-è- ricco!
Non c’è bisogno di alcuna traduzione!