La Chiesa di Mussolini

La Chiesa di Mussolini

In un saggio il rapporto contraddittorio tra cattolici e fascismo.

 

“L’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”, “Un uomo formidabile”, o piuttosto “un neoconvertito che ha lo zelo dei novizi che lo spinge ad andare avanti”, uno che imita la Germania introducendo “uno spirito di separatismo, di nazionalismo esagerato, che appunto perché non cristiano, non religioso, finisce col non essere neppure umano”. Giudizi lapidari e di segno opposto che papa Pio XI definisce per Mussolini in momenti diversi. Attrazione e repulsione tra la Chiesa cattolica e il regime fascista, una dinamica complessa che riguarda i rapporti dei vertici, i quadri dirigenti dell’una e dell’altro. Un’ambivalenza insopprimibile tra le convenienze di un incontro reciproco e le distanze tra culture e valori di riferimento. Interrogativi che hanno segnato la riflessione storiografica coinvolgendo tanto l’analisi sul fascismo e le sue trasformazioni quanto i percorsi della presenza religiosa nella prima metà del secolo scorso.

Quasi vent’anni fa Pietro Scoppola scriveva con fine acutezza: “Il fascismo si presentava come un possibile e insperato alleato per la restaurazione cristiana della società italiana: il punto d’incontro poteva essere quello della costruzione di uno Stato cattolico nazionale”. Un punto d’incontro controverso, in apparente equilibrio tra tensioni e contraddizioni, sottoposto alle sollecitazioni e ai disegni politici dei protagonisti. Un volume fresco di stampa riprende i temi essenziali di tale dialettica in riferimento alle stagioni di un dibattito vivace e profondo (basti, oltre al nome di Scoppola, il riferimento alle pagine di Emilio Gentile o Renato Moro) nel tentativo di semplificare i tratti costitutivi della contesa, in particolare nella fase di avvio (V. De Cesaris, “Seduzione fascista. La Chiesa cattolica e Mussolini. 1919-1923”, San Paolo, 2020). Il perno dell’analisi dell’autore richiama il ruolo dei cattolici nella lunga costruzione della nazione italiana: quale il contributo, la spinta, la mentalità prevalente dei tanti che aderiscono al fascismo con convinzione e partecipazione? I primi anni sono cruciali: la crisi del primo dopoguerra apre spazi e prospettive inedite. In tanti pensano di trarre vantaggi da uno scontro apparente che potrebbe sfociare in una forma di conciliazione. Due gli ambiti di riferimento che attraversano le pagine del volume: il percorso delle istituzioni fino alle firme del 1929 (concordato e patti lateranensi) e i risvolti di ambito culturale e ideologico dove emergono convergenze profonde e distanze invalicabili che attraversano la società italiana. Sono i tratti della questione cruciale del consenso a Mussolini e alle sue scelte “nel difficile tentativo di quantificare il grado di coinvolgimento del cattolicesimo italiano con il regime fascista”. Ogni spiegazione monocausale rischia di essere semplicistica o fuorviante: il matrimonio di convenienza, i richiami alla grammatica comune della romanità, le politiche di potenza, la dialettica tra la Roma di Cesare e quella di Pietro.

Meglio cercare al di là della superficie di analisi stratificate, “non esiste il bandolo della matassa ma la complessità della storia”: dove finisce il confronto sui principi e ha inizio la ricerca di interessi concreti, posizioni di prestigio o privilegio? Quale il peso della cultura cattolica nelle traiettorie di adesione al fascismo soprattutto tra le giovani generazioni? In questo quadro sono centrali (non sempre valorizzate nelle argomentazioni dell’autore) i temi della formazione, dell’educazione alla guerra e alla mobilitazione, di una vera e propria strategia per la conquista di mentalità e coscienze.

I primi anni sono quelli della scoperta, quando fascismo e Chiesa cattolica erano due mondi distanti e sconosciuti: “il primo neonato contava pochi aderenti e si confondeva con altri gruppi di quel tormentato dopoguerra, aveva caratteri sovversivi e parlava un linguaggio rivoluzionario e anticlericale”, “la seconda era guidata da un papa che aveva condannato con forza la guerra e sperava di risolvere l’annosa questione romana, grazie a un nuovo impegno dei cattolici in politica” (la creazione del Partito Popolare). Un fossato incolmabile o, al contrario una contrapposizione solo apparente? Una sfida o una subdola convergenza? Prima della virata filocattolica di Mussolini le differenze prevalgono sulle analogie: il fascismo esalta la guerra mentre i vertici della Chiesa la deplorano, “il primo ostenta una natura violenta, la seconda invoca ordine e pacificazione”. Due tempi distinti: quello della centralità della nazione “vero terreno d’incontro tra due realtà così distanti”: la nazionalizzazione possibile dei cattolici seduce e convince, anche quando ciò che divide prevale su ciò che potrebbe unire i due mondi. E un secondo passaggio, quando la rottura del 1938 fa sì che il fascismo “tiri dritto sulla questione razziale” senza tener conto di opposizioni o perplessità.

                                                                  Umberto  Gentiloni

 

L’articolo è pubblicato nel “Robinson di Repubblica” del 7 novembre 2020, alle pp. 10-11.