La culla che non bruciò a Ercolano nell’eruzione del Vesuvio

La culla che non bruciò a Ercolano

Un tesoro in legno è sopravvissuto alla furia del Vesuvio

 

Chissà quanti neonati si saranno addormentati, negli anni che precedettero l’eruzione del 79 d.C., nella culla ritrovata nella Casa di Marcus Pilius Primigenius Granianus a Ercolano, attribuita al proprietario grazie al rinvenimento di un sigillo in bronzo. La fantasia può galoppare, la culla assomiglia a tutte le culle del mondo ma ci arriva intatta nella sua struttura lignea, anche dopo la combustione, avvenuta poco meno di duemila anni fa. E’ uno dei pezzi più significativi ed evocativi della vita reale dei romani che comporranno la grande attesa mostra, “Materia. Il legno che non bruciò a Ercolano”, che aprirà a fine anno nella Reggia di Portici, curata da Francesco Sirano, dal 2017 direttore del Parco archeologico di Ercolano, e da Stefania Siano, archeologa funzionaria del Parco.

Siamo tutti abituati, pensando a Pompei ed Ercolano, a ritrovare nella memoria scavi, affreschi, strade, suppellettili in metallo. Ma i legno, nell’immaginario collettivo, è una novità assoluta. Anche il luogo è significativo: la Reggia di Portici, residenza estiva della famiglia reale borbonica e sede del Museum Hercolanense, riproposizione multimediale dell’antico museo ercolanese che ospitava le prime raccolte di antichità provenienti dagli scavi di Ercolano, Pompei e Stabia.

A Ercolano, spiegano i testi del progetto, la coltre piroclastica di circa 20 metri inglobò anche utensili, elementi architettonici, arredi –in legno- che si sono carbonizzati (e nemmeno tutti, in alcuni casi il legno è ancora vivo) però non bruciati, lasciando intatta la struttura. Ed ecco circa 120 oggetti –serramenti, porte, finestre, armadi, tabernacoli domestici, letti e tavolini di legno… Il frutto di un artigianato sapiente, ricco di gusto estetico, attento ai particolari (alcuni piedi di mobili non sono in un protettivo metallo ma in legno, lavorati al tornio). Diversi pezzi sono unici al mondo, come il tetto e il controsoffitto a cassettoni a losanghe del salone dei marmi della Casa del Rilievo di Telefo. La tecnica è quella cosiddetta a lacunari, cavità regolari ricavate in un soffitto (innumerevoli esempi di questa eccellenza ci arrivano dal Rinascimento). Qui il legno è ancora vivo, in un eccellente stato di conservazione, che permette di apprezzare la struttura, la scelta geometrica dei motivi, le tecniche di incastro e le tante tracce di pigmento colorato (blu, rosso, verde, bianco, lamine d’oro).

Siamo, spiegano i testi, nella piena età augustea e i cassettoni ci riportano alle mode del tempo, alla tipologia di arredamento delle case dell’epoca. Così come lo spiegano i mobili rivestiti in avorio della Casa dei Papiri. Tutto questo è il frutto di intere generazioni di archeologi, di tecnici degli scavi, di restauratori e conservatori: impossibile fare nomi, tutto cominciò con i mitici scavi di Amedeo Maiuri, vero scopritore di Ercolano, partiti nel 1927. Da allora la macchina archeologica non si è mai fermata.

Ammette il direttore e curatore Francesco Sirano: “Io stesso, quando arrivai nel 2017 alla direzione di Ercolano, e vidi i depositi con i legni, rimasi allibito. Ignoravo la ricchezza di questi reperti che, con il loro potere evocativo ma anche con la loro concretezza, trasformano una rovina in un luogo vissuto e familiare. La mostra punterà ovviamente sulla assoluta serietà scientifica della ricerca, ma anche sull’aspetto emotivo e poetico che ci arriva dalla ricostruzione della vita quotidiana dei romani e del loro gusto estetico. Nemmeno nelle case più piccole, ricavate una nell’altra come avviene anche nella Napoli di oggi, si rinunciava al bello, alla cura per il particolare, al gusto del dettaglio”.

Nella mostra c’è infine un capitolo dedicato alla marineria. Ercolano si affacciava sul mare, una condizione unica per l’archeologia romana. Negli anni ’80 e ’90 del Novecento si scavò sul fronte mare: ecco imbarcazioni, oggetti legati alla pesca, addirittura cordami, pezzi di cuoio, sughero, in eccellente stato di conservazione. La mostra conta sulla tradizionale collaborazione del Packard Humanities Institute ma anche sull’intesa con la Città Metropolitana di Napoli, il dipartimento di Agraria e il Musa dell’Università Federico II (una sezione condurrà i visitatori in un bosco virtuale per spiegare l’importanza del legno come elemento naturale che diventa protagonista della vita quotidiana dell’uomo). Lo sponsor è Hebanon Fratelli Basile 1830, che esporrà attrezzi di lavoro sul legno dell’Ottocento, testimonianze di una continuità artigianale che si ritrova negli oggetti di Ercolano.

 

                                                                  Paolo Conti

L’articolo è pubblicato alle pp. 12-13 de “La Lettura”, supplemento culturale del Corriere della Sera del 2 ottobre 2022