Il libertino che sfida la Legge
Nessuna figura come quella del perverso si candida ad infrangere ogni tabù. E’ la sua professione e il suo programma. E’ la sola perversione degna di questo nome: sfidare la Legge degli uomini mostrando la sua natura falsa e ipocrita, poiché la sola Legge che conta è quella del proprio godimento.
Un luogo comune, avallato anche da una certa psicoanalisi, ha voluto invece considerare la perversione come una aberrazione del comportamento sessuale, come un vizio che sottolineerebbe il carattere deviato, anarchico, esorbitante della sessualità. In realtà, da questo punto di vista, gli esseri umani sarebbero tutti egualmente perversi. Il desiderio sessuale è, infatti, abitato strutturalmente da una dimensione lussuriosa. Freud parlava a questo proposito già della sessualità del bambino come di una sessualità perversa-polimorfa. Mentre nel mondo animale il sesso sembra rispondere alla bussola infallibile dell’istinto, la sessualità umana eccede quella guida, la sconvolge; non si piega né alla finalità riproduttiva, né a quella del rapporto sessuale come semplice congiunzione dei genitali. Lacan ironizzava affermando che nella sessualità umana non c’è mai nulla di naturale, nulla di realistico: i gusti e le pratiche sessuali non sono piegati alla legge biologica dell’istinto ma appaiono sempre devianti, strambi, simili a dei collage surrealisti.
La vera perversione non si manifesta dunque nelle pratiche sessuali fuori norma anche perché è la sessualità umana come tale a essere “normalmente” perversa. Né si manifesta nella spinta a trasgredire la Legge perché nella trasgressione della Legge c’è già una qualche forma di riconoscimento del valore simbolico della Legge. Ne è una prova il senso di colpa che accompagna solitamente ogni atto trasgressivo. Nell’Epistola ai Romani Paolo di Tarso ha messo bene in evidenza il nesso che lega la Legge al peccato. Solo se esiste una Legge può esistere anche il senso della sua trasgressione, ovvero il senso del peccato. E’ questa la dimensione della perversione che accompagna ordinariamente il desiderio umano, il quale può intensificarsi e inebriarsi grazie all’esistenza di un limite e al brivido provocato dal suo oltrepassamento trasgressivo.
Lo insegna anche il mito biblico di Genesi: è l’interdizione dell’oggetto (il frutto dell’albero della conoscenza) che lo rende un oggetto di desiderio. Più si rende un oggetto qualsiasi proibito e inaccessibile, più si alimenta il suo desiderio. Questa spinta del desiderio a superare il limite della Legge non definisce però ancora la vera perversione. Per intenderne davvero il significato bisogna abbandonare la dialettica tra Legge e desiderio sul quale si fonda l’iscrizione simbolica del tabù. Il vero perverso, infatti, vuole distruggere ogni tabù, cioè vuole liberare il desiderio da ogni forma di Legge, vuole sfidare la Legge degli uomini nel nome di un’altra Legge. E’ quello che Lacan vede incarnarsi nell’opera libertina del marchese De Sade. Questi non si accontenta della versione paolina della Legge e della sua trasgressione. Questa nuova Legge con la quale il vero perverso pretende di smascherare la Legge degli uomini come un’impostura, una maschera, un artifizio ipocrita è la Legge del godimento. Essa non trova posto nei Codici ma è per Sade iscritta nella Natura.
E’ il fondamento vitalistico che anima il sogno del perverso: seguire la Legge della Natura per raggiungere un godimento puro, non ancora corrotto dal linguaggio. Per questo la pedofilia è una delle espressioni più forti e inquietanti della perversione: godere dell’innocente significa recuperare un godimento pieno, assoluto, non ancora contaminato dall’esistenza della Legge. Nessun tabù, compreso quello dell’incesto, deve ostacolare questo dispiegamento onnipotente e cinico del godimento. Il disegno politico della perversione si chiarisce così come lo sforzo inumano di liberare le leggi della Natura dalle catene repressive delle leggi della Cultura per riportare l’uomo al suo fondamento materialistico, vitalistico, come spiega pedagogicamente M.me Saint-Ange alla sua giovane depravata discepola Eugénie ne “La filosofia nel boudoir”: “Spezza le tue catene a qualunque costo, disprezza le vane rimostranze di una madre imbecille, a cui non devi che odio e disprezzo. Se tuo padre ti desidera, concediti: goda di te, ma senza incatenarti; spezza il giogo se vuole asservirti… Fotti, insomma, fotti: è per questo che sei al mondo. Nessun limite ai tuoi piaceri se non quelli delle tue forze o delle tue volontà”.
Il teatro perverso di Sade, le giovani donne straziate, degradate, seviziate, umiliate dai loro carnefici, non ha altro fine che questo: riportare il godimento alla sua Origine, liberandolo definitivamente da ogni mancanza. Il richiamo alla Legge della Natura avviene così contro la Legge degli uomini, falsa e corrotta. Il vero crimine non è, infatti, quello del libertino ma quello della Legge che osa imporre dei limiti al godimento; il vero crimine non è quello sadiano ma quello dell’uomo falsamente morale che non rispetta le leggi della Natura. Sade ci costringe a invertire il punto di vista morale della distinzione tra Bene e Male, tra Virtù e Vizio. Il vero peccato non è quello del libertino –il Vizio- ma quello della morale –la Virtù- che nega i desideri “naturali” che costituiscono l’essere umano. La Legge degli uomini è vista come un serpente o una vipera velenosa dalla quale bosogna difendersi. Essa impone sacrifici, limiti, soglie simboliche inutili che mutilano la spinta auto-affermativa di godimento della vita. In questo il marchese De Sade anticipa una svolta epocale in corso del nostro tempo dove i suoi proseliti si moltiplicano mostrando che la Legge degli uomini è solo una maschera artefatta della sola Legge che conta: l’affermazione incontrastata della propria volontà di godimento.
Massimo Recalcati
Articolo pubblicato in “Repubblica”, domenica 6 marzo 2016, p. 56