La luce di Spinoza e di Vermeer
Il pensiero spinoziano è perfetto per il XXI secolo. Perché riconcilia l’umanità impaurita con la ragione e la natura.
Nel numero dell’”Espresso” del 31 dicembre 2017, a p. 110, nella sua rubrica “Dentro e fuori”, Bernardo Valli concentra la sua attenzione sulla pubblicazione in Francia di un saggio di Frédéric Lenoir sul grande filosofo olandese del ‘600, “Le miracle de Spinoza” (editore Fayard).
E’ indimenticabile la presa di posizione di Spinoza sulla libertà di pensiero e di parola nel Seicento, secolo fanatico e intollerante: “Se nessuno può cedere la propria libertà di giudicare e di pensare ciò che vuole, ma anzi ciascuno per sommo diritto di natura è signore dei propri pensieri: ne segue che, in una Repubblica, mai può essere tentato, se non con insuccesso oltremodo infelice, che gli uomini, quantunque pensino in maniera diversa e contraria, niente tuttavia dicano se non entro i termini prescritti dalle somme podestà; perché nemmeno i più dotti, per non parlare della plebe, sanno tacere (…) Sarà, perciò, imperio violentissimo quello in cui sia negata a ciascuno la libertà di parlare e di insegnare ciò che pensa, e imperio moderato, invece, quello dove a ciascuno questa stessa libertà sia concessa (…) E’ secondo diritto, quindi, che ciascuno rinunci ad agire per propria volontà, ma non è secondo diritto ch’egli rinunci a pensare e a giudicare a proprio talento. E perciò, salvo il diritto delle somme podestà, nessuno può di certo agire contro i loro decreti, ma ha del tutto diritto di pensare, di giudicare e di conseguenza anche di parlare, purché semplicemente parli o insegni soltanto e difenda questo suo diritto con la sola ragione, e non già con dolo, ira, odio, né per desiderio di introdurre nello Stato novità in forza del suo volere” (“Trattato teologico-politico”, 1670, cap. 20).
Gennaro Cucciniello
Nel 1632 sono nati, a meno di un mese di intervallo, un filosofo e un pittore: Baruch Spinoza e Jan Vermeer. Benché abbiano vissuto a qualche chilometro di distanza, nelle Province Unite, Baruch e Jan non si sono mai incontrati. Da vivi hanno conosciuto entrambi una certa notorietà, non tale comunque da compensare le tante avversità che hanno pesato sulle loro esistenze fino alla morte. E la morte li ha raggiunti quasi alla stessa età, poveri e indebitati: Baruch a quarantaquattro anni, Jan a quarantatre. Due vite brevi ci hanno lasciato eredità inestinguibili.
Le loro opere hanno in comune la luce. La qualità della luce nei quadri di Vermeer rivela una meditazione calma e assorta sulla normale vita quotidiana. Le luminose dimostrazioni di Spinoza ci fanno guardare l’uomo e il mondo in modo diverso. Ad accostare le figure del pittore e del filosofo è Frédéric Lenoir in “Le miracle Spinoza” (editore Fayard), che campeggia in questa fine d’anno nelle librerie parigine. Nessun filosofo è stato tanto insultato e odiato come Spinoza, accusato per secoli di “ateismo, materialismo, immoralità”. E poi invece esaltato, come una terra promessa appena scoperta: Goethe si è dichiarato suo discepolo e ammiratore incondizionato; Einstein lo ha definito un prolungamento metafisico della sua rivoluzione fisica; Flaubert si è detto affascinato dall’uomo, dal suo cervello, dal suo spirito, dalla sua scienza; Nietzsche ha scritto: “Ho un precursore e quale precursore!”. Sarebbe ingenuo prolungare le citazioni. I saggi, le biografie, le antologie dedicate a Spinoza non si contano. Sono un fiume in piena. Ricordo il volume dei Meridiani, nella collezione Classici dello Spirito (2007), a cura e con un limpido saggio introduttivo di Filippo Mignini. E’ una preziosa guida: comprende le opere di Spinoza, accompagnate da note e analisi che appagano le curiosità sul personaggio e sul filosofo.
Di nuovo c’è che trecentoquarant’anni dopo la morte Spinoza ci appare come il filosofo del XXI secolo. Come l’armonia rivelata dalla luce nelle tele di Vermeer, il suo pensiero ha un effetto distensivo. L’uomo d’oggi rischia di annegare nel negativo e ha bisogno di un pensiero positivo. Un pensiero capace di riconciliarlo con la Natura. E la Natura per Spinoza è l’insieme di tutto ciò che esiste, e in cui è compreso il Dio immanente. Cosmico. Per questo Frédéric Lenoir e tanti altri pensano di aver trovato un amico nel filosofo del Seicento.
Per Spinoza il reale, dalle remote galassie al cuore umano, è retto da leggi immutabili che spiegano tutti i fenomeni. L’uomo è una parte della natura e ubbidisce a quelle leggi universali. La ragione gli consente però di capire i meccanismi che le determinano: ed è come una liberazione fondata sull’osservazione di noi stessi, delle nostre emozioni, delle nostre passioni, dei nostri desideri, del nostro corpo. Per Spinoza nulla è irrazionale. Se nel nostro comportamento c’è qualcosa che appare tale, bisogna scoprirne le cause. La gelosia o la collera possono essere spiegate logicamente come l’eruzione di un vulcano. “Non deridere, non lamentarsi, non detestare, ma capire”. Questa è la linea filosofica spinoziana: piuttosto che abbandonarsi alle emozioni, cerchiamo di comprendere gli avvenimenti che le hanno provocate, al fine di evitare i giudizi morali, i sarcasmi, le proteste, l’odio o la collera. Così si arriva a rivolgere uno sguardo razionale, placato e dunque giusto, su tutte le situazioni. Pur non essendo favorevole alle religioni, Spinoza non nasconde a più riprese la sua ammirazione per Cristo che ripeteva “non giudicate”. Vincere il male identificando e annullando le cause gli sembra più utile che indignarsi, lamentarsi, detestare e condannare. Ha abbastanza fiducia nella forza della vita per denunciare tutti i fantasmi negativi che l’affliggono.
Lenoir si sente amico del filosofo la cui gloria risiede nella razionale innocenza del pensiero, espresso con rigore matematico. Amico non solo del filosofo, ma anche dell’uomo, asciutto, fragile, viso ovale e bruno, occhi neri accesi, la cui dignità nella pratica quotidiana rispecchiava la vita disegnata nelle opere.
Bernardo Valli