Il terrorista che uccide e si uccide in nome dell’Idea
Il folle sogno di ripulire il mondo, di restituirlo a un ordine smarrito. Senza mai avere dubbi, senza alcun senso di colpa.
Nessuno nel nostro tempo sembra sfidare il tabù della morte come il terrorista che sacrifica la propria vita per la sua Causa. Il ‘900 ci aveva abituato; morire per la Causa attraversa il cataclisma del totalitarismo assumendo forme diverse ma tutte accomunate dallo stesso principio: il valore particolare di una vita è subordinato a quello universale della Causa sia essa quella della Storia, della Razza o del Partito. Lo spirito ipermoderno è invece animato da un profondo disincanto nei confronti di ogni forma di Universale tranne quello della globalizzazione capitalista. In Occidente nessuno muore più per la Causa perché la sola Causa che conta è quella cinica e narcisistica del proprio Io. Lo spirito di Antigone ha lasciato il posto a quello dell’avaro di Molière che vive attaccato alla propria cassaforte per scongiurare qualunque forma di perdita. Il terrorista, invece, rischia di essere l’ultimo superstite dell’ideologia della Causa; egli non agisce nel nome del proprio Io ma in quello dell’Ideale al quale si consegna anima e corpo. Arma la sua mano rinunciando alla propria vita, facendosi strumento della Verità assoluta di cui crede di essere il solo interprete.
La sua psicologia si fonda su di un principio inamovibile di innocenza e di purezza: la strage o l’assassinio mirato serve per ripulire il mondo dagli infedeli, per restituire al mondo il suo ordine smarrito, per guarirlo dalla sua infezione. In ogni terrorista si cela un educatore: “colpirne uno per educarne cento” non è solo uno slogan raccapricciante ma traduce il principio “morale” che guida il terrorista nella sua azione. Il suo presupposto è terribilmente pedagogico: colpire il nemico serve alla purificazione del mondo, serve ad educare gli impuri.
Lo spirito del terrorista è anti-cartesiano o, come direbbe Wilfred Bion, “privo di mente e di pensiero”. Egli agisce senza paura della morte perché non conosce il tarlo del dubbio. Il terrorista non è un soggetto diviso, la sua coscienza non è tormentata, il suo essere è compatto, granitico roccioso duro. L’autocritica, il disorientamento, la fiacchezza non gli appartengono, sono sentimenti estranei al suo mondo. La freddezza inumana che deve caratterizzare la sua azione traduce sintomaticamente questa assenza totale di divisione. L’identificazione alla purezza dell’innocente giustifica ogni suo crimine trasfigurandolo in un’azione gloriosa compiuta nel nome della Causa. Per questa ragione anche il senso di colpa non può avere alcun diritto di cittadinanza nella coscienza del terrorista. Il suo eroismo non conosce mai davvero la solitudine e l’abbandono: lo sguardo della Storia o di Dio lo guidano e non lo lasciano mai solo promettendogli ricompense eterne. Mentre Antigone sacrifica la propria vita nel nome dell’amore per il fratello, il terrorista sacrifica la sua vita e quella dell’Infedele nel nome del suo amore assoluto per la Causa.
In questo senso egli rompe ogni tabù, ogni argine, ogni senso umano del limite agendo in nome del “vero Bene”, che gli impone di usare tutto il “Male” possibile per distruggere il “falso Bene” che governa la vita degli infedeli. Se egli agisce nel nome del Bene assoluto niente può, infatti, arrestare la sua azione: nessun senso di colpa, nessuna Legge, nessun tabù. Gli infedeli sono impuri, bestie, subumani, microbi, virus, peccatori: le loro vite non hanno diritto di esistere perché non sono vite degne. Le loro Leggi non sono la vera Legge, ma solo un’ipocrisia della Legge. Gli infedeli sono tutti corrotti, marci, scimmie ammaestrate, prede inconsapevoli del loro narcisismo e della loro ingordigia. Essi vivono in un mondo decadente, in sfacelo, privo di valori perché hanno smarrito il contatto con il solo “vero Bene” e la sola “vera Legge”. Non esiste, infatti, altra Legge se non quella della Storia, della Razza, del Partito o di Dio di cui il terrorista si considera un servo fedele. La sua anima è invasata dalla Causa che, per un verso, la acceca ma, per un altro verso, la eleva al rango di giudice e di giustiziere: lo spirito del terrorista non si arresta di fronte al volto impaurito e inerme del suo avversario, non fa prigionieri, non consente alcun dialogo, non crede nella Legge della parola. Anche l’assassinio più crudele e spietato diventa un giusto tributo richiesto dalla Causa.
Il suo desiderio è solo desiderio di morte che non conosce tentennamenti. Mentre il nostro povero Io è un aggregato molteplice di identificazioni, un arlecchino servitore di padroni diversi –come lo descrive classicamente Freud-, instabile e insicuro, l’Io del terrorista è fatto di piombo. L’esistenza dell’impuro serve a confermare la sua inviolabile purezza. La sua vocazione fondamentalista scaturisce dall’identificazione ipnotica alla Causa che lo libera da ogni preoccupazione vanamente umanistica. La verità che egli serve non ha infatti più alcun rapporto con gli esseri umani; è una Verità assoluta, incontrovertibile, imperitura, sovrastorica. E’ la convinzione che nutre la forza sempre settaria del terrorista: essere servo della Verità lo rende padrone della vita degli altri. In questo senso la sua servitù è la forma più piena di libertà, il sacrificio di sé la forma più alta di realizzazione, la sua spietatezza la forma più evidente della sua innocenza, la sua arroganza la forma più delicata di dedizione.
Massimo Recalcati
Articolo pubblicato in “Repubblica”, domenica 21 febbraio 2016, p. 52