La globalizzazione dell’Anno Mille
La storica Valerie Hansen colloca tra IX e XIII secolo una vivacità mai vista prima di scambi tra regioni diverse del mondo.
E se tutto fosse cominciato molto prima? Se quella connessione globale di cui facciamo oggi esperienza quotidiana avesse in realtà una storia antica? Come domanda non è esattamente una novità: sono decenni che gli storici si sforzano di cercare nel passato le radici della globalizzazione o, almeno, di cogliere analogie con il presente. Così è andato a finire che la globalizzazione l’hanno trovata un po’ ovunque: nelle dinamiche commerciali e politiche dei grandi imperi asiatici, nelle conquiste marittime del XVI secolo, o addirittura nell’espansione commerciale che spinse il mondo latino verso Oriente attorno al XIII secolo. Ma, al di là di alcuni dubbi riguardo al possibile uso anacronistico di tale termine, questi studi stanno mostrando come il passato, anche quello più lontano, abbia vissuto forme di connessione assai più ampie e solide rispetto a quanto potevamo supporre alcuni decenni fa. E se questo è vero, allora è interessante fare i conti con il nuovo libro di Valerie Hansen, storica della Cina presso l’Università di Yale, che propone di spostare l’inizio della globalizzazione all’anno Mille, “La scoperta del mondo. L’anno Mille e l’inizio della globalizzazione” (Mondadori). E avendo avuto la possibilità di ragionarne con lei, la prima domanda parte proprio da qui: dal problema di un concetto e di una storia.
Ammetto una mia difficoltà riguardo all’uso del termine “globalizzazione” per un periodo antico come l’XI secolo. Può darci una definizione che aiuti i lettori a comprendere come l’ha inteso nel suo libro?
Gli storici vedono spesso due fasi della globalizzazione. La seconda fase, cominciata attorno agli anni Settanta o Ottanta del XX secolo, ha visto una concreta compressione del tempo e dello spazio, dovuta all’aumento dei voli intercontinentali, a un massiccio spostamento di beni e persone e al miglioramento delle telecomunicazioni. Questo è il mondo in cui oggi viviamo: in cui viaggiare è normale (almeno prima del Covid) e in cui le nostre case sono colme di beni prodotti in Paesi stranieri. Ma c’è una fase precedente, in cui la gente che viveva in differenti regioni del globo era comunque influenzata da eventi che avvenivano in altre regioni. Molti storici fanno cominciare tale fase con le esplorazioni europee di Colombo, Magellano, Vespucci e altri. Lo scopo del mio libro è portare più indietro tale data, sino al Mille, per vedere quanto importanti furono i viaggi di altri esploratori –vichinghi, malesi-polinesiani, navigatori arabi e cinesi- per i successivi viaggi europei. I vichinghi attraversarono il Nord Atlantico, i malesi-polinesiani si stabilirono in Madagascar e in tutte le isole del Pacifico, mentre navigatori arabi e cinesi salpavano da Bassora (il porto più vicino a Baghdad) verso i porti cinesi di Quanzhou e Guangzhou.
Lei colloca la nascita di questa forma di globalizzazione in un momento preciso, attorno all’anno Mille. Si evince dal libro che si sta riferendo a un periodo sensibilmente più ampio, tra il IX e l’XI secolo. Può aiutarci a capire meglio? In quale senso le pare di cogliere una connessione globale a quel tempo?
Sì, è vero: non tutto accade nell’anno Mille. E in effetti nel mio libro includo fenomeni che si sviluppano tra 800 e 1200 (ciò che a lezione chiamo “il lungo Anno Mille”). Questi anni videro un incremento dei legami tra regioni differenti; beni, uomini e idee giunsero dove non erano mai arrivati. Vi furono persone che viaggiarono volontariamente, altre che invece lo fecero perché ridotte in schiavitù, rivendute in mercati lontani, come Costantinopoli o Baghdad. Ma alcuni sviluppi si raggruppano considerevolmente attorno all’anno Mille: ad esempio le conversioni di molti sovrani, oppure lo sbarco dei Vichinghi a Terranova.
La sua analisi include l’intero pianeta, mostrando l’estrema complessità delle reti di traffico del tempo. Ora, uno dei prerequisiti della storia globale è l’attenzione alle connessioni e alla loro comparazione; oltre, soprattutto, al rifiuto metodologico di privilegiare un centro particolare da cui osservare il fenomeno. Il suo libro mostra perfettamente tutto questo, ma se dovesse indicare un punto del globo determinante in quel periodo, quale sceglierebbe?
Ah! Una domanda trabocchetto! Il mio libro suggerisce che la Cina fosse il luogo più globalizzato del mondo in quel momento, ma penso che la risposta migliore non sia un singolo nodo, ma un’intera rotta commerciale: da Bassora all’Asia meridionale e verso il Sud-est asiatico, attraverso lo stretto di Malacca, sino a Guangzhou e Quanzhou sulla costa sud-orientale dell’Asia. Inoltre, c’era una rotta da Bassora verso sud lungo la costa dell’Africa orientale, ed era questa la rotta più percorsa al mondo prima del 1492. Non bisogna mai dimenticare che il mondo dell’Oceano Indiano si estendeva ben oltre l’Oceano Indiano.
Lei è un’importante storica del mondo cinese. E in anni recenti sono stati spesso gli storici della Cina a offrire importanti prospettive di storia globale (penso ad esempio a Timothy Brook e al suo “Il cappello di Vermeer”). Ritiene che la Cina possa essere un punto di partenza privilegiato per ripensare oggi il passato e guardare alla storia del mondo?
Sì, penso che la ricerca nel suo insieme dovrebbe fare uno sforzo nel guardare oltre l’Europa per capire la storia globale. La Cina, con le sue fonti e i suoi documenti estremamente dettagliati, è il pinto di partenza ovvio. Ma una delle cose che più mi sono piaciute nello scrivere questo libro è stato imparare dagli archeologi quanto sappiamo ora delle Americhe, dell’Africa sub sahariana e di altre parti del mondo spesso meno studiate.
Ecco, questo suo accenno alle Americhe porta una riflessione finale riguardo all’Atlantico prima di Colombo. In questi ultimi anni, i problemi storici riguardanti i nativi e la conquista del Nuovo Mondo hanno preso una crescente dimensione politica. Ora, come ormai sappiamo bene, la storia dei vichinghi in America è durata solo alcuni secoli e non sembra avere lasciato particolari tracce. Pensa che questa sua prospettiva medievale possa fornire strumenti utili per una diversa riflessione politica e ideologica sull’argomento?
L’arrivo di Colombo nelle Americhe ha avuto conseguenze innegabili e di vasta portata: la morte di massa dei popoli indigeni, l’insediamento da parte degli europei e degli africani (spesso schiavizzati), l’ascesa del commercio e lo scambio di molteplici piante e animali tra i continenti (il cosiddetto scambio colombiano). I viaggi dei vichinghi intorno al Mille non ebbero effetti comparabili. Ho cercato a lungo le prove di malattie derivanti dai loro contatti e non ho trovato nulla nelle fonti scritte; forse l’analisi genomica di antichi cadaveri produrrà nuove scoperte in futuro. Ma è l’insieme dei fatti globali che conta. I vichinghi si stabilirono nell’Europa orientale, mescolandosi con le popolazioni locali e fondando la monarchia della Rus’ di Kiev. Nello stesso momento avvenivano nuovi insediamenti malesi-polinesiani; e il commercio lungo la rotta Bassora-Guangzhou era a dir poco florido. Gli storici prestano sempre attenzione agli eventi di maggiore impatto; e in quest’ottica ha perfettamente senso riconoscere gli enormi cambiamenti del 1492 e degli anni successivi. Ma il mio obiettivo nello scrivere questo libro è stato far capire a tutti che la storia non è iniziata con l’arrivo degli europei nelle Americhe, in Africa e in Asia. Ognuno di questi luoghi ha avuto la sua storia prima di allora e dobbiamo sapere che cosa è successo prima del 1500 per potere capire che cosa è successo dopo.
Alessandro Vanoli Valerie Hansen
Ne “La Lettura” del 7 novembre 2021, supplemento culturale del Corriere della Sera, alla pag, 9, è pubblicata questa intervista che Alessandro Vanoli ha fatto allo storica Valerie Hansen.