Il diario intimo di papa Giovanni Paolo I

Il diario intimo di papa Giovanni Paolo I

Un’agenda di 33 giorni. Svelati gli appunti di papa Luciani, i gusti letterari, i pensieri sulla società e su un Dio-madre.

 

Colto, non certo uno sprovveduto. Brillante nella  scrittura, non un curato di campagna poco avvezzo alle lettere. Attento alle cronache del mondo, alle istanze dei lavoratori, ai cambiamenti in corso negli anni Settanta. Stimato dal metropolita di Leningrado (oggi San Pietroburgo) con cui scambia parole di intensa e inedita condivisione (da paragonare con l’oggi). E’ arrivato il momento di ricredersi: l’immagine di Giovanni Paolo I, il Papa del sorriso e dallo stile semplice, che parla a braccio, ai limiti del candido, non corrisponde alla vera essenza di Albino Luciani, pontefice per 33 giorni dal 26 agosto al 28 settembre 1978. A dimostrarlo ci sono i documenti del suo brevissimo mandato, ora raccolti in un unico libro (“Il Magistero. Testi e documenti del Pontificato”, a cura della Fondazione Giovanni Paolo I, edito da Libreria Editrice Vaticana e San Paolo, prefazione di Papa Francesco): il confronto tra testi scritti e quelli poi pronunciati, ma soprattutto l’agenda e i block notes di quegli incredibili 33 giorni. Il backstage segreto, mai conosciuto finora, di un papato.

L’agenda. Una. Cominciata a Venezia nel 1977, continuata a Roma. Luciani tira una riga, cambia data e continua. Su quei fogli prende appunti, incolla ritagli di giornale, scrive note. Li usa come un quaderno, senza badare ai giorni indicati sulle pagine. Copertina in similpelle blu con le iniziali “A. L.” sovrimpresse. Prime note, prima rivoluzione. Dopo avere citato il modello di Josemarìa Escrivà de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei –santificarsi con azioni di ogni giorno-, Luciani riprende i suoi ragionamenti sul cercare Dio nel lavoro quotidiano, come predicato da San Francesco di Sales. Fino ad appuntarsi: “Onestà letto matrimoniale? Non ostacolo ma scalino”. La matrice è salesiana, il messaggio però va inserito nel 1978, l’anno del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro, delle dimissioni del presidente Giovanni Leone e dell’arrivo di Sandro Pertini, con una società in cambiamento dopo le leggi sul divorzio e l’aborto, e una Chiesa non sempre in grado di interpretare le istanze delle comunità. Ebbene, il Papa che nei discorsi passa dal noi all’io –il libro affianca i testi scritti e la loro versione declamata-, che conosce le lotte sindacali, soprattutto del Veneto dove è stato patriarca di Venezia (segna in agenda la vertenza della Sirma di Porto Marghera), riflette sulla sessualità coniugale. La interpreta come una risorsa per vivere pienamente la fede, non come un freno, o una saltuaria concessione a fini riproduttivi.

Cancellature, tante. Sottolineature. Giovanni Paolo I, il Papa che rinuncia all’incoronazione –e che sarà beatificato da Francesco il prossimo 4 settembre- ferma i pensieri per dare forma e carattere al suo magistero. Lo si vede nell’officina che porterà al famoso Angelus del 10 settembre 1978. Quello di “Dio è papà, più ancora è madre”, frase che suscita immediato scalpore, soprattutto nella Curia romana, che diventa oggetto di dibattito, anche tra le femministe, di interpretazioni, di esegesi che passano dagli studi di Ratzinger a quelli di Ravasi e di Bergoglio. Sull’agenda, con scrittura minuta e poco comprensibile, il Papa appunta –pagina del 22 agosto- questa frase: “Dio non vuol farci alcun male, ma solo del bene. E’ un padre, anzi una madre”. “Ogni dichiarazione –osserva Stefania Falasca, vicepresidente della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I, studiosa di Luciani e che ha curato il coordinamento editoriale del volume- è frutto di un lavoro intenso. Luciani è il primo pontefice ad adottare nei suoi interventi uno stile colloquiale, che ignora o spesso modifica il testo scritto con aggiunte a braccio, ma questa scelta di semplicità evangelica che pervade il suo magistero non deve confondere: Albino Luciani è un bibliofilo che conosce l’inglese, il francese, il tedesco, la sua cultura travalica i confini ecclesiastici. Inoltre, è risaputo, è la penna più brillante dell’episcopato”.

Sacro e profano, le citazioni sono tante. Da Charles Péguy a Georges Bernanos, passando da Nietzsche a Trilussa, fino ad Al Capone (l’uomo che continua a giustificarsi e definirsi dal cuore gentile nonostante le sue gravi colpe). Nella stessa pagina dell’agenda (28 agosto), per prepararsi all’Angelus che precede l’avvio del nuovo anno scolastico, Giovanni Paolo I menziona Giosuè Carducci e Pinocchio, e non sono particolari da poco, perché se oggi a noi può sembrare normale che un Papa si rivolga ai ragazzi invitandoli a seguire l’esempio del burattino che alla fine diventa un alunno modello (“non quello che marinò per andare a vedere i burattini; ma quell’altro, che prese il gusto alla scuola”), lo è meno l’elogio del professor Carducci, famoso per il suo anticlericalismo e dunque non amato dalla Chiesa (il Papa cita un episodio fiorentino, quando il poeta, dovendo tornare dai suoi studenti universitari a Bologna, rifiuta l’invito a rimanere fattogli dal ministro dell’Istruzione).

Sorprendenti anche le parole che Luciani usa (nell’agenda) a proposito dell’incontro con il metropolita ortodosso di Leningrado. L’episodio è noto: il 5 settembre, durante un’udienza in Vaticano, muore improvvisamente, tra le braccia dello stesso Papa, il prelato della Chiesa ortodossa russa Nikodim (1929-1978), metropolita di Leningrado e Novgorod. Trambusto OltreTevere. Due giorni dopo, nell’udienza al clero romano, il Papa riporta alcune impressioni –senza rivelarne il contenuto- del colloquio intrattenuto con il fedele discepolo dell’ortodossia: “Vi assicuro che mai in vita mia avevo sentito parole così belle per la Chiesa, come quelle che lui aveva pronunciato. Ortodosso, ma guarda come ama la Chiesa”. Qualcosa di quel segretissimo colloquio si vede ora non nell’agenda, ma in un foglio del block notes. Due righe in cui Luciani segna: “Chiesa uguale (=) figlia. Il vero padre è Dio. Papa, figlio anche lui. Padre – Maestro”. Una sintonia e un’unità di intenti che molto stridono con le divergenze a cui assistiamo oggi…

Diplomazia internazionale: il Papa segue i colloqui di pace per il Medio Oriente tenuti a Camp David (5-17 settembre 1978), elogia Jimmy Carter pubblicamente e gli scrive una lettera: le bozze sono tutte appuntate a mano. “Nell’agenda compaiono più spesso gli schemi degli interventi –prosegue Falasca-  mentre il block notes è intervallato da spunti, incombenze, incontri”. Nomi: Amintore Fanfani, allora presidente del Senato; Giulio Carlo Argan, sindaco di Roma; Valerio Volpini, direttore de L’Osservatore Romano”; ma anche San Paolo e Sant’Agostino. Ci sono poi gli impegni da uomo comune, come il barbiere.

Dopo la morte improvvisa di Papa Luciani il suo archivio privato viene rimandato presso la sede patriarcale di Venezia. Il primo dicembre 2020, dopo 42 anni, quel materiale (oltre 50 contenitori) torna alla Santa Sede. Nel marzo 2021 comincia il lavoro di inventariazione, riordino, digitalizzazione.

 

                                                        Annachiara  Sacchi

 

L’articolo è pubblicato ne “La Lettura” dell’ 8 maggio 2022, a pag. 15, supplemento culturale del Corriere della Sera.

Un altro articolo a firma di Fabio Bozzato, pubblicato dal “Venerdì di Repubblica” del 2 settembre 2022, alle pp. 48-50, racconta un episodio che vide un piccolo paese in provincia di Treviso, Montaner –frazione di Sarmede-, opporsi duramente il 4 settembre 1967 all’allora vescovo Luciani. Il 13 dicembre 1966 era morto, venerato già come un santo, don Giuseppe Faè, da 40 anni parroco di Montaner. Dopo la sua morte, la comunità del paese aveva chiesto al vescovo di nominare come nuovo parroco il giovane cappellano Don Antonio Botteon. Alla risposta negativa, i fedeli murarono le porte della chiesa e affissero un cartello: “All’unanimità e con la decisione di tutta la popolazione, si proclama parroco di Montaner Don Antonio Botteon. La proclamazione è stata fatta nella forma più democratica in quanto la popolazione intende scegliere il suo pastore”. Il 4 settembre, accompagnato dal vicequestore di Treviso, da un nugolo di poliziotti e carabinieri, Albino Luciani si fece largo tra la folla, entrò nella chiesa di san Pancrazio per uscirne di lì a poco stringendo i paramenti sacri e le chiavi. Nessun sacerdote avrebbe celebrato fino a nuovo ordine.

Gli sviluppi furono clamorosi. Un anno dopo, la sera del 26 dicembre 1968, la folla gremiva la piazzetta di fronte a quella stessa chiesa, per assistere alla prima messa di rito ortodosso. Era lo scisma di Montaner. Il vescovo Luciani, fedele alle regole dell’obbedienza, ne restò sconcertato.

                                                                  Gennaro  Cucciniello