L’autore del “Cortegiano”, che tutti ci invidiano

Il Castiglione che tutti ci invidiano

Buone maniere, abbigliamento, libri, frequentazioni: nel XVI° secolo, se volevi essere alla moda, l’influencer da seguire era lui. Urbino celebra il più geniale cortigiano.

 

Nel “Venerdì di Repubblica” del 10 luglio 2020, alle pp. 120-123, è pubblicato questo articolo di Melania Mazzucco.

 

L’uomo indossa con suprema noncuranza un’elegantissima giubba nera con le maniche di pelliccia grigio perla, abbinata all’imponente cappello, pure nero, che gli incorona il capo. La folta barba chiara accarezza la camicia candidissima; rivolge verso di noi gli occhi celesti, illuminati da un’ineffabile serenità. Quando posò per il ritratto davanti a Raffaello, Baldassarre Castiglione aveva 37 anni. Nobile di mediocre fortuna, era uno scrittore ancora inedito, diplomatico equilibrista fra vecchi e nuovi padroni, ma cortigiano perfetto (uno de los memore caballeros del mundo, secondo il motto, forse apocrifo, di Carlo V). Il suo –insieme virtuosisticamente naturalistico e sublimato- è uno dei migliori ritratti maschili di sempre: custodito al Louvre, prestato alla gran mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale, lo si può vedere riprodotto da Factum Studio anche alla mostra di Urbino.

Raffaello lo dipinse a Roma, dove Castiglione era giunto nel 1513 come agente del duca di Urbino. Raffaello, che lo aveva preceduto di cinque anni, era allora sommerso di commissioni, acclamato come l’artista che già aveva (e avrebbe negli anni a venire) portato a compimento, in pittura e architettura, le aspirazioni di tutti gli eletti spiriti alla rinascita dell’antica grandezza. I due, quasi coetanei (il pittore più giovane di appena cinque anni), si frequentavano. Ogni pennellata rivela un’intimità fra artista e modello che abbatte la gerarchia sociale e culturale, e li rende maestro, discepolo e immagine idealizzata l’uno dell’altro.

Nella Roma colta e gaudente di Leone X la loro amicizia poté cementarsi, con progetti e ambizioni comuni (come la lettera a quattro mani inviata al papa sulla necessità della tutela dei monumenti della Roma imperiale), ma la loro conoscenza risaliva ai tempi di Urbino – dove Castiglione, mantovano, aveva vissuto i suoi anni più felici e dove Raffaello aveva iniziato la sua avventura artistica e umana.

Questa estate Urbino, città natale di Raffaello e d’adozione di Baldassarre, li onora entrambi con una mostra a Palazzo Ducale a cura di Vittorio Sgarbi ed Elisabetta Soletti, che rilancia le celebrazioni per il quinto centenario della morte del pittore (1520-2020) e, vantando prestiti pregiati da musei italiani e stranieri e un allestimento completo di innovazioni tecnologiche per immersioni multimediali, oppone armonia e bellezza a questo funesto Covid 19. Il percorso è una sorta di messa in scena del Cortegiano, l’opera più nota di Castiglione.

Ambientato a Urbino nel 1507, è un libro notturno (si svolge in quattro notti) e in un certo senso postumo, perché i protagonisti sono già scomparsi, e lo scrittore riesuma con nostalgia il loro mondo per farne leggenda. Il Cortegiano circolava già manoscritto (Bembo e Sadoleto lo lessero fin dal 1518), ma fu stampato a Venezia solo nel 1528, poco prima della morte dell’autore, che non poté goderne la fortuna. E’ un manuale di comportamento che determinò il modo di vivere di ogni europeo colto almeno fino alla fine del secolo successivo. Dettava le qualità necessarie della persona (nobiltà, grazia, sprezzatura, ironia), il linguaggio, perfino gli atteggiamenti esteriori (due capitoli sono dedicati alla moda). Tradotto presto in ogni lingua del continente, letto in ogni Corte, palazzo, anche semplice casa in cui si volevano apprendere (e imitare) le maniere dei grandi, divenne dunque uno di quei rari libri che riassumono un’epoca, e la contengono come un’ampolla contiene un profumo.

Le sette sezioni della mostra si snodano fra arte, letteratura, artigianato e arti decorative, rievocando la raffinata Corte di uno Stato di piccole dimensioni ma che fu uno dei laboratori culturali del Rinascimento. Le effigi degli artefici di quella stagione, apice e insieme crepuscolo del dolce vivere italiano, poi travolto dalla violenza della storia, fra invasioni, mutamenti di governi e guerre, culminata col sacco di Roma (di aver contribuito a provocare il quale fu accusato lo stesso Castiglione), scortano il visitatore nelle stanze del Palazzo (non un palazzo ma una città in forma di palazzo) nel quale realmente si svolsero le feste, le giostre, le conversazioni e i concerti cui alludono gli oggetti esposti. Incise su medaglie, dipinte, scolpite, disegnate da maestri come Piero della Francesca, Tiziano, Leonardo da Vinci, Raffaello stesso, raffigurano i padroni di casa (Federico da Montefeltro e Battista Sforza, e i loro successori, Guidubaldo ed Elisabetta Gonzaga, Francesco Maria della Rovere ed Eleonora Gonzaga), i regnanti vicini (Federico Gonzaga ed Isabella d’Este), gli scienziati (il matematico fra Luca Pacioli), gli scrittori (il Bibbiena, Pietro Bembo, Andrea Navagero), gli artisti (Giulio Romano). Le armature, i morsi da cavallo, la celata, i vestiti (colpirà lo stupendo abito di Lucrezia Borgia, riprodotto a partire da Bartolomeo Veneto), i giubboni di velluto, fanno rivivere l’eleganza cavalleresca che fu perpetuo assillo del Castiglione (il quale anche durante un assedio tempestava la madre richiedendole broccati, sete, mantelletti e pellicce per aggiornare il suo guardaroba).

Umanista colto (benché non quanto avrebbe voluto, perché dovette interrompere gli studi per diventare comandante militare, e poi tralasciare la poesia per la carriera), fu soprattutto un lettore appassionato. Possedeva 224 manoscritti e libri, a volte in edizioni di pregio, me per lo più nel piccolo formato (tascabile) di Aldo Manuzio. Tutti i classici latini (da Tito Livio, Plinio e Virgilio fino ad Apuleio) e moderni (Petrarca, Boccaccio, Bembo). Il bibliofilo si delizierà per i volumi rari giunti dalle biblioteche Vaticana, Marciana, Laurenziana; il comune lettore si stupirà della compiuta bellezza e praticità raggiunta fin dall’inizio del ‘500 dall’oggetto libro – rimasto insuperabile nonostante l’invenzione dell’immateriale e-book odierno.

Dopo la morte della moglie, Castiglione lasciò Roma. Era a Mantova il 6 aprile 1520, quando Raffaello, precocemente e all’improvviso, morì. Gli dedicò un’elegia in latino, “De morte Raphaelli pictoris”. L’intento declamatorio raffredda il dolore della perdita, ma Castiglione (che già lo aveva celebrato nel Cortegiano) volle ricordarlo come colui che aveva resuscitato Roma, biasimando che la sua fortuna gli avesse attirato l’invidia della sorte. Con un dolore che ancora commuove aveva invece commentato la notizia alla madre, in un’epistola inviata dopo il suo ritorno e che si legge nella monumentale raccolta in tre volumi, “Lettere famigliari e diplomatiche” (Einaudi, 2016): “Io son sano, ma non mi pare essere a Roma, perché non vi è più el mio poveretto Raphaello: che Dio abbia quell’anima benedetta”.

Poco dopo, entrato in religione, si mise al servizio di papa Clemente VII, che nel 1524 lo designò nunzio apostolico in Spagna, presso Carlo V. Ma lui, che stava per diventare il simbolo dell’Italia e della sua cultura, non poté rivederla. Se lo portò via l’8 febbraio del 1529 la febbre pestilenziale, forse la seconda ondata dell’epidemia che si era abbattuta su Mantova alcuni mesi prima. Morì a Toledo, lontano da ognuna delle sue patrie, dalla casa e dai tre figli. E anche la morte solitaria in terra straniera, di questi tempi, ce lo fa sentire vicino.

 

                                                                  Melania Mazzucco