La libertà senza tempo di Giovanna d’Arco
La Pulzella d’Orléans fu consacrata e poi abbandonata ma il suo mito ha attraversato i secoli. E ci parla ancora oggi.
Giovanna non aveva nemmeno vent’anni, quando fu bruciata sul rogo. Ogni nazione ha una figura mitica: l’Italia ha Garibaldi, la Germania ha Holderlin, la Russia Puskin. Ma non c’è il minimo dubbio che il mito, il mistero, il simbolo della Francia sia Giovanna, impropriamente chiamata Giovanna d’Arco. Non fu consacrata dopo la morte, ma in vita, perché era un mito vivente. Ancora ieri un grande regista danese, Dreyer, le consacrò un capolavoro, che va associato a un altro capolavoro, Dies Irae.
Giovanna aveva tutti gli aspetti della figura mitica. Era una profetessa: tutti, amici e nemici, francesi ed inglesi, lo credevano: ereditava la grande tradizione profetica dell’Antico Testamento, Giuditta, Ester, Debora: gli angeli della corona, che fiorivano nei romanzi cavallereschi, la proteggevano con le loro ali colorate, insieme a Santa Margherita, e soprattutto a Maria Vergine, patrona del regno di Francia, e soltanto del regno di Francia. Giovanna compiva miracoli e per mezzo di essi vinceva le battaglie, da sola, con l’aiuto apparente dell’esercito francese. Ascoltava voci –tra le quali c’era quella di Giovanni Battista; e soprattutto quella di Gesù Cristo, con il quale, come san Francesco, si identificava.
A Giovanna aveva dedicato un libro, anni fa, una storica eccellente, come Régine Pernoud. E più recentemente è uscito presso il Saggiatore un libro bellissimo di una famosa storica francese, Colette Beaune, “Giovanna d’Arco”, (traduzione di Valeria Lucia Gilli, pp. 476, euro 35), che consiglio a tutti gli appassionati di storia, letteratura, e soprattutto di religione e mitologia. La Beaune riunisce il dono dell’analisi, quello della sintesi e una fantasia fiammeggiante, che rispecchia da vicino l’ardore della Pulzella.
I nemici di Giovanna furono moltissimi: in primo luogo gli inglesi, che cercarono di comprarla con i trenta denari di Giuda. Tra i nemici francesi, la città di Parigi e il partito dei Borgognoni: i sapienti dell’università che disprezzavano la sua innocenza e la giudicavano una strega: una delle innumerevoli streghe che accesero la fantasia del Medioevo. L’accusarono di essere una bestemmiatrice –proprio lei, la pura, l’innocente.
Col soccorso di Colette Beaune, possiamo ricostruire i pochi anni della sua vita: nemmeno venti. La nascita è quasi ignota, come quella di Cristo. Nacque nel gennaio 1412 in un piccolo villaggio della Lorena, Domrémy. Il gallo cantò per due ore, annunciando la nascita del Salvatore del Regno. Il silenzio –un silenzio profondissimo- la salutò. Dove c’era Giovanna non c’era chiasso, né rumore, né frastuono, né esibizione: ma un silenzio miracoloso, attraversato soltanto dalle voci misteriose che la visitavano.
All’inizio del 1429, senza dare spiegazioni o giustificazioni, Giovanna lasciò la famiglia. Era povera –come dissero i suoi seguaci- come tutte le persone scelte da Dio. Sopra di lei si stendeva l’Albero delle Fate: un faggio enorme e bellissimo, simile a quelli ricordati dai romanzi cavallereschi.
Chi era, dunque, Giovanna? Viene definita la Pastora, come nell’Antico Testamento: alla fine dei tempi, i pastori, legati ai re e ai poveri, sanno capire e decifrare tutti i segni, annunciando il ritorno del Buon Pastore, Cristo, che porrà termine a ogni tempo. Presto la Pastora diventò la Pulzella, il nome che Giovanna prediligeva. La Pastora Pulzella era una vergine: un corpo sigillato, impenetrabile, al quale avevano accesso solo le misteriosissime Voci. Mai, mai, assolutamente, definì se stessa figlia di Dio: sarebbe stata una menzogna, una esagerazione, una falsificazione, una bestemmia.
I testimoni disegnarono un grandioso ritratto: “La mano sinistra tiene il pomo della spada. Alla sua destra il bastone nero, da Pastora, gettato a terra, si è trasformato in un’alabarda altrettanto nera”. Sotto la lunga veste pastorale –grazie alla voce degli angeli- appaiono dei gambali e delle protezioni vermiglie per i piedi: decorate da speroni dorati. Alla vita un budriere rosso sostiene una spada d’argento con due gigli d’oro e il fodero scarlatto, come nei libri di cavalleria, dove solo i cavalieri hanno diritto agli speroni d’oro: mentre il rosso ardente è insieme il colore del mantello imperiale e del sangue versato per i sacerdoti, le vedove e gli orfani. Una colomba vola sopra lo stendardo.
Sotto questa moltiplicazione di rosso si rivela la Pastora, Giovanna, con semplici capelli castani. Aveva un’inesplicabile macchia rossa dietro l’orecchio, dove si versavano le voci celesti. Non temeva niente Giovanna: né gli inglesi né i dèmoni. Non piangeva mai: o solo quando si confessava o assumeva l’ostia consacrata. Il re Carlo II la fece armare. Senza mettere il piede nella staffa, Giovanna montò in sella e brandì la lancia meglio di un uomo. Era la vexillifera che respingeva i nemici e confondeva i superbi; e assomigliava al Cristo dell’Apocalisse.
Giovanna non era colta: non sapeva il latino, né scrivere: conosceva soltanto la liturgia quotidiana e i romanzi cavallereschi. Ogni tanto pronunciava, o dettava, parole memorabili. Non si sa come, per influenza di Dio o degli angeli o delle voci, a nemmeno vent’anni aveva il talento di una grande guerriera. Si tagliò i capelli. Assunse il volto e gli abiti di un uomo: imparò a montare a cavallo e a maneggiare superbamente la spada e lo stendardo. Era diventata una guerriera. Incontrò il re e i suoi generali; e in poco tempo diventò il comandante in capo dell’esercito francese. Inseguiva grandi mete: cacciare gli inglesi dalla Francia, trasformare il re nell’imperatore della cristianità, riconquistare la Terra Santa, e infine creare un regno perfetto, lungo almeno mille anni. In questo regno nessuno bestemmiava: i poveri erano protetti; e all’ultimo lei sarebbe morta a Gerusalemme, dove era morto Gesù. Il nuovo regno rinunciava a ogni spirito di vendetta: “Possiamo ormai sperare –proclamò- in un mondo diverso, dominato dalla confessione e dall’ostia”.
Proprio per questo –Giovanna pensava- sconfisse gli inglesi. Il mondo nuovo, il regno dell’Apocalisse si avvicinava. Miracoli si moltiplicarono. La speranza era onnipresente. Alle prime vittorie la Francia venne conquistata da una specie di entusiasmo messianico. “Possiamo ormai sperare –ripeté Giovanna- in un mondo diverso, dove tutto sia miracolo”. Qualche volta, non si sa come, si abbandonava a una strana crudeltà, e consegnò Franquet d’Arras al balivo di Senlis, per farlo decapitare. Era la prima, forse l’unica volta, in cui si dimostrò crudele.
Ma i pochi mesi, che gli angeli le avevano concesso, erano ormai alla conclusione. La mattina del 7 maggio 1429 Giovanna venne ferita da una freccia: un arciere nemico la colpì sul cappuccio di velluto rosso e la fece cadere di cavallo. Fu presa prigioniera e chiusa in un castello. L’università di Parigi la giudicò perversa ed eretica. Venne consegnata agli inglesi. Cercò inutilmente di uccidersi, saltando dall’alto del castello di Beaurevoir: forse tentativo di evasione, forse di suicidio. Da Beaurevoir fu portata a Rouen. Le restavano cinque mesi di vita. Rifiutò più volte di prestare giuramento. Venne accusata di aver commesso crimini e delitti.
La Francia, che l’aveva tanto amata, l’abbandonò. Per la ragazza quasi ventenne, per la Pastora, per la Pulzella, tutto era tramontato. Alla fine del maggio 1431, condannata come relapsa e come strega, indossando di nuovo gli abiti maschili, fu bruciata viva sulla piazza di Rouen. In Inghilterra la notizia venne completamente ignorata: soltanto Shakespeare parlò di lei nell’Enrico VI. Rimase il mito che attraversò vittoriosamente i secoli, e il meraviglioso film di Dreyer, che purtroppo nessuno, oggi, osa contemplare ed amare.
Pietro Citati
L’articolo di Pietro Citati è stato pubblicato nel quotidiano “La Repubblica” di venerdì 21 agosto 2020.