Menzogne e sortilegi dei nuovi cortigiani
Già Platone ammoniva sui rischi della demagogia, ovvero l’adulazione verso il popolo. E Aristotele rifletteva sull’atteggiamento da tenere con chi esagera con gli ossequi. La piaggeria è antica come il mondo. Ma nelle democrazie assume forme inedite e più insidiose.
In questo articolo Paola Zanuttini commenta il saggio di Richard Stengel, già sottosegretario di Stato americano, sulla storia del servilismo in politica e non solo. Il libro si intitola “Il manuale del leccaculo” ed è edito da Fazi, pp. 381, € 14,50, traduzione di Daniele Ballarini. Il testo è stato pubblicato nel “Venerdì di Repubblica” del 6 novembre 2015, alle pp. 16-20.
Ma già nel Settecento un abate italiano, tale Antimo Cesaro, aveva scritto un “Breve trattato sul lecchino”, ora ripubblicato da La nave di Teseo, segno della fortuna secolare di questa antica e praticata arte. Scrive qualcuno che il termine più adatto per chi è solito compiacere il prossimo con arte interessata può essere scelto in una vasta gamma di sinonimi: incensatore, lusingatore, cortigiano, insaponatore, sviolinatore, fino alla più diffusa: leccaculo. Insomma un fantastico bestiario espressivo, un gioioso kamasutra linguistico con cui viene di volta in volta definita la pratica di blandire il prossimo a fini utilitaristici con insinuazioni o scappellate, in pubblico e in privato. Ci domandiamo sempre: si lecca per fare carriera o per contare di più nella battaglia quotidiana della vita? E’ il drammatico groviglione umano. Pensate allo scenario politico italiano di oggi: simulazione, dissimulazione, bugie, proclami farlocchi e sguaiati, mascherate, sceneggiate, supercazzole. Il gioco per ora funziona. I due al governo sono insieme gilet gialli e Destra tedesca neonazista e rivestono tutti i ruoli della commedia politica, dicendo tutto e il contrario di tutto nello stesso giorno. Si potrebbe dire che stanno leccando il culo al popolo. Continueranno a darsele di santa ragione sulla tolda del paese che affonda?
Gennaro Cucciniello
Washington. Così antica che la praticavano gli scimpanzé prima degli umani, lubrificante della vita sociale, economica, politica, perfino sentimentale, terra di nessuno fra la normale buona creanza, l’uso di mondo e il servilismo più ipocrita, l’adulazione sfugge con abilità consumata a ogni precisa definizione. Tutt’al più si può quantificare: perché essere cortesi (non cortigiani) è un conto, e leccaculo un altro. Appunto: dopo aver affrontato le 380 pagine del “Manuale del leccaculo” di Richard Stengel pubblicato in Italia da Fazi –evidentemente con irresistibile successo, o tenacia, visto che siamo alla quarta edizione (2001, 2004, 2009 e ottobre 2015)- si rischia una crisi comportamentale: e se ogni sorriso, o minima forma di gentilezza che siamo abituati a dispensare nascondessero inconsapevoli e insondabili piaggerie? Insomma, Stengel potrebbe trovarsi a fronteggiare un’intervista scorbutica perché mai e poi mai chi ha letto il suo tomo (in inglese ha un titolo più lieve: “You’re Too Kind. A Brief History of Flattery”, ovvero Troppo gentile. Breve storia della piaggeria) vorrebbe apparire cerimonioso, falso, servile o tutte quelle altre bruttissime cose che elenca. Ma anche questa sarebbe una forma di adulazione facile da smascherare. Almeno per l’autore, che ha coltivato la conoscenza della materia non solo sul piano teorico, ma anche su quello personale, essendo un uomo di considerevole potere: prima come direttore di Time, il settimanale più autorevole del mondo, e adesso come sottosegretario di Stato del governo Obama. Un tempo, proprio nel suo ufficio sedeva George Marshall, quello del piano Marshall (commemorato con una piccola foto incorniciata appesa alla boiserie modernista), responsabile della pioggia di aiuti riversati sull’Italia e sull’Europa postbelliche. Meglio non pensare alle genuflessioni che gli avranno tributato, anche solo col pensiero, i notabili democristiani d’antan.
Tuttavia, in base alle ricerche stengeliane è un errore non adulare un potente. Perché nessuno è immune alla piaggeria (a parte chi non ha un briciolo di autostima, che ne diffida) e se poi uno se la crede parecchio è ancora più vulnerabile: ogni complimento o gesto di sottomissione gli alza i livelli di serotonina meglio del Prozac. Quindi giudica brillante chi riconosce la sua superiorità e un povero scemo chi non gli fa i salamelecchi.
Il padrino del figlio maggiore di Stengel è stato Nelson Mandela, un’amicizia nata negli anni Novanta quando lui ha collaborato come ghostwriter all’autobiografia del presidente sudafricano. Almeno Mandela era vaccinato contro le pompe di Satana, primo adulatore della storia? “No, era suscettibile alle lusinghe in modo incantevole. Aveva una grande considerazione di sé, quindi certe cortigianerie lo deliziavano, ma nel riceverle era solare, amabile. Sapeva che le persone lo adoravano e che in sua presenza erano emozionate, nervose, così le metteva a loro agio toccandole, con uno dei suoi tipici sorrisi. Capiva che anche gli altri erano sensibili alle lusinghe e si era addestrato ad adularli: “E’ un onore per me incontrarla! Mi fa tanto piacere che mi ricordi!”. Ma in Sudafrica come in molti altri Paesi i codici sono diversi, lo vedo adesso che faccio il diplomatico. Quando Mandela andava nelle provincie i “pray singers” intonavano delle fantastiche poesie hip hop del tipo “Il sole non tramonta mai su di te perché sei così meraviglioso”. Non era un’adulazione brutale, ma un omaggio stilizzato”.
Nella sua cavalcata dalla preistoria ai faraoni (che con quel po’ po’ di piramidi si complimentavano da soli), da Jahvè (più bisognoso di blandizie di una rockstar capricciosa) alle corti rinascimentali (dove il leccaculismo diventa arte) fino al modello di adulazione americano (“spartano e pragmatico come un trattore”), Stengel incontra molti filosofi. E’ Aristotele a fornirgli il giusto esempio di atteggiamento da tenere verso l’adulazione, quello del Magnanimo: “Altezzoso con chi ha potere e successo, ma umile con chi non detiene una precisa posizione sociale”. Insomma, uno che non fa mai una sviolinata a un pezzo grosso e non infierisce se un poveraccio la fa a lui. Ma in tutta la sua carriera fra giornali e diplomazia Stengel l’ha mai incontrato un Magnanimo? Nella risposta, “Barack Obama”, si potrebbe avvertire una nota di piaggeria per conto terzi (nel manuale si afferma che è molto efficace), ma poiché è abbastanza improbabile che il presidente degli Usa legga questa intervista, la prendiamo per buona. “E’ intransigente con l’adulazione, non la usa con gli elettori come certi politici, vedi Donald Trump, che dice alla gente voi ed io abbiamo capito tutto, perché sa che la gente adora sentirsi dire “Voi ed io”. E mi sembra che sia anche abbastanza immune da certe lusinghe: questo ti aiuta se sei al potere e la gente ti rispetta. Sul lavoro è concentrato, non ha tempo per le carinerie e per le verità ammorbidite, vuole una valutazione realistica e onesta dei fatti. Quando sei nel suo ufficio o nella “Situation Room”, sei consapevole che è il presidente degli Stati Uniti, che non puoi essere completamente te stesso o troppo schietto, ma lui apprezza le persone schiette, quelle di cui si fida lo sono. Quando il suo consigliere speciale Richard Holbrooke, un grand’uomo, diplomatico molto ambizioso e inguaribile adulatore, gli doveva riferire qualcosa non la finiva più con le cerimonie finché Obama non gli diceva di piantarla coi complimenti e passare ai fatti”.
Nella notte dei tempi l’adulazione era riservata non tanto alle persone, ma alla carica che ricoprivano, poi con l’avvento –seppure intermittente- della democrazia si è fatta più personale, socialmente mobile, ed è diventata biunivoca: non più esercitata dall’inferiore verso il superiore, ma anche dal potente nei confronti delle masse. Ed ecco la demagogia, la peggiore delle adulazioni. Già Platone aveva capito che uno dei problemi della democrazia è che rende onori a chiunque professi di essere amico del popolo. Ma perché in tutti questi secoli le masse non hanno sviluppato gli anticorpi per i demagoghi? Stengel risponde che tutte le generazioni ripartono da zero e che non ci sono geni evolutivi in grado di immunizzarle. “E’ vero che non si può ingannare un intero popolo per sempre, ma per un bel po’ sì. E comunque la democrazia e il diritto di esprimersi esteso a tutti i cittadini, che gli estensori della Costituzione americana vedevano come il fumo negli occhi, genera inevitabilmente l’appello alle fasce più basse della popolazione”.
Dalla pubblicazione del Manuale del leccaculo negli Usa (2000) è passata un’era geologica in termini di mutamenti sociali. Per completezza d’informazione e per non risultare troppo compiacenti con l’autore, conviene farglielo notare, chiedendogli di produrre qualche aggiornamento sul fronte della piaggeria. Ma anche questa dev’essere una strisciante captatio benevolentiae, infatti lui è compiaciutissimo: “Speravo proprio che me lo chiedesse. Nel libro scrivevo che l’adulazione è eterna, ma i social media gli hanno dato una bella mazzata introducendo la possibilità di criticare, sfottere, demolire i potenti e i famosi. Facebook, Twitter e le varie piattaforme sono uno dei migliori strumenti della storia per minare la piaggeria, ma anche per favorire un rapporto più diretto con le istituzioni: la Casa Bianca li utilizza molto per creare mobilitazione”.
Già, ma tweet e retweet alimentano anche una planetaria chiacchiera da bar, un codice di linguaggio comune fra incazzati, frustrati, esclusi, convinti di contare perché postano le loro opinioni: questa non è demagogia e quindi adulazione delle masse? Stengel ammette che può esserlo: “Una delle mutazioni determinate dai social media è che ti consentono di misurarti solo con chi ha il tuo punto di vista, mentre sfogliando un giornale ti poteva capitare di leggere un’opinione diversa. Anche i politici con i nuovi media non devono discutere con l’opposizione e possono limitarsi a farlo con la loro base, concentrandosi sull’obiettivo di amplificarla. Ma alla fine, nello scontro tra i social media e il potere forte, quello vero, vince sempre il potere. Come la cultura pop, che è un potere fortissimo, vince sul califfato. Mi spiego: siamo tutti preoccupati dall’abilità dimostrata dall’Isis nella gestione della comunicazione 2.0, ma loro hanno 90mila contatti al giorno mentre Justin Bieber ne ha un milione”.
Nel Manuale del leccaculo, come in tutti i manuali, peraltro, sono disseminati consigli. Del tipo: evitare i complimenti generici, buoni per tutti, ma andare sullo specifico, senza scivolare nella lode palesemente falsa e senza accompagnare la sviolinata a una richiesta di favori, perché il bravo adulatore sa attendere; creare una complicità con chi ci si vuole arruffianare elogiando in lui le proprie virtù migliori, non magnificare le sue qualità palesi ma scovarne una che il destinatario considera trascurata; aggiungere ai peana qualche piccola critica inoffensiva; non essere mai sinceri quando viene richiesto un giudizio spassionato, meglio mentire o comunque addolcire. Quindici anni dopo, Stengel li riconferma tutti.
Sempre per completezza d’informazione tocca chiedergli se ribadisce le sue opinioni su Hollywood e Washington descritte come la Sodoma e Gomorra dell’adulazione. Divi che si indispettiscono per una domanda irriguardosa di un giornalista e preferiscono intervistarsi a vicenda. E le riviste pubblicano questi ircocervi dell’informazione. Festival, premi e cene istituiti solo per autocelebrarsi. Politici e corrispondenti che se la suonano e se la cantano. L’alone di celebrità e potere che giustifica ogni manchevolezza: a chi lo possiede si perdona tutto, spontaneamente. Sottoscrive anche oggi che è a Washington, sottosegretario Stengel? “Su Hollywood non sono tanto al corrente. A Washington la piaggeria consiste soprattutto nello sfumare le cattive notizie, nel non dire sempre le cose negative”. Un po’ poco, no? Soprattutto dopo House of Cards. “E’ una serie che è piaciuta anche a me e capisco la sua popolarità, ma mi infastidisce l’immagine totalmente negativa che dà, mentre riguarda solo uno spicchio della piramide: alcuni membri del Congresso, gente che non sempre è qui per delle buone ragioni. Nella mia esperienza posso dire invece che il 98,8 % delle persone sono qui per ragioni giuste. I 50mila impiegati, funzionari, consulenti del Dipartimento di Stato credono in quello che fanno, con spirito di servizio e patriottico, per il bene del Paese e del mondo. E questo lo pensavo anche prima”. Risposta diplomatica? Ragion di Stato? Spostamenti progressivi della piacioneria? Vedete voi.
Paola Zanuttini