“Il rosso pompeiano era giallo ocra”
E’ notte, nelle vicinanze di Napoli. Tre streghe invasate, Canidia, Sagana e Veia danzano intorno a un fanciullo sepolto vivo fino al collo, accendono fuochi nei quali gettano uova di rana tinte di sangue, penne di civetta, ossa strappate dalla bocca di una cagna affamata. Piatti pieni di cibo accendono il desiderio del ragazzo affamato in modo da far crescere il suo fegato e farne un prezioso ingrediente per un macabro filtro d’amore. Sembra una scena da un film dell’orrore o la descrizione di un rito voodoo. Certo nessun ex studente del liceo classico riconoscerebbe nel racconto di questo sacrificio l’Orazio che ha studiato a scuola. Eppure è proprio lui, il poeta dell’”Arte poetica”, delle Satire, delle Odi, l’autore di questo epodo, il quinto, interamente dedicato alla descrizione di un rito di magia nera. Pompei era una città i cui affreschi ci testimoniano una fitta presenza di fattucchiere e particolari pieni di simboli magici. Vi si testimoniano ricette per evocare gli dei, per conquistare l’amore di una donna, per esorcizzare un demonio, per uccidere un serpente o liberarsi dalle catene, per resuscitare un cadavere con l’aiuto di un demone, per vincere le gare circensi con l’aiuto di un povero gatto, affogato e poi avvolto in fogli di carta con i nomi dei carri, degli aurighi e dei cavalli. Ma nell’articolo che segue voglio dare testimonianza di un altro aspetto della vita artistica a Pompei, un aspetto tecnico, quello dei colori.
Gennaro Cucciniello
Recenti articoli di stampa riportano la notizia: rischia l’estinzione anche il famoso rosso pompeiano. Questo colore in realtà sarebbe un giallo. Il mito del famoso colore rosso ricorrente nelle domus di Pompei e difficile da definire non cessa di esistere ma viene ridimensionato a favore di un altro colore meno smodato e forse più adatto all’arredamento, il giallo. Una ricerca del fisico Sergio Omarini dell’Istituto nazionale di ottica del CNR riscrive la tavolozza dell’archeologia. E ci ricorda che se vediamo tanto rosso nelle aree archeologiche campane è perché il “surge”, il vento bollente del Vesuvio, micidiale gas dell’eruzione del 79 d. C., ha creato un fenomeno fisico di trasformazione. E in un bel po’ di casi ha cambiato le pitture murarie a fondo giallo ocra in ocra rossa. Psichedelica per colpa del vulcano sterminator Vesevo.
Si aspetta la conferma per Pompei ma per il momento la ricerca è stata condotta sulle case di Ercolano. E il risultato è che le pareti rosse originariamente erano in numero inferiore, perché sono state le alte temperature raggiunte nel corso dell’eruzione a mutare la tinta. Che gli ercolanesi avevano ordinato ocra gialla. “Se facciamo un giro per Ercolano –spiega Omarini- le pareti che ci appaiono rosse sono 246 e le gialle 57, in netta minoranza. Ma stando ai risultati della nostra ricerca, in origine le rosse erano 165 e le gialle 138. Come si vede il rosso pompeiano c’era anche allora, ma non prevaleva in maniera tanto schiacciante come credevamo, tanto da rendere quel colore un simbolo”. La ricerca è stata presentata alla VII Conferenza nazionale del colore alla Sapienza di Roma dallo stesso Omarini con Filomena Schiano Lomoriello e Silvana Carannante, che hanno avuto dallo spettrofotocolorimetro, che misura colore e fluorescenza X, la conferma che sulle pareti oggi rosse sono assenti i pigmenti del minio e del cinabro usati per ottenere quel colore. “Nelle case di Ercolano è facile verificare visivamente questo fenomeno: intorno a una crepa gialla si vede il rosso del gas fluito attraverso”.
Il cambiamento dovuto alle alte temperature non è una scoperta di questi giorni. “Lo scrivevano già Teofrasto, Vitruvio, Plinio –dice il fisico Omarini- che arroventando il bianco di piombo viene prodotto il minio rosso”. Commenta l’ex soprintendente Pier Giovanni Guzzo: “Queste ricerche servono anche a penetrare all’interno dei luoghi comuni proprio perché anche il lavoro sull’antichità deve basarsi su argomenti sicuri piuttosto che su sentimenti e prevenzioni”. Si apre dunque una nuova stagione per la scoperta dei colori originali, ma non si svela il giallo del vero rosso pompeiano. Il colore era ottenuto con il cinabro (solfuro di mercurio) ma Daniela Daniele, una ricercatrice italiana dello Staatliche Museum di Berlino, nel 2004 si accorse di una differenza tra la pittura ottenuta dal cinabro e il rosso pompeiano, che aveva una sfumatura “drammatica” ancora oggi non definita dal punto di vista colorimetrico. “Il mistero è in piedi anche per altri colori –spiega ancora Omarini- come il porpora, che nessuno ha mai visto perché la storia non ce ne ha consegnato alcun campione”.
(da un articolo di Stella Cervasio, in “La Repubblica”, cronaca di Napoli, del 16 settembre 2011)