La vera legge dell’amore
La tesi condivisa dai partecipanti al Congresso mondiale sulla famiglia a Verona del 29-31 marzo 2019 è che la famiglia sia un evento della natura. Ma erano naturalmente sterili le matriarche bibliche (Sara, Rebecca, Rachele) e non era affatto naturale, come è noto, Giuseppe, il padre falegname che si prese la responsabilità di crescere il figlio di Dio, Gesù. Il testo biblico indica con forza che il mistero della generazione della vita e della sua accoglienza non può mai essere ridotto materialisticamente alle leggi della natura perché porta con sé quel miracolo della parola senza il quale l’umanizzazione della vita sarebbe semplicemente impossibile.
Quale parola? Quella che davvero feconda la vita rendendola degna di vita, istituendola come vita di un figlio. Quella parola che nomina e riconosce in una vita particolare non la manifestazione anonima della natura, ma una vita umana, vita portata da un nome proprio. L’amore non è mai, infatti, amore generico per la vita, ma è sempre amore di un nome. Senza il miracolo della parola che adotta la vita del figlio non esiste né padre, né madre, non esiste quella responsabilità illimitata che istituisce la genitorialità ben al di là delle leggi della natura.
E’ così difficile da capire? Dovremmo davvero ridurre la forza sublime di questo straordinario gesto di adozione, frutto dell’amore dei Due, ad un mero meccanismo di cellule, ad un ingranaggio anonimo della natura o ad una mera necessità istintuale? Oppure dovremmo davvero pensare che questa responsabilità illimitata sia un privilegio esclusivo dei cosiddetti genitori naturali? Ma non è forse quello della genitorialità un gesto che eccede ogni legge della natura? Non è la forza nuda della parola di Dio –della sua grazia- che guarisce le matriarche dalla sterilità rendendo possibile la filiazione umana della vita? Possiamo davvero pensare –pensano davvero questo i sostenitori della famiglia naturale- che la generazione di un figlio sia un evento della natura. Simile ad una pioggia o ad un filo d’erba?
La vita umana non vive di istinti, ma si nutre della luce della parola. Non è sufficiente uno spermatozoo o un ovulo né per generare davvero un figlio, né per fare un padre o una madre. Vi sono padri e madri naturali che hanno abbandonato i loro figli, che non sono mai diventati genitori, che non hanno alcun interesse per la vita dei figli che hanno naturalmente generato. Vi sono coppie eterosessuali che non hanno nessuna idea di cosa sia l’eteros, il rispetto e l’ammirazione per la differenza dell’altro che la lezione dell’amore esige. L’eterosessualità, diceva Lacan, non è riducibile mai ad un dato dell’anatomia, ma è la postura fondamentale dell’amore: è davvero eterosessuale chi sa amare l’altro nella sua differenza. Può esserlo o non esserlo con le stesse possibilità una lesbica, un omosessuale o un cosiddetto eterosessuale.
E’ così difficile capirlo? Quello che fa davvero la differenza è la legge dell’amore e non la legge della natura. E’ il cuore della predicazione cristiana. Dove questa Legge è operativa c’è rispetto per l’eteros, per la differenza assoluta dell’altro; dove invece questa Legge è assente c’è contesa, rivendicazione, distruzione dell’eteros. Vi sono famiglie che vogliono arrogarsi il diritto esclusivo dell’amore. Vi sono coloro che pensano che l’anonimato della legge della natura garantisca una buona genitorialità. Non si percepisce il carattere rozzamente materialistico di queste posizioni? In natura l’istinto organizza la vita da capo a piedi. Ma vale lo stesso per la vita umana? Esisterebbe un istinto genitoriale? Magari presente nei genitori naturali e assente in quelli adottivi?
Non dovremmo forse imparare a ragionare al contrario? Pensare, per esempio, che tutti i genitori naturali dovrebbero guardare quelli adottivi per imparare cosa significhi donare se stessi in un rapporto senza alcuna continuità biologica, senza rispecchiamento. E’ così difficile capire che c’è padre e c’è madre, che c’è famiglia non perché c’è continuità di sangue o differenza anatomica degli organi genitali dei genitori, ma perché c’è dono, c’è amore, amore per l’eteros del figlio, assunzione di una responsabilità illimitata, esperienza incondizionata dell’accoglienza e della tutela?
Massimo Recalcati
Articolo pubblicato in “Repubblica”, domenica 31 marzo 2019, p. 22