Il gesto medievale che da Cicerone arriva a Vittorio De Sica.
Jean-Claude Schmitt racconta la trasformazione dei movimenti del corpo dai romani (l’Oratore, soprattutto) al XIII secolo (per esempio i timpani delle abbazie romaniche e gotiche).
Ne “La Lettura” del 25 luglio 2021, a pag. 36, è pubblicato questo interessante articolo di Arturo Carlo Quintavalle. Lo Schmitt è storico e medievista, con studi sulla storia delle immagini e delle rappresentazioni nella civiltà occidentale medievale.
Gennaro Cucciniello
Si intitola “Il processo di Frine”, episodio di “Altri tempi”, film con regia di Alessandro Blasetti (1952). Vittorio De Sica difende Gina Lollobrigida accusata di avere avvelenato la suocera e, nel segno della bellezza, ne ottiene l’assoluzione. L’attore lo fa con una retorica fatta di gesti, di mimica, di accenti, messa in scena che è insieme teatro. Un libro appena pubblicato contribuisce a chiarire le lontane origini di quel racconto per figure e parole: “Il gesto nel Medio Evo” di Jean-Claude Schmitt (Laterza) analizza la trasformazione del gesto dal tempo romano al XIII secolo e ci fa capire quanto debba il nostro comportamento, il nostro sistema espressivo, a quella storia. Perché il gesto è, prima di tutto, “espressione dei moti interni dell’anima, dei sentimenti, della vita morale dell’individuo”, ma è anche comunicazione a ogni livello, gesto che assume valori simbolici ad esempio nei contesti “rituali, magici, sacramentali”.
Da una parte dunque sta il gestus, che è l’atteggiamento, il moto del corpo che rappresenta una narrazione complessa, dall’altra sta il termine gesta che è la dimensione storica degli eventi, la vicenda di un individuo che può diventare il racconto di un popolo intero. E poi è significativa un’altra contrapposizione: gestus di fronte a gesticulatio, a gesto scomposto e che solo attraverso le immagini può essere compreso. Lo stesso Schmitt riconosce che la differenza fra i gesti nel Medio Evo si coglie al meglio nei timpani scolpiti dei portali delle chiese romaniche e gotiche, e quindi, per meglio capire, scelgo un monumento francese ben noto, il timpano del portale in facciata dell’abbazia di Santa Fede a Conques, in Occitania, che si data attorno al 1110.
Qui si conservano le reliquie della santa, una fanciulla dodicenne martirizzata nel 303 sotto Diocleziano, alla quale rivolgono le preghiere e consacrano le proprie catene i prigionieri liberati.
Il timpano dell’abbazia rappresenta il Giudizio Universale: al centro il Pantocratore che, nella mandorla con angeli ai quattro lati, compie un gesto duplice, leva la mano destra indicando gli eletti e con la sinistra abbassata e aperta indica i dannati. Così tutto lo spazio è diviso in due grandi campi contrapposti –eletti e dannati, ordine e disordine, espressioni composte e scomposte: gestus appunto e gesticulatio.
Il timpano è diviso in tre campi, tre grandi strisce orizzontali: in alto gli angeli che reggono i simboli del martirio di Cristo e che a sinistra e destra suonano le trombe del giudizio; nella striscia sottostante ecco il Cristo al centro di due mondi contrapposti: alla sua sinistra, ma alla nostra destra, i dannati con le espressioni animalesche dei volti, corpi deformi o capovolti, violentemente torturati dai demoni, alla nostra sinistra una composta processione guidata dalla Madonna con accanto San Pietro, e altre figure compreso Carlo Magno.
La striscia più bassa contrappone ancora una volta ordine e disordine; l’ordine, a sinistra, è scandito dall’architettura, una fronte di una grande chiesa con al centro Abramo e altre figure; dal lato opposto lo sconvolto inferno guidato al centro da un diavolo enorme mentre, al punto di giunzione fra i due mondi, quello dei dannati e quello degli eletti, vediamo, a destra, il Leviatano, l’enorme bocca spalancata pronta a ricevere i dannati, alla sinistra gli eletti accolti da un santo alla porta del Paradiso.
Nel campo sovrastante un angelo con la bilancia pesa le anime e si contrappone a un demone che cerca di sottrargliele. Nei triangoli sopra i beati e i dannati vediamo la resurrezione dalle tombe e alla sinistra una figura allungata, le mani giunte in preghiera, accolta dalla mano di Dio: è Santa Fede distesa in adorazione davanti alle arcate della sua chiesa al cui interno scorgiamo l’altare con sopra il calice e in alto le catene appese, quelle che i prigionieri liberati lasciano come ex voto.
In Occidente, con la dissoluzione dell’Impero romano, scompare la grande tradizione retorica ciceroniana: essa si semplifica e viene ridotta a schema. Certo serve ancora l’actio per persuadere e commuovere, la vox, la voce, l’espressione del viso, vultus, e del gesto, gestus, come suggeriscono “Le nozze della filologia e Mercurio”, la grande compilazione di Marziano Cappella (inizi V secolo), ma il racconto retorico antico si scompone, si trasforma. Resta però la frontalità che vuol dire sacralità e potere, infatti il Cristo di Conques riprende la posizione degli imperatori romani e il suo braccio levato è quello della allocutio, dell’orazione rivolta al pubblico, mentre la mano sinistra abbassata è quella della condanna.
Paradiso è ordine, inferno disordine, gesti e volti composti da una parte e gesti e volti contratti dall’altra. Il medioevo riprende l’antico ma lo trasforma, così il gesto della preghiera, che nell’età paleocristiana era a braccia aperte, si è trasformato: così vediamo Santa Fede, a Conques, pregare a mani giunte, prostrata al suolo, mani giunte che evocano il gesto del vassallo che pone le sue mani in quelle del signore, o del cavaliere in ginocchio che deve essere consacrato. Nel Medioevo la gesticulatio è quella dei demoni, ma anche quella dei giocolieri, jongleurs, degli attori, e fra questi emergeranno lem figure dei trovatori, i narratori della chanson de geste, e saranno loro a raccontare le gesta, le storie, che acquistano nel XII secolo nuova dignità.
Nel “Processo di Frine” i gesti di De Sica, le braccia levate, le torsioni controllate, il volto espressivo propongono un complesso racconto. Di quel gesto oggi, nella politica, non resta nulla: tutti i politici, i moderni oratori ciceroniani, si rappresentano come in un talk televisivo, sanno di esser ripresi a mezzo busto o magari tagliati appena sotto il mento, e controllano le espressioni, dosano le parole. In qualche modo il mondo dei gesti che il Medioevo ci ha trasmesso, il gesto dei dannati, dei mostri, delle figure del negativo continua nei gesti violenti, nelle espressioni esaltate delle serie televisive, a esempio nella gran parte di quelle statunitensi. Moderna rappresentazione dei castighi infernali.
Arturo Carlo Quintavalle