In occasione dei cento anni di mio padre, operaio elettricista
Il mio amico Mimmo Nigro mi ha chiesto di scrivere, per il Sito di Palazzo Tenta, alcune note di ricordo di mio padre Paolo Cucciniello che il 13 ottobre 2015 compie 100 anni. Ho esitato nell’accettare: in fondo la vita di mio papà è stata un’esistenza semplice, una vita operaia passata attraverso esperienze di guerra, di lavoro, di famiglia, simile a quelle di tanti altri italiani della sua generazione e della sua umile classe sociale. Poi ho accettato perché mi sono ricordato di un particolare biografico che –quando ero ragazzino- mi aveva molto colpito. Avevo una volta chiesto a mio nonno Gennaro, nato nel 1880 e morto nel 1966, anch’egli operaio elettricista, dove erano nati i suoi sei figli e lui me li snocciolò allora con calibrata attenzione: Noris nel 1907 a Livorno, Minna nel 1909 a Livorno, Antonio nel 1913 ad Avellino, Paolo nel 1915 a Torella de’ Lombardi, Consiglia nel 1921 ad Avellino, Armando nel 1923 a Cassano Irpino. Poi la famiglia nel 1925 era stata trasferita a Calitri e nel 1934 a Bagnoli. Mi si era così delineata allora, e lo capii seriamente solo anni dopo, una piccola e privata storia della elettrificazione dei paesi dell’appennino irpino. Mio nonno, nativo di Avellino, si era specializzato a Livorno durante il servizio militare; nella città toscana aveva sposato Olga Pratesi. Dopo qualche anno aveva accettato alla fine del primo decennio del Novecento il lavoro di elettricista nella SEDAC (Società elettrica della Campania), era tornato nella sua regione e veniva spostato, perciò, con tutta la famiglia di paese in paese rispondendo alle esigenze di produzione economica e di vita civile della nostra provincia.
A questo proposito ricordo, e il particolare mi è nitido nella memoria, episodi dei primi anni Cinquanta del secolo scorso: durante quegli inverni –più freddi e nevosi degli attuali- capitava spesso che nelle giornate e nottate di tempesta di pioggia, di vento, di neve, il servizio della corrente elettrica s’interrompesse nei paesi a causa della caduta dei fili che erano sorretti da pali fragili. In quei casi gli elettricisti, che prestavano servizio ognuno nei loro paesi, si spostavano da Bagnoli, da Montella, da Nusco, da Cassano, da Ponteromito, per convergere verso un luogo centralizzato, ed ognuno doveva seguire la sua linea e verificare l’integrità dei manufatti. E mio padre e mio nonno mi raccontavano delle faticose e interminabili camminate nella neve e nel fango. Si sa, i ricordi legati al luogo dove si è nati e da cui poi ci si è allontanati sono dei ricordi d’infanzia: il ritorno a cui aspiriamo è un ritorno spaziale e insieme un ricordo temporale; il primo può essere soddisfatto –anche solo per qualche giorno-, il secondo deve essere affidato soltanto all’intensità nostalgica della memoria. Nostalgia generata da ciò che si è perduto e non si riavrà mai più, da ciò che si è riavuto ma non sarà mai più lo stesso, da ciò che non si è avuto mai e che si continuerà a sognare. Però io ricordo bene la serietà e la precisione con le quali gli operai e gli artigiani delle tante botteghe di Bagnoli lavoravano, l’attenzione puntigliosa alla buona riuscita del proprio lavoro, la soddisfazione per un’opera ben fatta. Il filosofo greco Anassagora scriveva che l’uomo pensa perché ha le mani: arti che articolano il mondo. Solo nei primi anni Sessanta, con la nazionalizzazione delle Società elettriche regionali e con la nascita dell’Enel, il servizio fu riorganizzato e gli elettricisti lasciarono i singoli paesi per raggrupparsi –da noi- a Montella e lavorare stabilmente in squadra.
Per il resto la vita di mio padre si è svolta secondo coordinate tradizionali. Un amore, profondo e pudico, per sua moglie, cementato lungo 75 anni di matrimonio (dal 1937 al 2012, anno della morte di mamma). Un’educazione severa e attenta dei quattro figli (portati tutti al diploma e alla laurea), costruita con sacrifici, rinunce e risparmio, su un modello virtuoso comune a tante famiglie bagnolesi e italiane. L’amicizia e l’attenzione per il prossimo, testimoniato dall’affetto di tanti compaesani. E, infine, il rispetto per le idee e le scelte dei suoi figli: lui, cattolico tradizionalista, di fede politica democristiana, non si oppose quando io e mio fratello Antonio ci orientammo –nella fine degli anni Sessanta- verso un orizzonte marxista di interpretazione della storia e della realtà e l’adesione al PCI. Ci ha fatto, allora e insieme a mia madre, il più bel regalo: hanno creduto in noi, si sono fidati di noi. Bonariamente e realisticamente, però, i nostri genitori ci ammonivano sull’astrattezza dei sogni e delle utopie e sulla necessità dei passi concreti, graduali, insufficienti forse nell’immediato ma che –messi uno dopo l’altro- portano a migliorare la società esistente. Una lezione utilissima oggi, mi sembra, in questo mondo burrascoso e inquieto, anche se persino qualche grande poeta avverte che il passato è una bolla di sapone che si dissolve nell’infinita vanità del tutto.
Gennaro Cucciniello