La notte del Getsemani
Il trauma del tradimento
Nella notte del Getsemani Gesù si confronta con tre esperienze radicali: quella del tradimento, quella dell’angoscia di fronte alla propria morte e, infine, quella della solitudine e della preghiera.
La notte del Getsemani appare come la notte del tradimento. Le figure che lo incarnano sono notoriamente due, apparentemente lontane e contrapposte. Si tratta delle figure di Giuda e di Pietro. Cosa li unisce e cosa li divide? Li unisce, innanzitutto, il fatto che entrambi fanno parte dei dodici discepoli di Gesù. Pietro e Giuda sono tra i prescelti. Sono due tra i suoi allievi più vicini, i suoi apostoli, i suoi compagni di strada. Giuda l’Iscariota non meno di Pietro. Sono tra i più prossimi a Gesù. Figure dell’amico, del fratello, del discepolo. Il che significa che la più radicale esperienza del tradimento non viene mai dallo sconosciuto, ma da chi ci è prossimo –dal più prossimo-, da colui nel quale riponevamo la nostra piena fiducia.
Il tradimento dello sconosciuto può avere solamente la natura dell’inganno. Ingannare non implica alcun amore, alcuna vicinanza, alcuna prossimità. E’ un’astuzia solo cinica. Colui che ordisce l’inganno non ha alcun vincolo affettivo con chi inganna. Il suo gesto risponde solo ed esclusivamente a un suo interesse personale. Nessun patto simbolico deve essere infranto, nessun amore offeso. L’artefice dell’inganno opera lucidamente, senza passione, senza nessun ostacolo affettivo perché ai suoi occhi l’ingannato non ha alcun valore.
Il vero tradimento è solo verso il più prossimo –è tradimento dell’amico, del fratello, dell’amato, del maestro-, verso colui al quale siamo legati da un patto fondato sulla parola: “tu sei la mia donna”, “tu sei il mio maestro”, “tu sei il mio amico”. Il vero tradimento, diversamente dall’inganno, sfalda sempre un patto simbolico fondato sulla legge della parola. Per questa ragione il tradimento ha sempre la natura del trauma. Non è mai lo sconosciuto a tradire perché colui che tradisce deve sempre avere una particolare intimità con il tradito; il traditore non è mai l’estraneo, ma, come insegna Gesù, colui che mette la mano nel piatto dove mangiamo. Non esiste tradimento se non esiste prossimità tra il traditore e il tradito. Non esiste un vero tradimento che non sia il tradimento del più prossimo: dell’allievo verso il suo maestro o del maestro verso il suo allievo, del figlio verso il padre o del padre verso il figlio, dell’amato verso l’amata o dell’amata verso l’amato. Si può insomma tradire solo chi ha veramente riposto in noi la sua fiducia, solo chi ci ha riconosciuto come essenziale per la sua vita: il proprio maestro, il proprio amico, la propria donna, il proprio uomo.
Si tratta, dice Gesù, di uno dei dodici perché proprio “uno di voi mi tradirà” (Gv, 13, 21). Non sono i sacerdoti del tempio che lo tradiscono ma sono gli amici, i compagni di viaggio, i suoi più cari allievi, i più prossimi. Gesù vive quello che spesso vive un maestro: coloro che lo hanno amato gli girano le spalle, lo abbandonano proprio nel momento del bisogno, nel momento in cui la sua gloria si è appannata, in cui il suo nome –il nome del maestro- è divenuto uno scandalo.
Massimo Recalcati
Il testo è tratto dal saggio, “La notte del Getsemani”, Einaudi, pp. 27-29