La spada e la legge di Carlo Magno
Un signore della guerra, ma anche un amministratore saggio della giustizia. Janet Nelson offre un ritratto poliedrico del sovrano franco, i cui successi furono favoriti anche da un lungo periodo di clima mite.
Nel supplemento “La Lettura” del “Corriere della Sera” di domenica 21 marzo 2021, alla pag. 32, è pubblicato questo articolo di analisi dello storico Amedeo Feniello.
Quanti Carlo Magno sono esistiti? Il padre dell’Europa, il sovrano nazionale dei Franchi, il conquistatore, l’imperatore cordiale e saggio amministratore, capace di orientare la sua politica da un capo all’altro del mondo conosciuto, tessitore di relazioni con Bagdad e Costantinopoli… e così via, nella ridda delle interpretazioni. Perché Carlo Magno, vissuto tra il 748 e l’814, è stato davvero, e resta, un mito assoluto nella storia europea, che la storiografia di volta in volta ha rappresentato in mille maniere tutte ineccepibili e, spesso, tanto diverse. E’ sull’aspetto della diversità e della distanza antropologica da noi che pone l’accento Janet L. Nelson (1942) in una nuova biografia dedicata al re franco, “Carlo Magno” (Mondadori).
Un racconto difficile. Che nasce dalla consapevolezza, banale, di quanto sia complicato scrivere una biografia di Carlo “nel senso moderno”, alla luce del fatto che “non è arrivata sino a noi una sola registrazione delle sue parole, né delle sue donne, né dei suoi figli”. Bisogna seguire allora la falsariga delle tante storie celebrative, apparse nel corso dei secoli, a partire dalla prima: la biografia di Eginardo, scritta circa 15 anni dopo la sua morte, sul modello delle “Vite dei Cesari” di Svetonio. Un’opera che, per l’autore, doveva rappresentare, per le generazioni future di amministratori e funzionari dell’impero, un riferimento eccellente, “un messaggio per la vita pubblica nel presente”. Opera presto considerata “un perfetto modello di biografia di sovrano, uno specchio per i prìncipi e i loro consiglieri”. Che, scritta in latino, fu letta, replicata, tradotta in lingue volgari e che, tuttavia, oggi viene recepita freddamente dagli storici, che le rimproverano i deliberati silenzi o lo schema troppo attento alla vita pubblica e alle guerre. Critiche forse esagerate, in quanto, come si sa, ogni epoca risponde alle domande del proprio tempo e racconta le storie più consone ad esso. Ma di Carlo non parlano solo le biografie.
Rispetto agli standard altomedievali la mole di testimonianze documentarie è enorme: settemila diplomi sopravvivono (tra cui i celebri Capitolari), in originale o in copie successive. Formano un primo, importante elemento di distinguo rispetto a qualsiasi altro regno occidentale precedente e confermano il buon livello di alfabetizzazione della Corte franca: “Uno degli aspetti più importanti di quello che gli storici moderni definiscono Rinascimento carolingio”. Oppure si sono conservatre tante lettere, come quelle dello studioso più amato da Carlo, Alcuino di York (735-804), l’animatore della Schola palatina; e poi ancora annali, cronache, poemi, opere aneddotiche, tra cui le “Gesta Karoli Magni” del monaco Notker del monastero di San Gallo.
Che cosa appare da esse? A sentire l’autrice (docente emerita di Storia medievale al King’s College di Londra), il profilo di un uomo dal carattere poliedrico, la cui vita fu stimolata da un’instancabile energia fisica e da un altrettanto inestinguibile curiosità intellettuale. Un signore della guerra che conquistò un impero dai confini giganteschi –che si stendeva dai Pirenei fino all’Italia centro-settentrionale e al cuore della Germania spingendosi fino al Danubio, alla Carinzia, alla Pannonia- ma, al contempo, “un uomo di pace e un giudice in grado di promettere a ciascuno la sua legge e la sua giustizia”. Il difensore, come lo era stato suo padre Pipino il Breve, della Chiesa romana. L’amministratore capace e il rappresentante della fidelitas, del rapporto stringente con il proprio entourage di uomini d’armi, i pares, gli “eguali”, fondato sull’efficace scambio tra servizio militare e “beneficio”. Il costruttore dell’impero, nella sintesi tra cultura romana, franca, cristiana. Infine, un uomo di enorme vitalità: un capofamiglia che ebbe “almeno nove partner sessuali, generò si dice diciannove figli ed ebbe non meno di undici nipoti”, appassionato cacciatore, nuotatore energico ancora a sessant’anni.
Tuttavia, Carlo è, per Nelson, soprattutto il figlio di un momento felice nella lunga stagione dei secoli più duri del Medioevo europeo. Frutto verosimilmente anche delle migliori condizioni climatiche che caratterizzarono l’epoca del suo governo con, tra il 764 e l’823, una “interruzione degli eventi climatici estremi prodotti dalle eruzioni vulcaniche” e l’assenza, nel corso di questi decenni, di inverni particolarmente rigidi e con sole tre grandi carestie (nel 778, nel 792 e nell’805). Un periodo, tutto sommato, “libero da condizionamenti negativi esterni sull’economia”, relativamente fortunato per la popolazione europea. Le testimonianze materiali mettono in luce, sebbene a macchia di leopardo, una ripresa dei commerci, in particolare nelle aree della Gallia a nord della Loira, in Frisia, nell’Italia centrosettentrionale sottratta ai longobardi.
Secondo l’autrice, proprio l’annessione dell’Italia longobarda ebbe per Carlo enormi conseguenze, “in termini di trasferimento di conoscenza e potere”. I longobardi erano, ai suoi occhi, gli eredi diretti di un’Italia in larga misura, se si guarda alla struttura giuridica e nella formazione culturale, ancora romana; e la loro esperienza aveva molto da insegnare ai Franchi. “Carlo e gli uomini che lo servivano impararono dai longobardi come esercitare il potere a livello locale e a distanza”, nella scelta del personale chiave e nella sua gestione, come nella creazione di una rete di comunicazione e di controllo ben funzionante. Esperienza che mise in pratica nella sua razionale opera di riadattamento amministrativo e di supervisione con il gruppo dei missi dominici, gli emissari del sovrano.
Il su regno fu per molti versi bello ma effimero. Nonostante gli sforzi, le riforme, gli interventi, l’attenzione continua della sua corte itinerante allo spazio imperiale, la tempesta cominciò a farsi sentire già nei suoi ultimi anni di vita. Ad ogni buon conto, Nelson evita l’idea che la crisi politica e istituzionale corrispondesse, come è stato spesso sostenuto, al declino fisico dell’imperatore. La simmetria, secondo lei, non regge e, dalle fonti, non sembra apparire alcun segno di deterioramento delle capacità fisiche e mentali di Carlo fino agli ultimi mesi di vita, quando, solo allora, si mostrarono davvero i segni della malattia e della vecchiaia. Dopo la sua morte e il rapido sfaldamento dell’impero, uno spesso strato mitico prese il sopravvento sulla sua figura reale, di uomo pratico. Provvisto di un sufficiente senso dell’umorismo e di una inossidabile energia. Compare una dimensione nuova: dell’imperatore dotato di una decisa e decisiva impronta sacrale, del monarca giusto delle chansons de geste, modello e esempio per i sovrani medievali futuri.
Amedeo Feniello
Bibliografia: Stefan Weinfurter, “Carlo Magno, il barbaro santo”, il Mulino, 2015. Alessandro Barbero, “Carlo Magno. Un padre dell’Europa”, Laterza, 2000. Matthias Becher, “Carlo Magno”, il Mulino, 2000. Franco Cardini, “Carlo Magno, un padre per la patria europea”, Bompiani 2002. D. Hagermann, “Carlo Magno. Il signore dell’Occidente”, Mondadori, 2011. Heinrich Fichtenau, “L’impero carolingio”, Laterza, 1958.