La glaciazione che verrà!

La glaciazione che verrà

 

Nel “Robinson di Repubblica” di domenica 11 marzo 2018, a pag. 21, Roberto Brunelli intervista lo scrittore, giornalista e traduttore Philipp Blom, tedesco di Amburgo e che vive a Vienna. Esperto di illuminismo e di cultura ebraica. Il suo ultimo libro è “Il primo inverno. La piccola era glaciale e l’inizio della modernità europea”, Marsilio, 288 pagine, 18 euro, traduzione di Francesco Peri.

 

Philipp Blom è un uomo che pensa obliquo. Vede l’abbassamento della temperatura di tre o quattro gradi e ne deduce la nascita dell’illuminismo. E non è uno scherzo: è la tesi del suo ultimo libro. Nel quale –attraverso i documenti del tempo, il racconto dei filosofi e dei mercanti, le prime ricerche scientifiche e le analisi di quadri fiamminghi- ci conduce per mano nello strano e affascinante percorso che il Vecchio Continente si trovò a compiere tra il 1570 e il 1700, da una devastante crisi dell’agricoltura al formarsi di un pensiero nuovo in una società nuova. Il punto è capire quali lezioni possiamo trarne per il futuro del pianeta.

I cambiamenti climatici sono sempre associati a catastrofi: non è che magari anche questa volta potrebbero portare a un nuovo illuminismo?

E’ proprio questa la grande domanda. Se il mondo intorno a noi cambia, anche noi cambiamo. Oppure migriamo. I mutamenti legati ai cambiamenti climatici dei nostri giorni non possiamo ancora prevederli nella loro estensione. Però vediamo che immense aree intorno all’Artico si stanno spostando, vediamo sintomi del collasso della Corrente del Golfo, vediamo il ripetersi di disastri naturali. Quel che succederà è prevedibile nell’immediato. Ma a me interessano le conseguenze indirette, di tipo culturale. Tra la fine del Cinquecento e il Settecento vedemmo la trasformazione di una società feudale in una società pre-moderna.

Cosa intende dire?

Non si tratta di fare il profeta, ma oggi come allora il sistema che regola le nostre esistenze è ai limiti. Probabilmente sta entrando in crisi il concetto stesso di crescita infinita, un modello economico inteso come dispiegamento di una forma di potere, che però rischia di provocare danni irreversibili. Dobbiamo cominciare a pensare a cosa fare prima che finisca lo spazio per agire.

Lei sostiene insomma che bisogna imparare dal passato?

La piccola glaciazione fece da catalizzatore. Il primo effetto fu una catastrofica crisi dell’agricoltura in Europa. Quando, per la siccità o il gelo, si vede che le morti per fame triplicano e che aumentano le malattie, quando si vede che l’inflazione cresce perché aumenta il prezzo del grano e che entrano meno tasse nelle casse dei potenti, tutto il sistema si destabilizza. Le prime reazioni sono di tipo religioso: si pensa che Dio non sia più contento di noi, e si cominciano a bruciare le streghe, iniziano le processioni dei penitenti e le rivolte del pane. Ma poi si comprende che queste risposte non portano a nulla, e così qualcuno comincia a tentare un’osservazione empirica della natura. L’altra conseguenza è il commercio internazionale dei cereali: s’inizia a cercare altrove quello che non si trova più a casa, un circuito che va dai Baltici ad Amsterdam all’Italia. Ma i mercati implicano il pragmatismo della tolleranza: non è importante quale sia il tuo Dio, conta se stai alle regole e paghi la merce. In altre parole: cominciano ad emergere gli impulsi per una trasformazione.

Ma in quegli stessi anni si sono avuti anche la riforma luterana, Gutenberg, c’era ancora il Rinascimento…

Certo. Ma mentre il Rinascimento rimane un fenomeno elitario, la rivoluzione luterana porta la cruciale idea che esistono più verità, scatenando una competizione del sapere. Anche l’invenzione della stampa è decisiva: i nuovi metodi che vengono sperimentati per alleviare gli effetti della crisi vengono propagati attraverso i libri.

E la teologia perse il suo primato.

Si spezza il paradigma del dogma. Prenda la scoperta del Nuovo Mondo, di cui nella Bibbia non v’è parola e che insieme al nuovo sapere scientifico mette in crisi il sapere religioso. Ciò si collega al fatto che si fanno strada persone che vivono in città, sanno leggere e scrivere: nasce il ceto medio, insegnanti, scienziati, impiegati, commercianti. Che diffondono idee antiche come la filosofia, come quella per cui il prossimo deve essere uguale a noi e deve avere gli stessi diritti, idee che d’improvviso diventano potenti perché vengono portate avanti da soggetti sociali nuovi. L’illuminismo nascente come punto d’arrivo di una catena di avvenimenti derivati dalle risposte empiriche a una crisi.

Una rivoluzione di pensatori nuovi, Spinoza, Locke, Descartes.

Sì. Vede, Spinoza, come il matematico, teologo e astronomo Pierre Gassendi, o lo scrittore Pierre Bayle, o Giordano Bruno, o Galileo Galilei erano persone che osavano dire cose che nessuno allora osava neanche pensare. Cosa che sarebbe necessaria anche oggi.

 

  Roberto Brunelli                                           Philipp Blom